La vita e le opere di Genuzio Bentini

AutoreStefano Vinci
Pagine9-46

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@1. Genuzio Bentini tra politica e diritto

Genuzio Bentini (1874-1943)1 fu una delle principali figure dell'avvocatura, in campo penale, del Novecento. Nacque a Forlì, nel popolare Borgo Schiavonia, il 27 giugno del 1874 da Bernardo e da Gertrude Gamberini2. Il padre, «buon patriota e vivace democratico»3, di mestiere canapino4, lo chiamò Genuzio dal nome del tribuno della plebe Gneo Genucio, che nel 473 a.C. aveva accusato con vigore i consoli usciti di carica, Lucio Furio e Gaio Manlio, perché oppositori della legge agraria di Spurio Cassio5.

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Conseguita la licenza liceale presso la città di Ravenna nel 1892, Bentini si trasferì a Bologna dove frequentò la facoltà di Giurisprudenza, sotto la guida di maestri quali Aurelio Saffi, Oreste Regnoli, Giuseppe Ceneri, Antonio Pertile e Cesare Vivante6, e dove conseguì la laurea nel 1896 discutendo una tesi in diritto penale con il prof. Ugo Conti dal titolo il reato di sciopero: la scelta dell'argomento è prova della sensibilità del Bentini e dell'orientamento del suo spirito verso le idee socialiste7 nel momento in cui nasceva una coscienza nuova della classe lavoratrice8.

Proprio in quegli anni infatti in Italia i socialisti, staccatisi dagli anarchici nel congresso dell'agosto 1892 nella sala Sivori di Genova, costituirono il Partito dei lavoratori italiani9: iniziò così la scalata del socialismo che si manifestò nei moti dei «Fasci Siciliani» e della Lunigiana. A queste agitazioni il Governo italianoPage 11rispose con la promulgazione delle leggi «antianarchiche» del 1894 contro le società sovvertitrici dell'ordine sociale esistente10, di fatto applicate dal potere esecutivo non soltanto contro gli anarchici, ma anche contro i socialisti11, i cui uomini più in vista furono colpiti da condanne in carcere o dal domicilio coatto12. Tale politica repressiva culminò nell'ottobre del 1894 con lo scioglimento del Partito Socialista dei lavoratori italiani e di tutte le associazioni a esso collegate, in base a quella visione, tipica degli ambienti conservatori, che confondeva in un unico schema socialismo e anarchismo.

Questi fatti segnarono la giovinezza e lo spirito di Genuzio Bentini: approdato al Partito Socialista come discepolo di Andrea Costa13 dopo aver professato inizialmente ideali anarchici14, a causa del suo impegno politico fu «perseguitato e incarcerato nel 1894Page 12sorvegliato e diffidato durante il servizio militare»15. Nel 1900 infatti venne imprigionato e poi sottoposto a domicilio coatto perché, pacifista e antimilitarista dichiarato, al termine degli studi universitari si era rifiutato di prestare il servizio di leva16.

Nell’avanzare rapido del socialismo, tra contrasti di idee e attuazioni pratiche, Genuzio Bentini aveva iniziato a svolgere la sua azione politica tra i borghi e le campagne di Romagna, «con l'immancabile cravatta rossa svolazzante e il cappello a cencio aPage 13larghe falde, secondo la moda socialista del tempo»17, incitando e commovendo le folle del contado18.

Nel 1902 fondò a Bologna, insieme con Ugo Lenzi la rivista «La Squilla» dal sottotitolo «Settimanale socialista», in cui «ogni settimana aveva un suo articolo breve - articolo di prima pagina -che poneva un problema politico od economico: era il suo pensiero e onestamente lo rendeva pubblico»19.

Tale dedizione alla causa del socialismo, gli valsero, nel 1904, la elezione a deputato per il Partito Socialista nel terzo collegio di Bologna (Castelmaggiore), riconfermata ininterrottamente per quattro legislature, fino a quando la dittatura mussoliniana lo priverà del mandato parlamentare.

Egli faceva parte di un gruppo, il più intellettuale del settore di sinistra alla Camera, composto dagli epigoni del socialismo come Filippo Turati, Enrico Ferri, Leonida Bissolati, Arturo Labriola, i quali lo tennero a battesimo della vita parlamentare, designandolo a commemorare Andrea Costa20 e Gino Vendemini21.

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Difensore delle classi proletarie in parlamento per farvi sentire le voci dei lavoratori che si facevano «più distinte e si inserivano nei dibattiti a portarvi un tono più vivo»22, rimase devoto ai precetti socialisti enunciati nel Congresso di Amsterdam del 190423 da Jean Jaurès24 ed August Bebel25, che si fondavano sulla lotta di classe e nella convinzione della possibilità della trasformazione della società sulla base della collettivizzazione dei mezzi di produzione e dell'uguale diritto al lavoro e del suo prodotto26.

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In tale ottica il Partito Socialista veniva inteso da Bentini come lo strumento della palingenesi sociale, dell'abbattimento delle ingiustizie, delle oppressioni, delle iniquità e del corrispettivo rinnovamento morale: «Jaures - scrive Bentini - ci insegna che il partito [...] non conta per gli uomini che lo compongono o per l'aritmetica delle sue fila, conta per la luce di idealità che lo inonda, che acceca tutti i grandi e i loro tradimenti e le folle e gli umili, la loro incoscienza e le loro debolezze»27.

Questa fede rimase inalterata in Bentini anche negli anni che seguirono28: in un acceso dibattito alla Camera nell'ottobre del 1917, in cui i socialisti erano stati accusati di disfattismo, Bentini - a seguito degli interventi degli On.li Treves29, Prampolini, Turati e Modigliani, che avevano pronunciato il loro ripudio verso «la sopraffazione e la violenza» adottata dal Governo, cui era seguitoPage 16il commento da parte dell'on. Bissolati «vi conosco maschere!» -rivendicava i principi del Partito Socialista:

L'on. Bissolati ci ha chiamato maschere! Ma noi non abbiamo nulla da nascondere. Siamo rimasti quelli che eravamo; fedeli alle idealità, per cui già l'On. Bissolati lottò e sofferse, nei tempi nei quali lanciò da questi banchi il grido di: Abbasso il re! [..] Se si crede che i socialisti sabotano la guerra, perché conservarli al potere? E se non la sabotano, come in realtà non la sabotano, perché sospettarli e perseguitarli? Così si spezza l'unità nazionale, così si nuoce ai fini stessi della guerra. [..] Il socialismo rimarrà saldo e fermo al suo posto di combattimento per la difesa di tutte le libertà conquistate, con lotte e sacrifici, dalla grande maggioranza di coloro che oggi combattono al fronte30.

Negli anni che seguirono, l'apparato statale - inefficiente e parziale nei suoi atteggiamenti anche per le crescenti connivenze bu-rocratiche e militari nei confronti della sovversione fascista31 -non aveva più alcuna possibilità di fungere da garante in una cessazione delle ostilità tra la violenza illegale delle squadre d'azionePage 17mussoliniane e la resistenza sempre più debole delle forze che ad esse si opponevano32.

Il 25 gennaio 1924 la Camera veniva sciolta. Cominciarono le violenze pre-elettorali. ANapoli venne negato all'on.le Amendola l'uso del teatro Miramare e a Bentini venne impedito di tenere un discorso nella Sala Dante in Galleria: questi fatti vennero richiamati - all'indomani della XXVII legislatura - da Giacomo Matteotti nel discorso che gli costò la vita, con cui denunciò gli abusi, i torti e i singoli attentati dei fascisti alla libertà elettorale33. Al delitto Matteotti seguì da parte del Governo la liquidazione dell'opposizione parlamentare, la soppressione dei partiti e la repressione della loro attività: furono creati così i presupposti per il partito unico. Prima ancora che i partiti fossero sciolti Bentini dovette allontanarsi da Bologna e ritirarsi dalla vita pubblica: «proscritto, segnalatoPage 18al disprezzo del Paese - racconta la moglie Ada - si vide braccato dai ciechi strumenti ch'erano le squadre d'azione e, senza casa, senza studio, fu costretto a cercare rifugio fuori Bologna, incerto del lavoro e del pane»34.

Così usciva dalla scena politica Genuzio Bentini: nella conferenza su «La fraternità del nostro secolo» dal titolo «Caino», che tenne a Milano su invito dell'Università Popolare l’8.2.1925 nel Castello Sforzesco, vi è riassunta la sua più aspra critica avverso il fascismo, dove il fratricidio di Caino viene usato come una pungente metafora degli atti di violenza posti in essere dal regime.

Eccolo il tuo Dio! Dio di crudeltà e di morte. A lui piace il pianto delle madri belanti dietro i nati che tu hai ghermito ed uccisi. Egli vuole le agonie di vittime ignorate sotto il coltello! E si slancia per abbattere l'altare e soffocare sotto le pietre il sangue e le fiamme. Abele si oppone. Caino, al colmo dell'esaltazione, afferra un tronco, e colpisce. E guardando il fratello che giace, dice: - Morto? Questa è dunque la morte! - Ha dunque soddisfatto la più tragica delle curiosità. Eppoi soggiunge: - E non ha prole. Io con queste mani ho inaridito il seme della razza virtuosa che sarebbe nata da lui. E forse i suoi figli unendosi ai miei avrebbero mitigato questo sangue feroce che mi scorre nelle vene! - E l'Arte al pari della Leggenda ci piomba addosso il battesimo del fratricidio. Ho detto che Byron dice che Caino afferrò un tronco? Sì così dice, un tronco sradicato. La Patristica dice un tizzo, un ramo d'albero. E' comunque provato che l'arma di Caino fu un bastone35.

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Libero dalle cure parlamentari, Bentini si potè dedicare esclusivamente alla professione forense che tanto amava. Educato sull'esempio di grandi maestri come Manfredi36, Rubichi37, Vecchini38 e Ferri39, l'attività professionale di Bentini fiorì più intensamente proprio in un'epoca in cui - scrive Angelo Raffaele Russo - «si disse morta la parola»40.

Il passato politico di Bentini contrastò inevitabilmente il suoPage 20successo di foro. Il 20.3.1928 Bentini difese, dinanzi alla Corte di Assise di Milano, il matricida Renzo Pettine. Tale vicenda suscitò molto rumore: ne parlarono i giornali, soprattutto quelli bolognesi. L'episodio fu strumentalizzato da parte dell' On. Manaresi, che «per incontinente odio di parte, ebbe la sfrontata perfidia di presentare alla Camera dei Deputati una interrogazione per chiedere la repressione delle calorose manifestazioni di consenso e di plauso che...

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