Considerazioni sul risarcimento dei danni alla qualità della vita. Realtà umane e non soltanto elaborati della fantasia

AutoreFrancesco Recchioni
Pagine711-721

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L'adeguamento dei contenuti del danno esistenziale allivello dei valori che la Costituzione riconosce alla persona umana qualificandoli «diritti» che danno corpo alla dignità dell'uomo, costituisce il terreno sul quale intendiamo condurre il nostro esame; pertanto rinnoviamo il nostro ossequio agli attuali orientamenti dottrinari che concordemente postulano di procedere ad una più attenta lettura del sistema codicistico dell'illecito civile, passando attraverso il filtro della Costituzione dello Stato.

Precisiamo fin da ora che ciò, ben lungi dal costituire un contributo ad «evanescenti sforzi dogmatici» 1, si propone all'opposto di contribuire al riconoscimento di una logica ed indistinta protezione contro tutti gli esiti negativi di eventi dannosi, siano quelli che si verificano sul piano strettamente emozionale e soggettivo (ved. il danno morale puro di cui all'art. 2059 c.c.) siano quegli altri che vanno ad incidere sul piano della qualità della vita e sugli indirizzi che l'uomo ha impresso alla rispettiva esistenza, o - ben diversamente - siano gli altri ancora che trovano sviluppo nel campo degli interessi patrimoniali e sono qualificati danni materiali - economici.

In particolare, nell'interpretare l'applicazione delle regole risarcitorie, si è sempre inteso offrire un apporto di collaborazione nel processo evolutivo della giurisprudenza mirando all'obiettivo di dare piena tutela alla persona, così consentendo di assegnare un concreto contraccambio alle modificazioni negative che incidono sulle varie attività svolte dall'uomo, mediante le quali egli ha modo di realizzare la propria personalità; ciò, sul presupposto del riconoscimento di un contenuto dannoso in ogni forma di rinuncia ad iniziative, a comportamenti, ed a decisioni, che potevano generare condizioni di benessere e di affermazione nel soggetto colpito da un danno di natura non patrimoniale. Vogliamo cioè, riferirci a quella serie di pregiudizi che risultano disgiunti dal processo di formazione del reddito personale, che insorgono senza uno stretto rapporto causale con una compromissione all'integrità somatica e che - non derivando da un reato - non possono trovare un risarcimento in base al dettato dell'art. 2059 c.c. interpretato secondo il suo rigore letterale.

La tesi del voler garantire comunque una riparazione per i danni che colpiscono l'esistenza dell'uomo o, meglio, la qualità della vita così come la coscienza sociale la reclama, evitando di collidere contro il disposto dell'art. 2059 e di fallire l'obiettivo che si è proposta, cerca indubbiamente di operare un aggiramento dell'anzidetta disposizione perché vuole impedire che il suo dettato vada a soffocare letteralmente l'anelito di vedere realizzata la protezione degli interessi protetti dalla Carta costituzionale contro gli illeciti comportamenti altrui.

Nell'ambito di questo intento, che rispecchia fedelmente un principio collocato alla base della dignità della persona, sono state consegnate una serie di manovre diversive, considerate vere scappatoie, che hanno contribuito a dare vita a figure di danni sostitutivi: cioè a figure atipiche, quali - ad esempio - il danno alla vita di relazione, il danno estetico, il danno alla capacità lavorativa generica, tutti confluiti in una concezione «alternativa» che è apparsa consentire appunto lo «scampo» dal menzionato art. 2059 c.c., indubbiamente limitativo se non addirittura preclusivo del conseguimento di misure riparatrici.

Per tale via potè sorgere la figura del danno biologico; cosicché, una volta che di questo ultimo si è riusciti ad affermare la nozione non soltanto per via dottrinale ma anche in sede giurisprudenziale, sono gradualmente scomparse quelle figure che erano sprovviste di una specifica previsione di legge ma purtroppo venivano suggerite dall'esigenza di offrire risarcibilità all'intera massa di danni non patrimoniali, così portando l'intervento risarcitorio completamente all'esterno dalla disciplina dettata dall'art. 2059 c.c. 2.

Orbene, considerando - con la diligenza che l'argomento richiede - quali giustificazioni siano richieste per motivare in linea di principio il risarcimento del danno esistenziale, non v'è dubbio che sia da escludere il semplice intento di contrapporre innanzitutto delle protezioni nei confronti di indeterminate aspirazioni verso illimitati godimenti esistenziali. Nella realtà delle situazioni dannose vi è, invece, da considerare attentamente che:

a) in via preliminare, i danni di carattere esistenziale ammessi alla possibilità di risarcimento sono quelli che, esulando dalla sfera della liceità dei comportamenti umani, si collegano ad una altrui responsabilità;

b) in secondo luogo è da sottolineare come ogni tipo di pregiudizio risarcibile, subìto dall'essere umano sul piano dell'esistenza, debba costituire - ai sensi del principio dell'efficacia causale e del disposto dell'art. 1223 c.c. - una diretta conseguenza della offesa inferta ad un interesse posto sotto la tutela dell'ordinamento giuridico;

c) in terzo luogo, per procedere al risarcimento di danni di tale natura si richiede la certezza della effettiva lesione di un interesse che abbia una diretta valenza esistenziale per la vittima, cioè l'avvenuto accertamento della compromissione di alcune attività di realizzazione della persona umana;

d) in fine, tale specifico interesse deve essere suscettibile di avere una prevalenza sull'interesse del soggetto danneggiante «... nel bilanciamento attraverso il quale si risolve il giudizio di ingiustizia» 3.

Tuttavia, non senza fervore ed interessamento, si è osservato che mentre da un lato la Corte costituzionale, nel rendere una interpretazione dell'art. 2059 e dei rapporti che intercorrono fra il medesimo ed il danno alla salute, non si è risparmiata di affermare in un clima di titubanza principi a volte contraddittori; di pari passo - nella sede dottrinale ed anche in quella giurisprudenziale - si sono verificati svariati modi di interpretazione sui rapporti che intercorrono tra il danno alla salute e le cosiddette «strettoie limitative» create, appunto, dall'art. 2059 c.c.

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Né poteva accadere diversamente, dal momento che i giudici di merito hanno sì adeguato le rispettive elaborazioni dei risultati ottenuti dalla scienza e dalla dottrina agli indirizzi di pensiero che sullo specifico problema maggiormente si affermavano dai supremi organi giurisdizionali; ma a ciò procedevano in una maniera anche alquanto disorganica, preparando inconsapevolmente il risultato di rendere vani quei punti fermi che proprio l'elaborazione dottrinale si era proposta di conseguire con l'introduzione del danno alla salute e di ogni forma di alterazione peggiorativa riscontrabile nell'esistenza umana (desideriamo rammentare particolarmente le sentenze del 16 gennaio 1985 n. I del Tribunale di Pisa, della Corte d'appello di Roma 18 dicembre 1986, Est. Cajanello, quella già menzionata del Tribunale di Crema 18 dicembre 1987, Polastri c. Taloni e Firs Italiana di Assicurazioni, in questa Rivista 1991, 481).

Si pervenne, in tal modo, a dover constatare che all'atto pratico si erano purtroppo creati i presupposti per sottrarre certezza agli utenti del diritto nel campo del risarcimento del danno alla persona, cioè: «sui modi di essere» del danno alla salute, sul suo collegamento con il referente normativo di cui all'art. 2043 c.c. e con il dettato dell'art. 32 della Costituzione, e sulla opportunità - o meno - di ricondurre il danno alla salute nella categoria del danno non patrimoniale (e perciò sotto la disciplina dell'art. 2059) almeno nei casi in cui questo danno si presenti con maggiore spicco quale evento deteriorante caratterizzato da un marcato carattere di «intraducibilità monetaria» 4. Per di più si consideri che su queste imbarazzanti realtà non potevano mancare di imporsi l'inesorabile autorità del principio costituzionale che sancisce l'uguaglianza dei cittadini in quanto tali e la necessità di offrire nei casi di semplice illecito civile una tutela ad una situazione soggettiva, garantita dalla stessa Costituzione, quale è quella costituita dal pregiudizio recato alla salute (è da ricordare la sentenza Corte cost. n. 184 del 14 luglio 1986, in questa Rivista 1987, 185, che ha così mutato il precedente indirizzo di cui alla precedente n. 88 del 26 luglio 1979, in Giur. cost. 1979, I, 656, secondo la quale ogni danno di contenuto non patrimoniale era comunque da assoggettare alla disciplina di cui all'art. 2059 c.c.).

In tal modo accadeva che, nel corso del processo evolutivo riflettente l'esame del problema, l'attenzione venisse rivolta alla natura rivestita dall'interesse leso; ma allo stesso tempo si ometteva di considerare che anche le conseguenze di una menomazione fisio-psichica possono andare soggette ad una quantificazione fondata sopra una stima considerabile «stima sociale tipica» 5.

A questo punto occorre portare chiarezza sul principio, universalmente riconosciuto, che l'espressione «danno alla salute» sta ad indicare uno stato di alterazione psico-fisica che ha la forza di frapporre ostacoli al godimento dell'esistenza dell'uomo nella misura in cui il soggetto stesso poteva in precedenza concederselo, e senza riferimento alcuno alle risorse che riguardano le sue capacità di lavoro e la sua capacità di guadagno; tale danno costituisce, pertanto, una posizione che si allontana alquanto dal concetto di danno biologico poiché questo ultimo è sì soggetto ad una quantificazione monetaria che richiama l'uso di parametri valevoli per l'essere umano considerato in linea generale; mentre il danno alla salute che va a ferire la qualità della vita - con la sua forza aggregante - può assorbire in sè anche voci di danno dai connotati non «bene definiti», e considera altresì le esigenze di flessibilità della salute nonché i valori che sono intrinseci delle molteplici funzioni umane: cioè considera nell'uomo ogni sua funzione sociale, culturale, ludica, estetica ed di...

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