Le vicende del patrimonio ereditario

AutoreStefano Ambrogio
Pagine389-402

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@1 I poteri del chiamato prima dell’accettazione

In attesa che il chiamato all’eredità (più propriamente il delato) acquisti i diritti ereditari con l’accettazione (vedi par. 4), il patrimonio ereditario ormai privo del suo titolare defunto si trova in una situazione di vacatio.

Il complesso dei beni ereditari viene quindi considerato dall’ordinamento giuridico nella sua unitarietà quale patrimonio senza soggetto (Capozzi, Cariota Ferrara), ma comunque destinato ad un altro soggetto, il chiamato (la migliore dottrina parla a questo proposito di patrimonio di destinazione). Non a caso il codice riconosce al chiamato all’eredità che non ha ancora accettato una serie di poteri tesi a conservare l’integrità del patrimonio ereditario (art. 460 c.c.):
il chiamato all’eredità può esercitare le azioni possessorie a tutela dei beni ereditari anche senza la materiale apprensione degli stessi, cioè anche senza che abbia acquisito il possesso materiale dei beni ereditari;
il chiamato può inoltre esercitare atti conservativi, di vigilanza e di amministrazione temporanea e può farsi autorizzare dall’autorità giudiziaria a vendere beni ereditari che non si possono conservare o la cui conservazione sia particolarmente dispendiosa.

Il chiamato, oltre ad avere tali poteri di amministrazione, acquista al momento della delazione il diritto di accettare l’eredità, diritto che entra nel suo patrimonio ed, infatti, se egli muore prima dell’accettazione, lo stesso si trasmette agli eredi ai sensi dell’art. 479 c.c. (vedi par. 3).

Il diritto di accettare l’eredità, vero e proprio diritto soggettivo, è considerato dalla dottrina un diritto al diritto, cioè un diritto finalizzato all’acquisizione di altri diritti.

@2 L’eredità giacente

Il codice attribuisce i poteri di amministrazione del patrimonio ereditario al chiamato al fine di evitare che nell’attesa dell’accettazione (che potrebbe

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sopraggiungere dopo anni o non sopraggiungere affatto) i beni ereditari restino abbandonati e privi di tutela.

Ma può anche accadere che il chiamato si disinteressi dell’amministrazione e conservazione degli stessi.

In questo caso il codice dispone la nomina di un curatore dell’eredità giacente.

Ai sensi dell’art. 528 c.c., quando il chiamato all’eredità non ha accettato l’eredità e non è nel possesso dei beni ereditari, il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o d’ufficio, può nominare un curatore dell’eredità giacente destinato ad amministrare i beni ereditari e a curare gli interessi dell’eredità fin quando questa non venga accettata da qualcuno dei chiamati o eventualmente devoluta allo Stato.

Con la nomina del curatore, il chiamato all’eredità perde i suoi poteri di amministrazione del patrimonio ereditario (art. 460, ultimo comma, c.c.).

@3 Trasmissione dell’eredità, sostituzione, rappresentazione e accrescimento

Non sempre il chiamato all’eredità può effettivamente succedere. Egli, ad esempio, potrebbe essere dichiarato indegno oppure potrebbe essere morto prima dell’apertura della successione o nel tempo che intercorre tra questa e l’accettazione dell’eredità. Egli, inoltre, potrebbe ritenere più opportuno non accettare l’eredità.

In tutti questi casi, è necessario individuare a chi devono devolversi i diritti che facevano capo al defunto.

@@a) Trasmissione dell’eredità

L’art. 479 c.c. prevede l’ipotesi in cui il chiamato all’eredità muoia dopo l’apertura della successione, ma prima di avere accettato l’eredità.

In questo caso si verifica una trasmissione del diritto di accettare l’eredità agli eredi del chiamato.

Gli eredi del chiamato subentrano, infatti, nel patrimonio del loro dante causa e di tale patrimonio fa parte anche il diritto di accettare l’eredità di altro defunto: essi, dunque, acquistano il diritto di accettare o di rinunziare a questa ulteriore eredità, oltre che tutti i poteri di amministrazione del patrimonio ereditario spettanti al chiamato ex art. 460 c.c.

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Perché si verifichi la trasmissione del diritto di accettare l’eredità è necessario che gli eredi del chiamato abbiano accettato l’eredità di questi: se vi hanno rinunziato, non acquisendo alcun diritto sul suo patrimonio ereditario, non possono acquistare nemmeno il diritto di accettare l’eredità originariamente devoluta al chiamato.

Nel caso di pluralità di eredi del chiamato, se questi non sono d’accordo per accettare o rinunziare, colui che accetta l’eredità acquista tutti i diritti e assume tutti gli obblighi, mentre rimane estraneo chi vi ha rinunziato.

@@b) sostituzione

Diverso è il caso in cui il chiamato all’eredità non possa (ad esempio perché è indegno o è morto prima dell’apertura della successione) o non voglia accettare l’eredità (ad esempio perché ha rinunziato all’eredità).

Il defunto potrebbe aver previsto questa ipotesi nel proprio testamento ed aver conseguentemente disposto una sostituzione.

Si ha sostituzione testamentaria in tutti i casi in cui il testatore, dopo avere istituito erede o legatario una determinata persona, dispone che se questa non vuole o non può accettare l’eredità, ad essa debba subentrare un altro soggetto (es.: "Nomino mio erede universale Tizio. Se Tizio non può o non vuole accettare l’eredità, gli sostituisco Mevio").

La sostituzione può operare anche con riferimento ad un legato (art. 691 c.c.). In questi casi, deve essere rispettata la volontà del defunto e, pertanto, se il primo chiamato non può o non vuole accettare l’eredità o il legato, gli si deve sostituire il secondo (art. 688 c.c.).

La sostituzione di cui abbiamo parlato fin qui è detta sostituzione ordinaria ed è l’ipotesi più frequente di sostituzione.

Il codice civile disciplina, però, anche un altro tipo di sostituzione, la sostituzione fedecommissaria che è quella disposizione testamentaria con la quale il testatore impone all’erede (cd. istituito o fiduciario) l’obbligo di conservare i beni ricevuti per restituirli alla sua morte ad un’altra persona (cd. sostituito o fedecommissario). L’istituto del fedecommesso, che risale al diritto romano, nasceva dalla esigenza di garantire l’integrità dei patrimoni familiari dei quali si poteva determinare il trasferimento e la destinazione anche dopo la morte. Attualmente esso è ammesso solo in alcune ipotesi nelle quali assolve ad una funzione assistenziale, in quanto è diretto a garantire la cura e l’assistenza di un incapace per il periodo successivo alla morte del de cuius. Così, ai sensi dell’art. 692 c.c., i genitori, gli ascendenti in linea retta o il coniuge di un interdetto possono istituire rispettivamente il figlio, il discendente o il coniuge con l’obbligo di conservare e restituire alla sua morte i beni a favore della persona o degli enti che hanno avuto cura dell’interdetto medesimo.

In tutti gli altri casi la sostituzione fedecommissaria è nulla. È nullo anche il cd. fedecommesso de residuo, ossia quella disposizione con la quale il testatore non impone l’obbligo di conservare, ma solo quello di restituire al sostituito ciò che resta dei beni ereditari alla sua morte.

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Nella sostituzione fedecommissaria si verificano due delazioni:
la prima a favore dell’istituito che deve essere necessariamente un interdetto, figlio, discendente o coniuge del testatore;
la seconda a favore del sostituito, ossia di quella persona fisica o ente che si è preso cura dell’interdetto. Con la morte di quest’ultimo l’eredità si...

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