Vendite di consumo e principio di conformità

AutoreAmarillide Genovese
Pagine35-73

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@1. Le vendite di beni di consumo: soggetti e contratti

L’ambito di applicazione delle nuove regole è definito da criteri soggettivi riferiti alle qualità delle parti (consumatore, venditore, produttore) e oggettivi (beni oggetto della vendita, tipi contrattuali regolati). Come è noto, la disciplina è volta a regolare “alcuni aspetti” dei contratti conclusi tra un venditore professionale (“qualsiasi persona fisica o giuridica pubblica o privata che, nell’esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, utilizza i contratti di cui al comma primo”) e un consumatore, persona fisica qualificata dalla circostanza di agire per fini estranei all’attività commerciale o professionale eventualmente svolta (art. 1519 bis)1.

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Il criterio dello scopo dell’atto se per un verso conferma la “lettura” delle regole dei contratti del consumatore alla stregua di disciplina dell’atto di consumo e dei mercati finali2, dall’altro ripropone questioni note e irrisolte riguardanti specialmente i criteri di individuazione in positivo degli scopi di consumo. La proposta di direttiva presentata dalla Commissione nel 1996 delineava in effetti una nozione più estesa (“qualsiasi persona fisica che (…) agisce per fini che non rientrano direttamente nell’ambito della sua attività professionale”) che avrebbe probabilmente consentito di accordare la tutela anche ai professionel non spécialistes e di evitare gli incerti esiti applicativi di soluzioni giurisprudenziali volte a estendere i beneficiari della protezione garantita3.

La fattispecie regolata è ancora delimitata attraverso il riferimento ai beni oggetto dei contratti di consumo (“qualsiasi bene mobile, anche da assemblare, tranne i beni oggetto di vendita forzata o comunque venduti secondo altre modalità dalle autorità giudiziarie, anche mediante delega ai notai; l’acqua e il gas, quando non confezionati per la vendita in un volume delimitato o in quantità determinata; l’energia elettrica”)4. Dalla formulazione ini-Page 37ziale della proposta di direttiva che si riferiva genericamente alla destinazione del bene all’uso o al consumo finale, si è giunti alla definizione di bene “corporale” della direttiva 99/44. La disposizione dell’art. 1519 bis, comma 2, tralascia il riferimento alla natura materiale del bene di consumo, consentendo di estendere la tutela anche alle alienazioni on line di software, e-books, non incorporati in un supporto materiale e acquisiti con il download5.

La soluzione dell’art. 1519 bis, comma 2, di escludere l’elemento della materialità restituisce peraltro coerenza alla disciplina separata per il gas e l’energia elettrica prevista dalla misura comunitaria. La definizione ampia di beni di consumo riguarda anche i beni acquistati per un successivo montaggio ad opera del consumatore (“qualsiasi bene mobile, anche da assemblare”), (in questo caso i rimedi dovranno esercitarsi in forma analitica, cioè in relazione al singolo componente non conforme), le vendite di beni mobili iscritti in pubblici registri (arg. ex art. 815 cod. civ.), le universalità di mobili (art. 816 cod. civ.)6. Vi è poi una specificaPage 38 disciplina dedicata alla vendita dei beni usati, cui la Novella si applica “limitatamente ai difetti non derivanti dall’uso normale della cosa” e “tenuto conto del tempo del pregresso utilizzo”7.

La definizione dell’ambito operativo della Novella, con specifico riguardo alle nozioni di “beni di consumo” e di “venditore” che ne limitano la portata applicativa, e alla previsione dell’art. 1519 bis, comma 1, che invece estende l’operatività delle nuove regole a diversi tipi contrattuali, consente di individuare – in assenza di una definizione normativa – i tratti della nozione comunitaria di “vendita”. Per un verso la qualifica di venditore non si riferisce esclusivamente allo schema del contratto di vendita ex art. 1470Page 39 cod. civ. ma riguarda qualsiasi professionista che “utilizza” contratti di fornitura di beni di consumo nell’esercizio della propria attività economica (somministrante, appaltatore, prestatore d’opera, etc .). La delimitazione dell’ambito applicativo ai beni mobili fabbricati o prodotti assume poi una speciale rilevanza interpretativa perché delinea le regole della Novella come disciplina delle forniture di beni provenienti da soggetti professionalmente organizzati alla produzione e distribuzione degli stessi8.

La disposizione dell’art. 1519 bis, comma 1, precisa i negozi regolati, svolgendo la formulazione dell’art. 1, comma 4, della direttiva 99/44, che si limitava a prescrivere che “ai fini della presente direttiva sono considerati contratti di vendita anche i contratti di fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre”. Più specificamente, il legislatore ha assimilato alla vendita “tutti i contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre”, individuando in modo espresso “i contratti di permuta e di somministrazione, nonché quelli d’appalto e di opera”9. Né ha escluso la possibilità di applicare la nuova disciplina anche nelle ipotesi in cui i materiali necessari per la fornitura del bene siano stati interamente forniti dal committente - consumatore (arg. ex art. 1519 ter, comma 3, clausola di esclusione di responsabilità del fornitore nel caso in cui il difetto derivi da istruzioni o materiali forniti dal consumatore), cioè ai contratti anche del tutto privi di effetti traslativi10.

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@2. La nozione ampia di “contratto per la fornitura di beni di consumo”

Il tratto peculiare della nuova disciplina sulle garanzie nella vendita è proprio la transtipicità nel senso di estensibilità ad una pluralità di tipi11. La scelta del legislatore è una “diretta equiparazione” alla vendita di tutti i contratti a titolo oneroso finalizzati alla fornitura di un bene di consumo da fabbricare o da produrre. La soluzione è una estensione delle nuove regole a diversi tipi contrattuali, piuttosto che il rinvio dalla disciplina di un tipo contrattuale ad altre regole. La scelta di dettare una disciplina comune ad un “gruppo” di contratti determinati (vendita, appalto, opera, permuta, somministrazione) o determinabili (tutti quelli finalizzati alla fornitura di un bene da fabbricare o produrre) trascura però di sondare i limiti di compatibilità – il più evidente, l’inapplicabilità del rimedio della riduzione del prezzo alla permuta – e di considerare figure contrattuali non direttamente equiparabili alla vendita ma sostanzialmente affini sul piano funzionale – per esempio, il leasing finanziario12 – o su quello differente delle esigenze di tutela sottese – la locazione di beni di consumo –13.

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Per altro verso, la soluzione prescelta consente sia di tracciare una definizione di “vendita comunitaria” più estesa e complessa, non più rapportabile al modello di scambio tradotto nel codice civile, sia di ipotizzare un regime uniforme di tutela nella consegna di una prestazione difettosa ai consumatori14.

Nel quadro della normativa europea emergono una serie di fattispecie legislative “caratterizzate dall’accorpamento di più contratti, tipici o meno, sotto un’unica denominazione, per asservirli ad uno scopo comune”15. Le regole in materia di vendite di consumo disegnate dal legislatore comunitario non condividono lo schema e la logica del contratto di compravendita assunta nella esperienza nazionale e la ragione va ricercata anche nella pluralità dei tipi contrattuali ad essa equiparabili. In questo senso assume decisivo rilievo la circostanza che la Novella opera un decisivo ravvicinamento della disciplina della vendita, da un lato, e dei contratti d’appalto o d’opera, dall’altro, riconoscendo speciale rilevanza al modello della locatio operis . Una innovazione dunque nelle forme di tutela segnata dal riconoscimento di una ampia gamma di pretese all’acquirente - consumatore nel segno della prevalenza di regole in origine dettate per i contratti d’appalto e d’opera. In particolare, l’omologazione tra vendita e appalto si misura specialmente con riguardo ai rimedi accordati al consumatore in caso di difetto di conformità esistente al momento della consegna delPage 42 bene. Come vedremo, il “ripristino della conformità” introdotto dalla direttiva 99/44 si avvicina alle tutele già previste in materia di appalto, con riguardo al contenuto della garanzia per vizi e difformità dell’opera16.

Per altro verso, l’articolazione delle tecniche rimediali e il concetto di conformità al contratto – ovvero le novità più salienti della nuova disciplina – rimandano a modelli di scambio complessi e differenziati in cui “le colorazioni causali della fondamentale causa vendendi rese possibili da un particolare atteggiarsi del contenuto contrattuale o da altre variabili della vendita”17 appaiono… variamente accentuate. La disciplina della vendita di consumo in qualche modo “personalizza lo scambio” nella misura in cui accanto all’acquisto del titolo riconosce centralità a interessi che possono essere qualificati con riferimento ad un valore d’uso del bene18. Anche ciascuno dei remedies riconosciuti al consumatore presuppone un modello di scambio differente (per esempio rispetto a certi beni dalla commercializzazione “veloce” potrebbe non apparire ragionevole il ricorso alle tecniche ripristinatorie).

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@3. Il principio di conformità. Dalla garanzia per i vizi della cosa venduta all’obbligo di consegnare beni conformi al contratto

Con la introduzione della regola della conformità al contratto si delinea una nozione “riassuntiva” delle anomalie della cosa consegnata, destinata a convivere con le discipline specifiche dettate dal codice civile in relazione al tipo contrattuale e ai caratteri delle anomalie. Appare dunque opportuno un richiamo ai tratti qualificanti delle regole che informano il sistema delle garanzie per vizi nella vendita, con cenni essenziali anche alla disciplina dell’appalto.

@@3.1 Regole di garanzia e protezione del compratore

Il sistema è...

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