L'uscita «forzosa» dai ruoli dei docenti universitari. Costi e prospettive future sull'offerta formativa

AutoreGennaro Olivieri
Pagine149-166

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@1. Premessa

La recente riforma del sistema universitario, il c.d. disegno di legge Gelmini, è l’occasione per alcune riflessioni in merito al paventato “forzoso” ricambio generazionale nei ruoli della docenza universitaria, sia dal punto di vista economicodemografico, sia funzionale.

Purtroppo, ad oggi, non è stato possibile basare tali considerazioni sullo sviluppo di un ponderato modello attuariale, come sarebbe stato auspicabile. Non sono facilmente reperibili sufficienti dati elementari sulla composizione del corpo docente (professori ordinari, associati e ricercatori) per Ateneo, settore scientificodisciplinare e relativa progressione di carriera né, date le recenti e numerose “incertezze” del sistema pensionistico ed il taglio delle retribuzioni e dei fondi alle università, quanti siano ad oggi veramente i docenti coinvolti nel processo di quiescenza fisiologico o deliberato. se si osserva la situazione relativa ai ricercatori, si può osservare che l’80% di essi hanno almeno 37 anni (…)

Quanto espresso in questa nota è il frutto di induzioni personali, derivanti da una lunga esperienza maturata al servizio del sistema e, per questo, dalla conoscenza nel tempo dei fenomeni e della capacità di reazione dello stesso al mutamento.

Questa breve nota dà conto di una serie di valutazioni sui pro e contro dell’abbassamento dell’età pensionabile dei docenti e, conseguentemente, sugli effetti del loro “accelerato” collocamento fuori ruolo. seguono, poi, alcune considerazioni su come sarebbe più opportuno gestire il fenomeno del ricambio generazionale di cui necessita il sistema universitario nel suo complesso e di quali siano i benefici che allo stesso potrebbero derivare dal reclutamento di nuovi

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docenti o da una più certa e programmata progressione delle carriere rallentata di recente con la trasformazione da biennali in triennali degli scatti retributivi.

Quello che si intende di seguito sostenere è che, come noto, non esistono riforme a costo zero, soprattutto dove, come nel caso di specie, è un esercizio complesso se non impossibile valutare ex ante tutti i costi dell’operazione intrapresa. Questi non sono solamente gli oneri tangibili di natura economicofinanziaria derivanti dal pensionamento “forzoso” nei prossimi anni di una parte non irrilevante del corpo docente ma anche, e soprattutto, quelli non recuperabili, né tanto meno stimabili, fatti di conoscenza e esperienza personale dei singoli docenti il cui pensionamento anticipato potrebbe portare, come lo ha definito Pirani, ad “una falcidie di specializzazioni scientificodisciplinari difficilmente recuperabile o risanabile” (La repubblica,

Last but not least, le riforme di per sé, sebbene abbiano bisogno di

interventi strutturali drastici nella fase di avvio, hanno i loro tempi “tecnici”, vanno cioè adottate in un orizzonte temporale di mediolungo periodo, almeno di un decennio, con fermezza, moderazione e immediatezza, sempre senza mutare gli obiettivi intermedi e finali dell’azione di policy. Ne va della loro efficacia.

@2. I Costi Economici

Per un’effettiva valutazione dei costi economici ci si soffermerà su due casi, quello del collocamento a riposo fisiologico e quello dell’andamento con l’anticipazione del pensionamento del corpo docente attualmente in servizio.

Nel primo, il collocamento a riposo fisiologico, possono risultare utili alcune precisazioni. sulla scorta della normativa vigente, l’andamento fisiologico delle uscite dei professori universitari attualmente in servizio risente anche, e principalmente, del modo e del periodo in cui tali docenti sono entrati in ruolo. Considerata la loro età media che, secondo un’indagine oCsE, sarebbe di gran lunga la più elevata rispetto alla media di ogni altro paese industrializzato, è da notare che in molti hanno iniziato la loro carriera quando i ruoli erano ben diversi da quelli di oggi; figure quali ricercatore e professore associato non esistevano. Non è così per le forme di volontariato e precariato sulle

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quali l’università ha da sempre cercato, a torto o ragione, di far leva. un dato è sufficiente per delineare la dimensione del fenomeno: secondo una recente indagine della Corte dei Conti, negli ultimi anni di continue riforme degli ordinamenti didattici, i professori a contratto sarebbero passati dai quasi 21 mila dell’a.a. 2001/02 (anno di entrata a regime della riforma dell’offerta formativa del cosiddetto 3+2) ai circa 35 mila dell’a.a. 2007/08 con una crescita del 67%. Il dato fa riflettere e denuncia apertamente che è proprio sulla politica del personale, sui meccanismi di quiescenza e di reclutamento del corpo docente che si giocherà nei prossimi anni buona parte della complessa partita della riforma del sistema universitario.

Va ricordato, infatti, che nel 1972 fu espletata l’ultima serie di concorsi in cui esisteva la così detta “terna” di vincitori, in cui il primo tra gli idonei andava nella sede che aveva bandito il concorso e gli altri venivano chiamati nei posti vacanti in altre sedi. Tali concorsi venivano banditi per disciplina ed erano abbastanza in linea con le esigenze dell’epoca, sia in termini di sedi universitarie sia di studenti frequentanti. In quegli anni gli “assistenti ordinari” rimanevano in servizio, se nel frattempo non erano diventati professori ordinari, fino a 65 anni a patto che entro nove anni dall’entrata in ruolo avessero conseguito la così detta “Libera docenza”, una sorta di certificazione di idoneità all’attività universitaria, sia dal punto di vista di acclarata maturità scientifica (principalmente), sia di provata capacità didattica. Tale idoneità era, normalmente, uno dei titoli ritenuti preferenziali dalle commissioni di concorso per accedere ai ruoli di professore ordinario.

A seguito della così detta “rivoluzione studentesca” fu abolita la “Libera docenza” e, conseguentemente, il limite dei nove anni per gli assistenti ordinari e si cominciò a pensare a come organizzare il ricambio generazionale attraverso il reclutamento universitario con un nuovo sistema di concorsi. solo nel 1976 furono banditi i primi “nuovi” concorsi da professore ordinario mentre, nel frattempo, non si erano fermati i bandi per concorsi ad assistente ordinario che, vale la pena ricordare, venivano gestiti totalmente dal ministero della Pubblica Istruzione e che, già allora, erano asserviti a tamponare attraverso la formula del precariato, con incarichi annuali poi, successivamente, stabilizzati, le esigenze derivanti dalla prorompente crescita delle immatricolazioni di studenti universitari.

Nel 1976, appunto, fu bandito un numero molto elevato di posti da professore ordinario (il primo “maxi concorso” della storia uni-

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versitaria italiana), talvolta con più commissioni per singola disciplina messa a concorso. Questo afflusso di persone, di età comprese tra i 35 e i 45 anni, rappresenta la prima grande immissione di docenti quasi coetanei entrati simultaneamente nei ruoli dei professori ordinari. molti di questi, salvo i più giovani, sono ormai in quiescenza o stanno per andarci in modo fisiologico. A distanza di tre anni, nel 1979, fu bandito un altro maxi concorso con relativo altro massiccio afflusso di immissioni in servizio nel sistema universitario che, insieme all’istituzione del ruolo dei professori associati, nel 1980 (con il conseguente provvedimento delle idoneità che convertì un larghissimo numero di assistenti ordinari in, appunto, professori associati), costituisce ancora oggi il nerbo del corpo docente delle università italiane che nei prossimi anni lascerà il servizio. Nei concorsi successivi, a professore ordinario e a professore associato del 1983, del 1986 e così via, ci sono state, ancora, continue massicce immissioni di studiosi coetanei. dai dati aggregati sulla distribuzione, per età dei professori e dei ricercatori presenti nelle università italiane alla data del 31/12/2009, è possibile trovare una conferma di questi meccanismi di ‘assunzione’ in massa dei docenti.

In particolare, dalla Figura 1 è possibile osservare una forte concentrazione, soprattutto dei professori ordinari, nelle fasce di età comprese tra 59 e 69 anni. Anche i professori associati sono maggiormente incentrati nelle fasce di età più elevate: più del 60% di essi ha almeno 50 anni e quasi il 30% ha più di 60 anni.

Figura 1: distribuzione per età del personale che svolge attività didattiche e di ricerca nelle università italiane (dati al 31/12/2009)

Fonte: mIur, ufficio statistiche, Anno 2009

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Inserire in un sistema che ha avuto delle turbative all’ingresso (massiccio ingresso di pressoché coetanei) anche delle turbative all’uscita (un forte ricambio generazionale con altrettanti pressoché coetanei) significa sottoporre lo stesso a uno stress dagli esiti altamente incerti e, perfino, peggiori delle discrasie che oggi, con la “riforma Gelmini”, si vogliono sanare...

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