L'obbligo di vigilanza del datore di lavoro, in particolare in relazione all'uso dei dispositivi di protezione individuale

AutoreElena Del Forno jr.
Pagine551-553

Page 551

La recente sentenza in commento si rivela particolarmente interessante sia per le conclusioni cui perviene, sia per i numerosi spunti di riflessione che offre.

Anzitutto, ci porta a delineare i contorni dell'obbligo di vigilanza esistente in capo al datore di lavoro e in generale e con riferimento all'uso dei dispositivi di protezione individuale da parte dei lavoratori.

Nell'affrontare l'argomento, occorre chiedersi, prima di tutto, se vi sia differenza tra l'omissione della predisposizione di misure protettive e l'omissione della vigilanza sull'uso delle stesse da parte dei sottoposti. In senso negativo ha risposto, anche recentemente, la Suprema Corte di Cassazione 1, in linea con il proprio consolidato orientamento. Le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l'insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla mera disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili a titolo di colpa. Il datore di lavoro è quindi sempre responsabile dell'infortunio, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non vigili e non accerti che di queste misure venga fatto effettivamente uso. Non si potrebbe infatti attribuire all'eventuale concorso di colpa del lavoratore alcun effetto esimente a favore dell'imprenditore che abbia provocato un infortunio per violazione delle prescrizioni antinfortunistiche.

Nell'ipotesi di violazione delle norme poste a tutela dell'integrità fisica del lavoratore, il datore di lavoro è quindi interamente responsabile dell'infortunio che ne sia conseguito e non può invocare a suo favore nemmeno il concorso di colpa di quest'ultimo, avendo egli in prima persona l'obbligo giuridico di proteggerne l'incolumità, nonostante l'eventuale imperizia, imprudenza o negligenza.

L'imprenditore potrà andare esente da responsabi lità solo quando il comportamento del dipendente abbia i caratteri della abnormità, della inopinabilità e della esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive ricevute, oppure della atipicità e della eccezionalità, in modo da porsi comunque come causa esclusiva dell'evento.

In tutti i casi invece in cui la condotta del lavoratore finisca per configurarsi nell'eziologia dell'evento dannoso come una mera modalità dell'iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché imposta in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzatosi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche e nell'ordine di eseguire incombenze pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell'evento dannoso.

Il principio, recentemente ribadito dalla Suprema Corte era stato già applicato ad un'interessante fattispecie nella quale un lavoratore aveva riportato l'amputazione di alcune dita della mano che aveva introdotto, in modo palesemente avventato e incauto in una macchina che stava pulendo, lasciata in movimento dagli operai del turno precedente. La Cassazione, in quel caso, aveva confermato la sentenza impugnata, che aveva ritenuto il direttore dello stabilimento responsabile dell'evento per la mancata predisposizione delle misure antinfortunistiche e, in particolare, per non aver installato un microinterruttore al portello di accesso della macchina stessa, idoneo a determinarne l'immediato fermo nel caso di apertura 2.

Il principio generale esposto è peraltro assai risalente. Così veniva motivato sin dagli anni '70: di fronte alla condotta antigiuridica del datore di lavoro o dei soggetti a questo equiparati, il lavoratore non avrebbe evidentemente altra scelta, per osservare la norma antinfortunistica, se non quella di rifiutare l'esecuzione del lavoro, compromettendo però così la propria posizione nell'ambito del rapporto lavorativo, cosa che non può intendersi richiesta da una normativa che si propone di tutelare proprio il lavoratore 3. Già all'epoca, tuttavia, si era consapevoli che solo l'adempimento dell'obbligo di protezione oggettiva, ispirata ad una logica di garanzia assoluta, diretta ad evitare il sorgere di qualsiasi situazione di pericolo, avrebbe reso ininfluenti gli effetti di eventuali comportamenti imprudenti dei lavoratori.

Ma, dato che questo genere di garanzia raramente è realizzabile, o comunque molto spesso accade che essa venga vanificata dal comportamento dell'addetto, fondamentale diviene l'accertamento da parte del giudice del livello di formazione, della messa a disposizione degli strumenti di prevenzione e di tutela, infine dell'esistenza effettiva e dell'efficacia...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT