I Vizi non sono crimini. Profili di incostituzionalità della legge merlin

AutoreLuigi Fadalti
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@1. Premessa.

Ha scritto LYSANDER SPOONER 1: «I vizi sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia se stesso o i suoi averi.

I crimini sono quelle azioni con le quali un uomo danneggia la persona o gli averi di un altro.

I vizi sono semplicemente gli errori che un uomo commette nella ricerca della propria felicità. A differenza dei crimini, essi non implicano malvagità nei confronti degli altri, né alcuna interferenza con la loro persona o i loro averi.

Nei vizi, la vera essenza del crimine - vale a dire l'intenzione di arrecare danno alla persona o agli averi di un altro - viene a mancare»; ed ancora: «è ora ovvio, che un governo sarebbe del tutto inattuabile se dovesse occuparsi dei vizi e punirli come crimini. Ogni essere umano ha i suoi vizi. Quasi tutti ne hanno molti. E di tutti i tipi: fisiologici, mentali, emozionali, religiosi, sociali, commerciali, industriali, economici, ecc. Se il governo deve occuparsi di uno di questi vizi e punirlo come crimine, allora, per essere coerente, deve occuparsi di tutti e punirli tutti in modo imparziale. La conseguenza sarebbe che ognuno andrebbe in prigione per i propri vizi. Non resterebbe nessuno fuori per chiudere le porte dietro coloro che sono dentro. In realtà, non si riuscirebbe a trovare abbastanza tribunali per giudicare i trasgressori, né a costruire abbastanza prigioni per contenerli».

I vizi, in definitiva, non sono crimini. Per tale ragione la politica, appunto, criminale di uno Stato dovrebbe interessarsi solo di questi ultimi, ignorando i primi.

@2. Legge vigente.

Con la legge 20 febbraio 1958, n. 75, nota più comunemente come «legge Merlin», dal nome della proponente che sin dall'agosto del 1948, all'inizio della prima legislatura, si era impegnata per la sua approvazione, in Italia si dispone la chiusura delle case di prostituzione.

Il dibattito parlamentare fu indubbiamente elevato sul piano culturale, ma del tutto insufficiente nel dare un minimo di chiarezza legislativa, nell'incapacità di migliorare il testo originario sul piano della tecnica normativa, che appare invece lacunosa, caotica, ripetitiva, incline alla casistica, piuttosto che ad una precisa delimitazione delle fattispecie penali.

Le linee programmatiche della legge in commento sono chiare: oltre alla chiusura dei locali autorizzati all'esercizio della prostituzione si perviene ad una più severa repressione delle condotte parassitarie; si lotta contro le cause della prostituzione, contro i prosseneti che l'affluentano, combattendo, quindi, la prostituzione solo in via indiretta e preventiva 2.

È stato a tal proposito osservato, non senza una componente di paradosso, che la repressione del parassitismo è talmente drastica da poter affermare che la meretrice è la «lavoratrice meglio garantita contro lo sfruttamento del suo lavoro» 3.

Per la persona che si prostituisce originariamente era prevista la sola contravvenzione per l'adescamento, oggi depenalizzata.

L'imminente conclusione della seconda legislatura non consentì di poter affinare la rudimentale tecnica legislativa.

In merito è sufficiente ricordare che in seconda lettura all'assemblea di Montecitorio la discussione si è risolta in una sola giornata, senza che sia stato offerto alcun contributo all'interpretazione dell'art. 3.

In tale norma sono compresi ben otto numeri, che descrivono condotte connesse alla riviviscenza delle case di meretricio (nn. 1, 2 e 3) 4 e condotte connesse all'attività di lenocinio (nn. 4, 5, 6, 7, 8) 5.

Il legislatore avrebbe potuto adattare alla finalità abolizionistica le già esistenti norme del codice penale, integrandone il contenuto o aggiungendo altre ipotesi adeguate alle nuove esigenze, oppure (ed è stata questa la via prescelta) poteva pervenire ad una organica revisione con una nuova elencazione incriminatrice diretta a ribadire e rendere meglio operante la fondamentale innovazione abolizionistica: ha creato, invece, una nuova figura incriminatrice, pur ricavandola in buona parte da quelle già esistenti.

Ha riservato una identica pena edittale per il «tenutario» e lo «sfruttatore», quasi a voler ribadire che nessuno deve avvantaggiarsi da quel particolare modo di vita che è la prostituzione.

Conseguentemente le norme contenute negli artt. 531 e 536 c.p. 1930 sono state integralmente sostituite, venendo esplicitamente abrogate dalla legge Merlin.

Pertanto le norme di carattere penale della legge n. 75 devono considerarsi inserite nel codice penale: l'incompatibilità tra il vecchio sistema e quello inaugurato dalla legge Merlin è assoluta, tale da investire ogni regola precedente, cosicché anche la norma contenuta nell'art. 5, che inerisce la materia disciplinata dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, può ritenersi inserita nell'ambito del codice penale nel quadro delle contravvenzioni concernenti la polizia dei costumi.

L'opinione comunemente condivisa è che tutte le ipotesi elencate nell'art. 3 configurino un unico reato a fattispecie alternative.

Le considerazioni d'ordine generale sin qui svolte costituiscono un necessario antecedente al tema che si viene a trattare, relativo ad una prospettabile illegittimità costituzionale dell'art. 3 della legge Merlin, per violazione degli artt. 2, 3 e 27 comma 3 della Costituzione, nella parte in cui tale norma prevede quale pena edittale minima la pena di anni due di reclusione per tutte le fattispecie delittuose in essa indicata.

@3. Evoluzione della giurisprudenza costituzionale.

- La giurisprudenza costituzionale ha affermato, nel tempo, l'immanenza al sistema di tre principi, quali criteri di orientamento e di legittimazione della politica criminale, autonomi ma collegati tra loro 6:

- quello per cui sono illegittime le incriminazioni penali poste a tutela di beni non espressivi di valori costituzionalmente rilevanti (o significativi);

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- quello c.d. di «proporzionalità», che porta a negare la legittimità delle incriminazioni produttive di danni all'individuo ed alla società maggiori dei vantaggi derivanti dall'utilizzo della sanzione penale a tutela dei beni e degli interessi che si sono intesi proteggere;

- quello, infine, della c.d. «sussidiarietà», secondo il quale è legittimo ricorrere alla sanzione penale, in quanto extrema ratio, solo quando gli altri rami dell'ordinamento non offrono adeguata tutela ai beni che si intendono garantire 7.

Ora, mentre la sola violazione di uno dei primi due principi suriportati è sufficiente a determinare l'incostituzionalità di una norma penale, la Corte ritiene che la violazione di quello di sussidiarietà sia a ciò idonea solo allorquando vi sia la contemporanea violazione tanto del criterio di ragionevolezza quanto del fondamentale diritto di libertà costituzionale riconosciuto 8.

Ha scritto il giudice delle leggi: «Non v'è dubbio... che il legislatore non è sostanzialmente arbitro delle sue scelte criminalizzatrici ma deve, oltre che ancorare ogni previsione di reato ad una reale dannosità sociale, circoscrivere, per quanto possibile, e tenuto conto del rango costituzionale della libertà personale sacrificata dalla pena, l'ambito del penalmente rilevante. È parimenti indubbio che le valutazioni, dalle quali dipende la riduzione del numero delle incriminazioni, attengano a considerarsi generali (quali la funzione dello Stato, del sistema penale, delle sanzioni penali) e particolari (in ordine ai danni sociali contingentemente provocati dalla stessa esistenza delle incriminazioni, al concreto svolgimento dei processi ed al modo di applicazione delle sanzioni penali) che, per loro natura, essendo autenticamente ideologiche e politiche non sono formalmente controllabili in questa sede» 9.

Con la decisione citata la Corte costituzionale 10 formulò, per la prima volta in tema di congruenza di reati e pena, una sentenza c.d. «sostitutiva».

In precedenza la Corte si era limitata a dichiarare l'illegittimità della disposizione nella parte sanzionatoria:

a) rinviando al giudice nella parte motiva la ricerca della norma da applicare in concreto 11;

b)...

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