Il punto di vista dell'Università: Reclamo, revoca e modifica dei provvedimenti sommari nella separazione e nel divorzio

AutoreFilippo Danovi
Occupazione dell'autoreProfessore di diritto processuale civile, Università di Milano-Bicocca
Pagine25-45

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@1. Premessa: le impugnazioni dei provvedimenti sommari tra garanzie di difesa ed esigenze di stabilità

Il tema delle impugnazioni rappresenta per definizione uno dei fondamenti sui quali si impernia qualsiasi sistema di diritto processuale. Per assolvere al proprio compito istituzionale, la tutela giurisdizionale è chiamata infatti a reperire un punto di equilibrio tra diverse esigenze, che nello svolgimento diacronico del processo sollecitano soluzioni e modelli antiteticamente orientati.

Da un lato, la funzione primaria della tutela giurisdizionale consiste nell'assicurare la certezza, da sempre postulato e cardine della scienza del diritto; e tale connotato rappresenta un formante insopprimibile anche del diritto processuale, attesa la necessità che il giudizio, una volta assolto il proprio compito e accordata la tutela richiesta, ritorni al ter- reno del diritto sostanziale, quasi fondendosi con esso (si pensi alla tradizionale funzione della res judicata di facere de albo nigrum).

Per converso, il valore della difesa e il riconoscimento della fallibilità del giudizio umano impongono nei confronti della decisione l'adozione di una serie di rimedi esplicantisi in ulteriori gradi di giudizio ovvero come strumenti di "revisione" di differente significato e possibile valenza. In ciò si sostanzia il significato delle impugnazioni, il cui etimo allude al rinnovato esercizio della forza e quindi, in ultima analisi, della difesa attiva. Page 26

La necessità di contemperare questi opposti valori e reperire un punto di equilibrio tra essi si avverte non soltanto in relazione ai provvedimenti decisori "finali" (rectius, definitivi), ma altresì per quelli di natura provvisoria o sommaria, chiamati a dettare una disciplina meramente temporanea per le situazioni sostanziali in contesa. Per alcuni profili, anzi, proprio la sommarietà dell'intervento cognitivo che di regola caratterizza i provvedimenti provvisori rende fondamentale assicurare la presenza di uno strumento di controllo ad hoc1.

@2. Genesi ed evoluzione dei provvedimenti provvisori nella separazione e nel divorzio

Per lungo tempo, nel silenzio della legge, dottrina e giurisprudenza si sono interrogate in merito alla natura dell'ordinanza con la quale il presidente, nella prima fase dei giudizi di separazione e divorzio, impartisce i provvedimenti provvisori e urgenti nell'interesse dei coniugi e della prole2; e dal dibattito sulla natura al dibattito sulla stabilità e sulla Page 27 ammissibilità di un controllo immediato (sub specie di un'impugnazione che avrebbe assunto la forma del reclamo) il passo era ovviamente breve.

In questo ambito, la tesi negativa aveva decisamente prevalso3, anche se la riconosciuta funzione (quanto meno lato sensu) cautelare di tali provvedimenti4, unitamente a una lettura "a maglie aperte" del reclamo cautelare ex art. 669-terdecies c.p.c.5, avevano indotto parte della dottrina6 e della giurisprudenza di merito a sostenere l'esperibilità del rimedio anche avverso di essi7. Page 28

La l. 14 maggio 2005, n. 80, pur non prendendo posizione esplicita sul tema, ha contribuito a rinvigorire l'antica querelle. Nel rinnovare integralmente la disciplina dei giudizi di separazione e divorzio8, la riforma ha modificato la precedente formula codicistica, estendendo per tabulas anche alla separazione (art. 709, 4º comma, c.p.c.) il potere di libera modifica e revoca da parte del GI dei provvedimenti resi dal presidente, senza più riservarlo alle ipotesi di deduzione di mutamenti nelle circostanze (anche se va ricordato come detta soluzione fosse stata da più parti già ammessa anche nel precedente regime, mediante applicazione analogica dell'art. 4, 8º comma, l. div.)9. Page 29

La nuova previsione ha quindi indotto parte della dottrina a rafforzare il convincimento circa la non reclamabilità dell'ordinanza presidenziale, considerando la libera modificabilità e revocabilità come dato incompatibile (in aggiunta alle precedenti argomentazioni a sostegno della tesi negativa) con il reclamo ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., unico sino allora astrattamente ipotizzabile10. In questa direzione tale argomento negativo sarebbe risultato assorbente anche rispetto al dato (pure astrattamente orientato in direzione opposta) dell'introduzione di un sistema generale di misure cautelari di natura anticipatoria dotate del carattere di ultrattività, ma non per questo non reclamabili11.

In senso contrario, è stato invece evidenziato come proprio la l. n. 80/2005 avrebbe determinato il venir meno delle ragioni antea volte a negare la reclamabilità dei provvedimenti presidenziali, sub specie delle loro caratteristiche di ufficiosità e ultrattività. Sotto il primo profilo, l'ordinamento contempla in effetti provvedimenti emanabili ex officio e pur tuttavia reclamabili12; mentre in relazione al carattere di ultrattività si è giustamente rimarcato che il rito societario, dapprima, e il nuovo regime dei provvedimenti cautelari, poi, hanno portato una decisa attenuazione del nesso di strumentalità necessaria rispetto al giudizio di merito per i provvedimenti aventi natura anticipatoria (senza che da questo ne possa conseguire la loro non reclamabilità)13.

Nel dibattito tra le due contrapposte posizioni è intervenuta la l. 8 febbraio 2006, n. 5414, che, senza (almeno apparentemente) incidere sul "nuovo" regime di revoca/modifica da parte dell'istruttore, ha sciolto ogni possibile dubbio inserendo nella chiusa dell'art. 708 c.p.c. la previsione per cui "Contro i provvedimenti di cui al terzo comma" (i.e., i provvedimenti presidenziali) "si può proporre reclamo con ricorso alla corte d'appello che si pronuncia in camera di consiglio. Il reclamo deve essere proposto nel termine perentorio di dieci giorni dalla notificazione del provvedimento"15. Page 30

@3. L'impostazione tradizionale degli strumenti del reclamo e della revoca: differenze e caratteri tipizzanti

La compresenza nel sistema dei due strumenti sopra evidenziati (reclamo e revoca) induce quindi a interrogarsi sul rispettivo ambito di applicazione.

Al riguardo, dal punto di vista della sistematica processuale, reclamo e revoca appaiono istituti - almeno astrattamente e a una prima lettura - diversamente finalizzati e connotati da specifiche differenze.

E così, dal punto di vista della funzione, mentre il reclamo di regola viene utilizzato alla stregua di (si licet) gravame in senso proprio nei confronti di determinate classi di provvedimenti e, in quanto tale, comporta la rinnovazione del giudizio, esplicando effetto anche sostitutivo del provvedimento impugnato, la revoca, pur non integrando nel sistema l'esercizio di un potere unitario16, viene tradizionalmente e nelle sue linee essen- ziali impostata come strumento dalla funzione meramente caducatoria/eliminatoria17. La nozione di revoca (nell'alveo della quale vengono peraltro accomunate fattispecie marcatamente differenti, in alcune delle quali l'organo giurisdizionale esplicita una sorta di mero ius poenitendi - sollecitato o meno dall'istanza di parte18 -, mentre in altre si trova Page 31 a dare atto di elementi che innovano la situazione già disciplinata19) consiste in ogni caso nell'esercizio di un munus omogeneo per natura a quello esercitato dal giudice con il provvedimento del quale si intendono porre nel nulla gli effetti.

Relativamente alla incidenza, poi, il reclamo insta necessariamente avverso provvedimenti che, proprio perché intrinsecamente passibili di un immediato controllo, presentano una stabilità ancora ridotta. Esso integra un segmento/fase eventuale, che laddove esperito, diviene tuttavia necessario per il completamento dell'iter formativo del giudizio. In questa prospettiva, il reclamo si indirizza contro provvedimenti potenzialmente (ma non ancora) definitivi e può pertanto definirsi motivo della stabilità ridotta del provvedimento e al contempo rimedio contro di essa20.

Per contro, la revoca interessa di regola provvedimenti interinali comunque provvisori e come tali intrinsecamente inidonei alla definitività (così la revoca generale dell'ordinanza ex art. 177 c.p.c.21), anche laddove dotati di funzione lato sensu decisoria o comunque tale da incidere su diritti (è il caso delle ordinanze anticipatorie di cui agli artt. 186-bis e 186-ter c.p.c.22), ovvero provvedimenti che hanno già completato il loro fisiologico excursus e si presentano pertanto come definitivi23 (v. l'art. 742 c.p.c.), indipendentemente dalla vexata quaestio di una loro possibile idoneità alla cosa giudicata, almeno di tipo formale24. Page 32

Ancora, dal punto di vista dei termini, il reclamo in quanto mezzo di gravame è fisiologicamente assoggettato a un termine di proponibilità (eventualmente a doppio regime, vincolato o meno all'adempimento di una specifica conditio iuris), mentre la revoca si presenta tendenzialmente come rimedio esperibile senza limiti di tempo, per motivi non soltanto sopravvenuti ma - almeno secondo un orientamento - anche originari25.

Infine, dal punto di vista dell'organo giudicante, la decisione sul reclamo di regola compete a un organo di grado superiore o quanto meno in una composizione più allargata (cfr. sempre l'art. 669-terdecies c.p.c.), mentre la revoca rimane appannaggio dello stesso giudice che ha pronunciato il provvedimento la cui efficacia si intende rimettere in discussione.

@4. Crisi dell'impostazione tradizionale in relazione ai provvedimenti presidenziali nella separazione e nel divorzio

A un esame più analitico, le differenze appena evidenziate tendono tuttavia ad assottigliarsi e confondersi e ciò anche a motivo dell'assenza di una disciplina unitaria e dell'utilizzo di rimedi dallo stesso nomen juris anche nei confronti di provvedimenti di differente natura.

In ogni caso, l'intervento giudiziale impone non soltanto per il reclamo ma anche per la revoca una comune modalità di estrinsecazione, per la quale l'organo giudicante è tenuto a motivare il suo eventuale dissenso dal...

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