Diritto penale e processo tributario. Vecchie problematiche e recenti soluzioni

AutoreGaetano Stea

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1. evoluzione normativa del sistema sanzionatorio penale tributario

La ratio dei rapporti attuali tra diritto penale e processo tributario può essere compresa, guardando all’evoluzione normativa che li ha regolamentati nel corso della storia dell’ordinamento giuridico unitario, fino alla previsione vigente del decreto legislativo 10 marzo 2000 n.74, che, come noto, ha riscritto il diritto penale tributario, sostituendo le previsioni criminali dettate dalla legge 7 agosto 1982 n. 516 (cd. legge manette agli evasori), che, a sua volta, aveva novellato la legge n.4 del 7 gennaio 1929.

La legge del 1982 aveva attuato la riforma del diritto penale tributario perseguendo due obiettivi: da un lato, l’abolizione della pregiudiziale tributaria, ritenuta quasi unanimemente la causa della paralisi della giustizia penale in materia tributaria, dall’altro, la riscrittura dei reati che tenesse conto di tale nuova realtà processuale.1 E infatti, prima del 1982, il sistema delle fattispecie incriminatrici era incentrato sull’evasione di imposta, cioè su un evento di danno per l’erario e, pertanto, l’applicazione giudiziale della fattispecie richiedeva l’accertamento di un’entità (evasione) che, per essere definita presuppo- neva necessariamente la risoluzione di ogni dubbio e di ogni controversia connessi col tributo.2

La pregiudiziale tributaria, prevista dall’art. 21, comma 3, L. 4/1929, dunque, imponeva la definizione della vertenza fiscale in tutti i suoi, allora quattro, gradi di giudizio in sede tributaria, prima che la stessa passasse al vaglio del giudice penale. Tale disposizione, se da un lato, come detto, era causa di un eccessivo dilazionamento dei tempi d’inizio del processo penale, dall’altro, di contro, possedeva un innegabile vantaggio, svolgendo una funzione estremamente selettiva in ordine alle condotte di evasione.3

Ad ogni modo, sotto la spinta riformatrice, il legislatore del 1982 riscriveva il sistema sanzionatorio penale tributario, capovolgendo i criteri a cui si ispirava la normativa del 1929 e, dunque, stabilendo una tendenziale equiparazione ai fini penali delle imposte dirette e dell’imposta sul valore aggiunto4 e, soprattutto, strutturando i reati tributari in maniera tale da non impegnare il giudice penale in accertamenti complessi di natura fiscale, quali la determinazione dell’importo evaso e il calcolo dell’imposta dovuta o evasa.5 In altri termini, veniva posto l’accento sulle modalità della condotta evasiva dell’obbligo tributario, dando rilievo, dunque, al disvalore della condotta connesso col realizzarsi dell’azione omissiva o fraudolenta, senza tenere conto del conseguimento dello scopo, almeno in concreto.6 Con ciò implicando una sostanziale equiparazione del tentativo di evasione fiscale al reato consumato.

Tale anticipazione della rilevanza penale ha ovviamente una funzione preventiva e dissuasiva, andando a sanzionare comportamenti consistenti, in linea di massima, in fatti semplici (di non difficile accertamento), aventi carattere di mera strumentalità o propedeuticità rispetto al fatto di evasione, censurabili per la loro intrinseca pericolosità poiché sintomatici della capacità evasiva del contribuente.7 La riforma del 1982, dunque, andava a configurare dei reati tributari di pericolo (non occorrendo l’evasione in concreto) e di mera condotta (essendo sufficiente che fosse posto in essere un certo comportamento).8

Le aspettative del riformatore del 1982 non ebbero, però, riscontri pratici.

In primis, si è subito constatato che non si trattava di reati semplici da accertare (eccetto le irregolarità formali, come quelle previste dall’art. 1, comma 6, L. 516/1982) e che, poi, il carico giudiziario era aumentato smisuratamente, in proporzione al numero delle fattispecie criminali introdotte, che, imponendo più controlli e interventi dell’autorità giudiziaria, determinavano la denuncia di numerosissimi fatti di modesta ed addirittura insignificante gravità, in favore di quelli più gravi, che, in un modo o nell’altro, restavano impuniti perchè non accertati (per ragioni di tempo o di difficoltà).9

Si prospettò subito, quindi, l’esigenza di una revisione organica del diritto penale tributario, mediante una scelta oculata dei fatti di rilevanza penale, in relazione a comportamenti capaci di offendere in maniera rilevante l’interesse erariale, con la consequenziale depenalizzazione di illeciti formali di modesto significato offensivo.

Si è arrivati così al decreto-legge 14 gennaio 1991 n.7 che si proponeva, espressamente, di razionalizzare le varie fattispecie penali, depenalizzando gli illeciti più lievi, e di conseguire un intervento deflattivo in favore degli uffici giudiziari, anche al fine di attuare più incisivi risultati sul piano amministrativo. Tale decreto-legge, non essendo stato convertito per tempo, veniva reiterato (decreto-leg-

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ge 83/1991) in termini praticamente identici, ma, durante i lavori parlamentari sulla legge di conversione, le fatti- specie penali tributarie venivano completamente riscritte rispetto alle indicazioni contenute nel provvedimento del Governo, pervenendo ad un inasprimento sanzionatorio, certamente incoerente rispetto agli obiettivi perseguiti dal decreto-legge da convertire.10

La novella di conversione, comunque, non interveniva sulla struttura del diritto penale tributario, come delineato dalla legge del 1982, in quanto continuavano ad essere incriminati i comportamenti prodromici all’evasione, salvo considerare solo una parziale possibilità di far prevalere l’interesse sostanziale alla riscossione fiscale, sull’interesse alla regolarità degli adempimenti tributari in corso d’anno.11

Anche dopo l’intervento di conversione, il diritto penale tributario continuava a prevedere fattispecie non particolarmente determinate,12 anzi oscure, complesse e, sostanzialmente, inique.13

Si dovranno attendere altri anni per vedere la nascita di un nuovo diritto penale tributario che, idealmente, può essere fatta risalire al 19 dicembre 1997, allorquando il Consiglio dei Ministri approvò un disegno di legge di delegazione che, dopo oltre un anno di torpore legislativo, venne approvato con oggetto «Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale tributario», accorpando la riforma penale tributaria al progetto di depenalizzazione di taluni reati minori.14

Tale riforma si inserisce in una più generale opera di complessiva risistemazione dell’intera legislazione tributaria, che, con precipuo riferimento al sistema punitivo, già aveva trovato concretizzazione nella riscrittura dell’apparato sanzionatorio di natura amministrativa, con l’emanazione dei decreti legislativi del 18 dicembre 1997 nn. 471, 472 e 473, comportando un definitivo superamento della legge del 1929.

Ed identica sorte, qualche anno dopo, toccò anche alla legge organica del 1982, atteso che l’inequivoco dettato dell’art. 9, comma 1, L. 205/1999 vincolava l’esecutivo a procedere all’abrogazione del titolo I del decreto legge 10 luglio 1982 n. 429, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1982 n. 516, e delle altre norme vigenti incompatibili con la nuova disciplina.

Tale disposizione, poi, detta i criteri nel cui ambito andrà svilupparsi la riforma penale tributaria che possono così riassumersi15:

  1. eliminazione delle minore fattispecie contravvenzionali prodromiche rispetto all’evasione fiscale, quali, ad esempio, il ritardato versamento delle ritenute, con lo spostamento della rilevanza penale al momento dichiarativo;

  2. creazione di sole fattispecie delittuose, punite tutte con la reclusione da sei mesi a sei anni, animate dal dolo specifico di evasione fiscale che comportino una rilevante offensività per gli interessi dell’erario, incentrate sul momento dichiarativo16;

  3. in conseguenza di tanto, dovranno essere previsti i delitti in materia di dichiarazione infedele e di dichiarazione fraudolenta fondata su documentazione falsa ovvero su altri artifici idonei a fornire una falsa rappresentazione contabile;

  4. il meccanismo di determinazione della soglia di punibilità dovrà collegarsi al criterio generale della rilevante offensività;

  5. le pene accessorie dovranno essere adeguate e proporzionate alla gravità delle diverse fattispecie;

  6. la previsione di meccanismi premiali finalizzati a favorire il risarcimento del danno.

A tali criteri ha dato attuazione il decreto legislativo n.74 del 10 marzo 2000, con cui il legislatore, nel riscrivere l’intero sistema sanzionatorio penale tributario, si è adeguato agli standard normativi europei, in relazione al rapporto tra fatto e offesa all’interesse tutelato.17

Il nuovo diritto penale tributario,18 dunque, riguarda un ristretto numero di fattispecie di reato, accomunate dalla natura delittuosa e connotate sia da una rilevante capacità di offesa degli interessi erariali, che dal fine dell’evasione (dolo specifico) sotto il profilo psicologico.

Conformemente alle direttive dell’articolo 9 legge delega 205/99 - scrivono le Sezioni Unite19 - la nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto di cui al D.L.vo 74/00 è informata al superamento della strategia privilegiata dalla previgente normativa, fondata sul modello delle violazioni «prodromiche» ad una falsa dichiarazione e all’evasione d’imposta con intenti anticipatori di tutela, e, nelle linee generali (sottolineate con inusuale chiarezza e vigore in molteplici passi della Relazione governativa che accompagna il decreto), segna una netta inversione di rotta, imperniandosi viceversa l’intervento repressivo su un più ristretto catalogo di fattispecie delittuose, connotate da rilevante offensività degli interessi connessi al prelievo fiscale e da dolo specifico di evasione d’imposta.

La scelta del modello normativo ha portato a concentrare l’attenzione sulla dichiarazione annuale prevista ai fini delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, quale momento essenziale di disvalore del...

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