Verso una nuova privacy nel condominio

AutoreAlberto Celeste
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Fino a qualche tempo fa, il concetto di privacy all'interno del condominio richiamava le tradizionali figure codicistiche in tema di distanze legali, aperture, balconi, terrazzi, prospetti, intercapedini, vedute in appiombo, luci, finestre, ecc.

La coesistenza di una pluralità di proprietà individuali nello stesso edificio, adiacenti o fronteggianti, poneva, però, in potenziale conflitto l'interesse riconosciuto a tutti partecipanti a questa peculiare forma di comunione, specie con riferimento alle regole stabilite circa l'uso delle cose comuni da parte dei condomini, e l'interesse del singolo alla riservatezza in ordine alla proprietà solitaria.

L'eterogenea contiguità (verticale ed orizzontale) delle unità abitative site nello stabile condominiale aveva creato numerosi problemi applicativi, in quanto, nell'ambito di un unico fabbricato, le norme che regolavano i rapporti di vicinato trovavano applicazione solo in quanto compatibili con la struttura dell'edificio e con le caratteristiche dello stato dei luoghi.

Al riguardo, nelle ipotesi in cui tali norme erano invocate in una controversia tra condomini, la giurisprudenza si era sforzata di valutare se, nel singolo caso, dette norme dovessero essere osservate o meno, in considerazione dell'esigenza di contemperare i diversi interessi di più proprietari conviventi in un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale convivenza, propria dei rapporti condominiali.

Tra questi interessi vi era appunto quello del singolo a tutelare la riservatezza, intesa come protezione della sfera privata dalla curiosità altrui, quasi una pretesa del condominio, per quanto concerne la sua intimità, a ripararsi contro le intollerabili indiscrezioni del dirimpettaio (in parole povere, il diritto ad essere lasciato solo: the right to be let alone direbbero gli inglesi).

Oggi, il concetto di privacy si arricchisce di nuovi significati: il pericolo di indesiderate invasioni nella vita privata è accresciuto dal progresso della tecnica, che ha creato nuove ed imprevedibili forme di riproduzione e diffusione delle notizie.

La facilità e la frequenza con cui attualmente possono essere raccolti ed elaborati dati concernenti gli abitanti del condominio, attraverso strumenti informatici di estrema rapidità ed immensa larghezza del campo di osservazione, ha destato in alcuni casi aspetti preoccupanti, specie per le possibili incidenze sul diritto del singolo a non essere inconsapevolmente «schedato» in una vera e propria «banca dati» di cui ignora totalmente le modalità di sfruttamento.

Ci si riferisce, in particolare, a quella sorta di anagrafe condominiale tenuta dall'amministratore al fine di conoscere esattamente e periodicamente chi sono i proprietari delle singole unità immobiliari dello stabile da lui amministrato, e, di contro, al diritto in capo al condomino di veder rispettata la sua riservatezza che può essere menomata dalla circolazione di informazioni sul suo conto senza previo consenso.

L'elenco dei condomini è, infatti, necessario per la corretta gestione del condominio, se solo si pensi, tanto per fare qualche esempio, alla convocazione delle assemblee, alla ripartizione delle spese - v. l'art. 67 att. c.c. sull'imputabilità delle stesse al nudo proprietario o all'usufruttuario

- alla riscossione dei contributi condominiali, al perseguimento dei condomini morosi in sede giudiziale.

Le problematiche relative all'obbligo dell'amministratore di tenere l'anagrafe condominiale sono state affrontate dalla giurisprudenza soprattutto cercando di dare una risposta al quesito inerente l'applicabilità del principio dell'apparenza in materia condominiale, dove la questione assume una connotazione peculiare in quanto sorgono determinate posizioni giuridiche, attive e passive, connesse alla titolarità di una porzione sita nello stabile, relativamente alla quale sussiste la possibilità di controllare se vi è coincidenza tra la situazione apparente e quella reale consultando i pubblici registri, aventi ad oggetto le proprietà immobiliari.

Invero, nei rapporti condominiali, la titolarità della proprietà delle porzioni immobiliari comprese nell'edificio assume rilievo decisivo ai fini dell'individuazione dei soggetti ai quali fanno capo le posizioni attive (diritto di partecipare all'assemblea condominiale) e passive (obbligo di contribuire al pagamento delle spese per la gestione dei beni e servizi comuni); rileva, al riguardo, non solo l'intestazione della proprietà ma anche l'estensione dell'oggetto di tale diritto, nella misura in cui è configurata nelle tabelle millesimali, le quali forniscono, attraverso il valore proporzionale di ciascuna porzione, il criterio di ponderazione del ruolo assolto da ciascun condomino sia dal lato attivo che da quello passivo, ma tali dati (e le relative vicende traslative) non sempre sono comunicati e documentati all'amministratore, per ciò possono sorgere problemi inerenti l'esatta individuazione dello stesso ambito della compagine condominiale.

Sul punto, si registra un aperto contrasto giurisprudenziale in seno al Supremo Collegio: favorevoli all'operatività del principio dell'apparenza in ambito condominiale, erano, all'inizio, Cass. 14 febbraio 1981, n. 907, in Giur. it. 1982, I, 1, 401; Cass. 16 novembre 1994, n. 5818, in questa Rivista 1985, 285; Cass. 1° settembre 1990, n. 9079, in Arch. civ. 1991, 757, mentre, successivamente, contrarie erano Cass. 27 giugno 1994, n. 6187, in questa Rivista 1995, 97, e Cass. 28 luglio 1998, n. 6653, ivi 1998, 677 (per una ricostruzione delle posizioni dottrinarie riscontrate in materia mi si consenta di rinviare a CELESTE A., Apparenza e mala fede nella convivenza all'interno degli edifici urbani, in Riv. giur. edil. 1999, II, 143 ss.).

Da ultimo, il predetto contrasto interpretativo è continuato, a poco più di un anno di distanza, con le sentenze (sempre della II Sezione) della Corte di cassazione n. 2617 del 20 marzo 1999 e n. 5122 del 19 aprile 2000, in questa Rivista, rispettivamente, 1999, 410, e 2000, 581, tanto che si aspetta un intervento risolutivo delle Sezioni Unite.

Ma anche la giurisprudenza di merito mostra un andamento oscillante al riguardo: tra le più recenti, in senso conforme a quanto statuito da Cass. 2617/99, si segnalano: Giud. Pace Foggia 26 novembre 1998, in Giur. merito 1999, 465; Giud. Pace Taranto 24 luglio 1996, in Giudice di Pace 1997, 219; App. Perugia 21 novembre 1994, in Rass. giur. umbra 1995, 37; Pret. Casoria 21 maggio 1994, in questa Rivista 1995, 179; Trib. Milano 19 settembre 1991, ivi 1992, 145; Trib. Roma 6 febbraio 1986, ivi 1986, 295; il contrario indirizzo seguito da Cass. 5122/00 risulta condiviso, invece, da altre...

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