Il punto di vista del giudice: Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari in materia di separazione e divorzio

AutorePaolo Martinelli
Occupazione dell'autorePresidente di Sezione del Tribunale di Genova
Pagine47-58

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@1. Prima premessa, sul "punto di vista"

Quando mi sono chiesto, per fedeltà al tema che mi avete assegnato, quale fosse il mio punto di vista sul problema di cui oggi discutiamo, ho dovuto accorgermi di averlo interamente cambiato. La prima volta che ho scritto qualcosa1 sul reclamo cautelare, infatti, mi ponevo dall'interno del modello uniforme del procedimento con un'ottica tutta processuale e nazionale; oggi guardo al problema, di cui oggi discutiamo, da un punto di vista prevalentemente sostanziale e sopranazionale, comunque più interno al diritto delle persone (questa è un'espressione che preferisco all'altra, più usata ma meno ampia, di diritto di famiglia).

Non saprei dire se questo sia sempre il punto di vista "del giudice"; diciamo che è il punto di vista di "un giudice", che da vari anni sperimenta un utilizzo ampio del reclamo cautelare in materia di provvedimenti del giudice delle separazioni (e dei divorzi), e dà (con i colleghi della Sezione) un giudizio molto positivo su questa esperienza. Sono dunque molto grato agli organizzatori per aver dato modo a me (e credo di poter dire "al Tribunale di Genova") di sottoporre a una discussione ampia questa nostra esperienza, e sono particolarmente lieto che questo avvenga per iniziativa (anche) di un Osservatorio del diritto di famiglia, perché auspico che anche un Osservatorio genovese possa presto (incrementando le forze che lo sorreggono) ricambiarvi l'invito.

Ma passo subito a rappresentarvi la spina dorsale del mio intervento che, come dice- vo in apertura, pretende di collocare il ragionamento in un ambito europeo, e più precisa- Page 48mente nel cuore della tematica della tutela, in ambito nazionale, dei diritti fondamentali attribuiti a ogni persona dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

So bene che è possibile argomentare sull'argomento del reclamo collegiale anche prescindendo del tutto da questa prospettiva: l'ho fatto in passato anch'io, lo abbiamo fatto (come Tribunale di Genova) in alcune decisioni che sono state pubblicate su riviste, lo fanno insigni studiosi e, mi sembra, la totalità dei colleghi che sinora escludono l'ammissibilità del ricorso contro i provvedimenti emessi dai giudici istruttori ex art. 708 c.p.c. (o 4 della legge sul divorzio). Ma a me pare che l'approccio diverso, che oggi vi propongo come mio contributo specifico (e personale) alla discussione, sposti sensibilmente l'asse del problema, e dia un colore tutto diverso alle varie soluzioni.

Sino a quando lo consideriamo un problema interno all'ordinamento nazionale, infatti, anche a me pare che l'ammissibilità del reclamo cautelare contro i provvedimenti dei giudici istruttori rimanga un problema interpretativo complesso e fortemente opina- bile; a questa opinabilità corrisponde, del resto, l'attuale contrasto giurisprudenziale, che vede ancora la maggioranza dei colleghi contrari all'ammissibilità2. Ma se collochiamo il problema nell'ordinamento sopranazionale3, la mia convinzione è che esso diventi insieme più semplice, e direi anche assai più chiaro. Come cercherò ora di illustrare, a me pare anzi che in quest'ottica la soluzione dell'ammissibilità del reclamo al collegio diventi una soluzione per più aspetti obbligata.

@2. Seconda premessa, su specializzazione e organizzazione degli uffici

Ma nel mio discorso ci sarà un secondo aspetto, con il quale concluderò il mio discorso, e al quale preferisco aggiungere subito un accenno, che sarebbe errato considerare come "fuori tema". Infatti quello che, a mio modo di vedere, è il nodo veramente critico (di questo come di altri problemi interpretativi) sono le ricadute sull'organizzazione e sulla gestione degli uffici e del lavoro: aspetto, questo, che emerge non tanto nei convegni quanto nei discorsi diretti con i colleghi, i quali spesso mi chiedono (preoccupati) come facciamo ad assorbire, a Genova, il lavoro aggiuntivo che viene dai reclami contro i provvedimenti del giudice istruttore.

Dirò subito che, in gran parte, questo è un problema a dimensione minima, probabilmente perché i difensori valutano con grande prudenza le possibili conseguenze di una decisione collegiale di rigetto del reclamo: fatto sta che solo raramente noi abbiamo dovuto far fronte a più di un reclamo alla settimana (avendo una pendenza di circa un migliaio di procedimenti in istruttoria tra separazioni e divorzi, e includendo nel conto Page 49 anche i normali reclami cautelari contro provvedimenti ante causam resi in altri procedimenti). In ogni caso a Genova il problema della specializzazione della sezione è stato un problema molto presente, che proprio quest'anno ha portato a una riduzione del numero dei magistrati, proprio al fine di consentire (tornerò sul punto alla fine) una specializzazione piena delle materie affidate alla sezione che presiedo.

Non è per questo, comunque, che ho voluto parlare subito anche di questo aspetto, ma piuttosto per suggerire un collegamento tra il tema di oggi e quello, più complessivo, del Tribunale specializzato per la famiglia.

@3. Sommario degli argomenti

In ogni caso, sono venuto non a riproporvi la rilettura di una delle nostre ordinanze (che in questa sede credo di poter dare per lette), ma a confrontarmi con voi su un ragionamento assai più articolato, del quale vi espongo subito una specie di sommario.

L'argomento dal quale partirò non è interno al diritto di famiglia, ma riguarda più in generale i compiti del giudice italiano per la tutela dei diritti fondamentali che la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (ma il discorso dovrebbe allargarsi anche alla Carta europea di Nizza, e spingersi sino agli sviluppi tendenziali del diritto comunitario) attribuisce a ogni persona nelle sue relazioni familiari. Per questi aspetti, mi sento un latore di opinioni più che un protagonista, nel senso che mi limiterò a ricondurre, alla nostra materia, riflessioni che non sono nate nel campo del diritto di famiglia4.

Poiché però noi ragioneremo sull'art. 8 (quello sul rispetto della vita privata e familiare) e sull'art. 13 (quello sul diritto di ricorso effettivo) della CEDU, norme sulle quali l'elaborazione giurisprudenziale è molto meno consistente che sul tema della ragionevole durata del processo (altro diritto fondamentale attribuito a ciascuno dall'art. 6 della CEDU) ritengo necessario (scusandomene con chi ha già presente il tema) un breve riassunto del percorso concettuale che la Corte di Cassazione ha fatto negli ultimissimi anni in ordine ai rapporti tra CEDU e ordinamento nazionale. Nel passare all'ambito specifico di applicazione dell'art. 8 sarà, naturalmente, necessario rilevare analogie e differenze tra il diritto alla ragionevole durata del processo e il diritto di ciascuno alle proprie relazioni familiari.

Il secondo passaggio sarà dedicato in modo più specifico al tema del rimedio processuale, cioè al "ricorso effettivo" assicurato ai titolari di diritti fondamentali dall'art. 13 della CEDU; toccherò, in particolare riferimento, il tema dell'imparzialità c.d. oggettiva dell'organo destinatario del ricorso; e sarà rispetto a questo secondo argomento che esporrò qualche riflessione sui poteri di decisione sommaria/cautelare (l'ambiguità della dizione qui è d'obbligo) del giudice istruttore nei procedimenti di separazione e divorzio. Page 50

La conclusione, l'ho già detto, sarà dedicata al senso della specializzazione del giu- dice che tratta questioni di famiglia, e all'auspicio che anche questo bel Convegno possa essere un momento di avvicinamento al Tribunale specializzato della famiglia.

@4. I diritti fondamentali europei davanti al giudice italiano

La ragione per la quale è utile ripercorrere, oggi, quanto è avvenuto a proposito della durata ragionevole del processo è che, ancora tra il 2002 e il 2003, la nostra Corte di Cassazione affermava5 che la Convenzione europea attribuirebbe "in primo luogo a ciascuno Stato la cura di assicurare il godimento dei diritti riconosciuti al singolo (art. 1)", per cui la tutela davanti alla Corte di Strasburgo avrebbe soltanto un "carattere sussidiario" (esaurite le vie di tutela nazionali), e dunque le decisioni di quella Corte non potevano avere effetti vincolanti per i giudici nazionali.

Saltando qualche passaggio, quello che conta è che, dopo la notissima decisione Scordino c. Italia della Corte europea dei diritti dell'uomo, 27 marzo 20036, l'intera cultura giuridica italiana ha dovuto fare una netta revisione; in quella sentenza, la Corte di Strasburgo aveva affermato (mutando giurisprudenza rispetto alla precedente pronuncia sul caso Brusco7 non solo la propria competenza a valutare in concreto l'effettività della riparazione offerta a livello nazionale8, ribadendo (in motivazione) il carattere fondamentale del diritto in questione, ma soprattutto che alle autorità nazionali spetta di interpretare e applicare il diritto nazionale in senso conforme ai principî della convenzione, per concludere infine che "pur rispettando il margine di valutazione di cui le giurisdizioni nazionali dispongono, queste ultime devono conformarsi alla giurisprudenza della corte accordando somme conseguenti". E tutti sappiamo che tra la fine del 2003 e l'inizio del 2004 la nostra Corte suprema ha modificato il proprio orientamento precedente, prima chiarendo9 che nel nostro ordinamento il diritto all'equa riparazione esisteva comunque (come diritto sostanziale) anche prima della legge Pinto, in quanto rispetto all'art. 2 della Costituzione "il dettato della Convenzione assume una portata confermativa ed esemplificativa"; poi affermando anch'essa che la legge 89/2001 impone al giudice di merito nazionale di non discostarsi, se non in misura "ragionevole" dai criteri di liquidazione dell'equa riparazione utilizzati dalla Corte europea. Page 51

In modo anche più esplicito, la successiva Cass., 23 dicembre 2005, n. 2850710 ha affermato la natura "immediatamente precettiva delle norme convenzionali a seguito dello strumento di ratifica dello...

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