Ai limiti della violenza sessuale: il dibattuto problema della rilevanza penale dei toccamenti repentini ed insidiosi

AutoreGiovanni Francolini
Pagine716-722

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@1. Le due sentenze

Le pronunce in epigrafe, entrambe relative a casi concreti analoghi in cui erano state elevate imputazioni per il delitto di violenza sessuale commesso mediante palpamenti repentini delle zone erogene, affrontano profili distinti e complementari della dibattuta incriminazione di cui all'art. 609 bis c.p. In particolare, la sentenza della Suprema Corte svolge una disamina del concetto di atti sessuali, verificando anche la compatibilità tra la dizione normativa ed i principi di determinatezza della legge penale e di uguaglianza; inoltre, poiché il giudizio ha riguardato condotte poste in essere in un pubblico ufficio, esamina la tematica dell'osceno. La sentenza del Tribunale di Palermo si sofferma, invece, sul requisito della violenza nei reati sessuali.

@2. La nozione di atti di libidine ed il concetto di atti sessuali

La Suprema Corte con la sentenza che si annota ha, anzitutto, individuato il minimum di condotta penalmente rilevante perché resti integrato il delitto di violenza sessuale riconducendo alla norma penale in discorso i palpeggiamenti ed i toccamenti che attingono non solo i genitali ma anche le zone ritenute erogene dalla scienza medica, psicologica ed antropologica. medesima maniera in cui li ha ricostruiti in dibattimento, maniera che, in relazione e all'angustia del locale in cui l'episodio si è svolto, non consente di escludere senza che residui alcun dubbio - ferma restando l'assoluta buona fede della persona offesa - che i fattisi siano svolti secondo la dinamica narrata dal B., non potendosi, invero, ritenere con certezza che i contatti tra quest'ultimo e la P. non siano stati meramente fortuiti.

Alla stregua dell'esposizione sopra svolta deve, allora, ritenersi che il fatto acritto all'imputato non sia assistito dal requisito della violenza e non possa, dunque, ritenersi tipico ai sensi dell'art. 609 bis c.p., imponendosi, pertanto, l'assoluzione di B.G. perché il fatto a lui ascritto non sussiste.

In ogni caso, come si è detto, il compendio probatorio risultante all'esito del dibattimento dovrebbe comunque ritenersi insufficiente, in quanto la ricostruzione del fatto, come svolta in base alle risultanze dibattimentali non è atta a «falsificare» adeguatamente la spiegazione alternativa alla tesi accusatoria che ha fornito la difesa: la prova fornita in giudizio non ha raggiunto, dunque, «... la consistenza ed efficacia (che sono richieste)... per poter fondare una affermazione di responsabilità» (Cass. 14 marzo 1997, Calabrò).

Ai sensi dell'art. 544 c.p.p., si determina in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione. (Omissis).

In generale, la formulazione della vigente incriminazione dell'art. 609 bis c.p. fa sì che l'esatta delimitazione dell'ambito delle condotte penalmente illecite, ossia del fatto tipico, derivi dall'esegesi della locuzione atti sessuali, la cui genericità solleva problemi ermeneutici proprio allorché occorre determinare la soglia minima delle condotte passibili di pena (così, per tutti, CADOPPI, Commento all'art. 3 L. 15 febbraio 1996 n. 66, in AA.VV., Commentari delle norme contro la violenza sessuale e della legge contro la pedofilia, a cura di CADOPPI, 3a ed., Padova 2002, 45; FIANDACA, Violenza sessuale, voce dell'Enc. dir., aggiorn., IV, Milano 2000, 1155).

La dottrina e la giurisprudenza a tal fine prendono come inevitabile parametro il concetto di «atti di libidine», di cui all'abrogato art. 521 c.p., la cui portata - perfino quando la legge 66/1996 era già in vigore e la precedente normativa continuava ad essere applicata alle condotte pregresse in forza dell'art. 2 c.p - è stata controversa proprio allorché occorreva stabilire la rilevanza penale delle condotte meno offensive, quali la «pacca» ed il bacio non desiderato.

Ebbene - nonostante il codice del 1930 avesse descritto il fatto tipico in senso maggiormente oggettivo rispetto alla dizione riportata nel codice del 1889, abbandonando il riferimento ivi contenuto alla direzione degli atti, ossia all'intenzione dell'agente (l'art. 333 c.p. 1889 puniva come «atti di libidine» quelli che non erano «diretti al delitto» di violenza carnale) - le Corti, in maniera più evidente nelle pronunce meno recenti,Page 717 nel definire gli «atti di libidine» avevano per lo più continuato ad aderire ad una visione soggettiva che faceva leva sull'atteggiamento interiore del soggetto attivo, ricercando nella condotta «un requisito soggettivo di antigiuridicità» da individuarsi nella «insorgenza di uno stato interiore psichico caratterizzato da libidine sessuale» (Cass. 9 aprile 1976, Azzani, Foro it., Rep. 1977, voce Violenza carnale e atti di libidine violenti, n. 7), di regola richiedendo l'idoneità dell'atto ad eccitare e dare sfogo alla concupiscenza carnale (cfr. Cass. 15 novembre 1983, Filippini, Foro it., Rep. 1984, voce Violenza carnale e atti di libidine violenti, n. 14; 24 marzo 1976, Condorelli, id., Rep. 1977, voce cit., n. 13; 12 febbraio 1954, Clementini,id., Rep. 1954, voce cit., n. 79).

E proprio valorizzando la direzione della volontà dell'agente la giurisprudenza risolveva i menzionati casilimite, ritenendo sufficiente ad integrare il delitto di atti di libidine anche «il toccamento di qualsiasi parte del corpo, e non già soltanto di quelle intime, purché (...) rivolto alla eccitazione della brama sessuale» (Cass. 29 settembre 1986, Mass. uff. 1986, m. 174423, caso in cui un medico aveva abbracciato una paziente, cfr. pure, Cass. 22 gennaio 1971, Gaiani, in Foro it., Rep. 1972, voce Violenza carnale e atti di libidine violenti, nn. 14 e 15, fattispecie nella quale l'imputato aveva toccato la coscia o il gluteo della persona offesa; 26 giugno 1942, Ferrari, in Giust. pen. 1943, I, 49 che aveva affermato la rilevanza penale, in presenza della riferita direzione della volontà del reo, dei palpamenti furtivi ricadenti su qualsiasi parte del corpo; in dottrina, v. CADOPPI, Commento al'art. 3, cit., 43 ss.; FIANDACA, La rilevanza penale del «bacio» tra anatomia e cultura, in Foro it. 1998, II, 505 ss.; ID., Violenza sessuale, cit., 1156; ID., Violenza sessuale, voce dell'Enc. dir., XLVI, Milano 1993, 961 ss.; TABARELLI DE FATIS, Sulla rilevanza penale del «bacio» come atto di libidine prima e dopo la riforma dei reati sessuali, in Riv. it. dir. e proc. pen. 1997, 965 ss., spec. 972 ss.). Affermazioni sostanzialmente del medesimo tenore si riscontravano a proposito del bacio, suscettivo di assumere rilevanza penale, come atto di libidine, soltanto se sorretto da intento lascivo e se dato in modo o su parte del corpo idonea a manifestare il desiderio erotico del baciante (cfr. Cass. 10 ottobre 1986, Benini, in Foro it., Rep. 1987, voce Violenza carnale, n. 11; 30 settembre 1986, Torelli, ibid., n. 13; 29 settembre 1986, Condorelli, ibid., n. 10; 16 ottobre 1969, Cappalli, ibid., Rep. 1970, voce Atti osceni e contrari alla pubblica decenza, n. 7). Tuttavia nell'ultimo periodo di applicazione dell'abrogata fattispecie nella prassi applicativa era andata emergendo una linea interpretativa «liberal, che negava che configurassero il delitto di atti di libidine sia il bacio, almeno quando indirizzato su una zona non erogena, sia i contatti che attingessero zone corporee non «oggettivamente sessuali», ossia non intercorressero tra «organo virile» e «organi genitali» o non si estrinsecassero almeno in toccamenti degli organi genitali (così AN. STILE, Anche la «pacca» sul sedere costituisce violenza sessuale. L'interpretazione della Cassazione sulla nozione di atto sessuale, in Cass. pen. 2005, 1182 ss., spec. 1185; cfr. pure FIANDACA, Violenza sessuale, aggiorn. cit., 1157; ID., La rilevanza penale del «bacio», cit., 505; cfr. pure CADOPPI, Commento, cit., 57; in giurisprudenza cfr. 9 ottobre 1997, Corsaro, in Foro it. 1998, II, 505 ss.; 11 ottobre 1995, Delogu, id., Rep. 1996, voce Violenza sessuale, n. 26 e Riv. it. dir. e proc. pen. 1997, 962 ss., con nota di TABARELLI DE FATIS, Sulla rilevanza penale del «bacio», cit.; contra Cass. 27 aprile 1998, Di Francia, in Foro it. 1998, II, 505 ss., la quale aderisce all'orientamento più rigoroso).

Sul tema in dottrina non vi era concordia. Si registrava, infatti, una visione maggioritaria che, conformemente alla giurisprudenza tradizionale, interpretava la locuzione normativa alla luce di parametri soggettivi, evidenziando come la direzione della volontà dovesse venire in rilievo già in sede di verifica della sussistenza del fatto tipico (cfr. ad es. MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, V ed. agg. da NUVOLONE-G.D. PISAPIA, VII, Torino 1984, 359 ss.). In quest'ottica, gli atti di libidine violenti, utilizzando una categoria dogmatica elaborata dalla dottrina tedesca, erano stati inquadrati tra i «delitti di tendenza» (cfr. PICOTTI, Il dolo specifico, Milano 1993, 139 ss.).

Altri autori, viceversa, propugnavano una nozione oggettiva degli atti di libidine, attribuendo rilevanza penale ai sensi dell'art. 521 c.p. «a tutte le manifestazioni dell'istituto sessuale» diverse dalla congiunzione carnale considerate in sé, ossia a prescindere dal fine che il reo intendesse realizzare con la condanna (cfr. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale - parte speciale I, XI ed. integr. ed agg. a cura di CONTI, Milano 1994, 481; PECORARO ALBANI, Atti di libidine violenta, voce dell'Enc. dir., IV, Milano 1959, 7).

Tuttavia, come correttamente rilevano analisi più recenti (CADOPPI, Commento all'art. 3, cit., 43; TABARELLI DE FATIS, Sulla rilevanza penale del «bacio», cit., 968) anche gli esponenti di tale opzione ermeneutica, soprattutto allorché occorreva verificare la rilevanza penale dei casi-limite, finivano con l'aderire ad una prospettiva «mista», colorando di illiceità condotte oggettivamente non libidinose, ove esse fossero assistite da una «intenzione lasciva, diretta (...) al fine erotico» (cfr. PECORARO ALBANI, Atti di libidine, cit., 8 ss.).

Una peculiare posizione, in seno all'interpretazione oggettiva degli atti di...

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