Usi civici e sovranità popolare

AutoreSebastiano Tafaro
Pagine285-288
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SEBASTIANO TAFARO (a cura di)
Usi civici e sovranità popolare
Richiamare l’attenzione sugli usi civici è meritorio non soltanto per
le problematiche che essi sottendono, ma anche perché focalizza la po-
sizione del singolo rispetto alla comunità e di questa rispetto al singolo.
Purtroppo il prevalere della democrazia rappresentativa, sotto la
spinta di concezioni liberali e liberiste, ha fatto sì che la ‘Comunità’
sia stata svuotata di valenza e che si sia perso il senso dell’appar-
tenenza comune del territorio, che dall’essere di tutti è passato alla
disponibilità dei governanti.
La tradizione romanistica, cui spesso a sproposito ci si richiama
per giustificare l’esistenza di diritti di proprietà assoluti ed indivi-
dualistici, in realtà era ben altra cosa: conosceva bene l’appartenenza
comune di beni essenziali (le res comunes omnium) e l’uso congiunto
da parte di tutti delle res publicae. Nessun magistrato, nessun potere
avrebbe mai potuto escludere il cittadino dalle cose delle quali tutti
potevano usare (omnes utuntur), come invece avviene oggi sempre
piú frequentemente.
Ripensare gli usi civici postula un diverso modo di possedere,
come evidenziava nel 1977 Paolo Grossi1. Esso va ad incidere sul
modo di concepire la democrazia, dando una forma di consistenza
alla sovranità popolare, ridotta, invece, nelle Costituzioni e nelle
normative contemporanee a pompose dichiarazioni pressoché svuo-
tate di contenuti reali.
Dalla data del Convegno il tempo ha ulteriormente reso urgente
una riconsiderazione degli usi civici.
Basti considerare che è di questi giorni il varo di un decreto-legge
del Governo Monti con il quale, in nome di una presunta ed impro-
1 P. GROSSI, Un altro modo di possedere, Milano 1977.

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