Unificazione del soggetto e materialità sistematica

AutoreTrombetta, Angela
Pagine83-125

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CAPITOLO SECONDO

UNIFICAZIONE DEL SOGGETTO E MATERIALITÀ SISTEMATICA

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SOMMARIO: 1. Schemi sistematici e realtà sociale. - 2. Le obbligazioni nel sistema: a) La terminologia; b) La signoria del creditore; c) L’obbligazione tra sistema e storia. - 3. Dal dominio al potere: la rilevanza dell’esercizio. - 4. Il patrimonio, nuovo concetto sistematico. - 5. Il patrimonio e la creazione del soggetto giuridico.

1. Schemi sistematici e realtà sociale

Nel primo capitolo si è sottolineata la rilevanza che assumono nel pensiero savigniano i concetti di “affinità” ed “essenza”. I due termini materializzano l’idea guida della sua indagine scientifica; metterne in evidenza la portata, scoprendo il complesso intreccio di valori che vi trovano formulazione sintetica – pur gravida di suggestioni e sfumature –, ha consentito di cogliere la “filosofia” del sistema; e al tempo stesso ci ha aiutato ad individuare alcuni nodi problematici, la cui analisi permetterà di chiarire l’ordine di ragioni che ha portato Savigny a rilevare un’affinità – in base all’essenza – tra la proprietà e l’obbligazione, definendo quest’ulti-ma “signoria su di un atto della persona”1.

È appena il caso di ribadire, una volta di più, la centralità che nella costruzione savigniana assume l’idea stessa di “sistema” o, per meglio dire, di costruzione-sistematica. Si tratta, come già rimarcato, di un’idea pregnante, destinata a guidare l’opera del giurista e nobilitarne gli esiti, nella misura in cui provvede a rifonderne i singoli momenti in un disegno globale ed organico: il

1Savigny, Sistema, I, p. 341.

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“tutto” si avvalora della puntuale conferma e verifica che sortisce dall’analisi del “particolare”; a sua volta, il particolare riassume in sé l’intero tessuto della realtà giuridica, è l’angolo di visuale attraverso il quale è dato mettere a fuoco il “tutto”. Beninteso, ciò non dovrebbe comportare il trapasso irreversibile ad un piano di mera logica formale, dal momento che “l’ordine esteriore” di un’opera sistematica è naturalmente determinato da quel nesso interno che in esso si deve riflettere. Anzi, solo a questo si suole pensare quando si parla di trattazione sistematica2.

Costruire il sistema non equivale a prevaricare il dato reale in virtù di immotivate astrazioni concettuali, ma a portarne alla luce la vera e più intima natura: il diritto si presenta, già nella realtà, in qualche modo organizzato. Sistematica e storia, in altre parole, si compenetrano l’una nell’altra, in una visione del fenomeno giuridico come fatto di per sé organico e ordi-nato3. Escluso così ogni intervento aprioristico, e pertanto insanabilmente arbitrario, l’opera del giurista si avvia a riflettere l’ordine immanente al diritto, ponendosi come ricostruzione a posteriori con cui la scienza porta a trasparenza “l’interiore coerenza e concatenazione” che stringe in una grande, indefettibile unità i singoli istituti: quelli stessi che, nel loro complesso organico – e, quindi, in un certo senso già sistematizzati –, vivono nella coscienza comune del popolo4.

Prende così consistenza quella che alternativamente potrebbe apparirci come una mistica dell’intima razionalità del diritto, ovvero –in tutt’altro ordine di idee – uno schermo formale dietro il quale celare operazioni concettuali non troppo dissimili da quelle così energicamente disattese. Se non può esservi discrepanza tra sistema e realtà, le categorie logiche, con tutto ciò che esse implicano, devono essere tralasciate per attribuire il dovuto rilievo ai rapporti concreti della vita umana, in cui si esprime e si realizza compiutamente la vera unità sistematica:

2Savigny, Sistema, I, p. 21.

3Si veda cap. I, pp. 39-45.

4Savigny, Sistema, I, p. 44.

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“Tutti i rapporti giuridici nella ricca e vivente realtà formano un tutto organico, che però noi siamo costretti a scomporre nelle sue parti per comprenderle successivamente e poterle comuni-care agli altri; pertanto l’ordine in cui disponiamo tali parti può essere determinato solo da quell’affinità che noi giudichiamo preponderante”5.

Il procedimento intellettuale che consente all’interprete di ricreare tra gli istituti quella continuità che è già implicita nella materia giuridica come fenomeno reale, è la puntigliosa individuazione delle affinità. Queste richiedono un’analisi dei rapporti che conduce alla scoperta della loro essenza. Sull’essenza correttamente individuata, si fonda la possibilità di ricostruire in unità scientifica la molteplicità della realtà giuridica. Questa, dunque, la cornice di concetti entro i quali dovrebbe collocarsi l’opera di Savigny. Tuttavia, quando si passa ad una verifica in concreto del modo di articolarsi del suo sistema, sembra prendere corpo una sorta di slittamento rispetto alle premesse metodologiche.

Savigny definisce – come già si è detto – l’essenza del rapporto giuridico in termini di “sfera di dominio indipendente della volontà individuale”, ciò che ha indotto un acuto studioso a parlare di concetto “astratto” di rapporto giuridico, di classificazio-ne “logico-formale” dei rapporti di diritto privato e di sistema determinato non da un nesso organico ma da un nesso “logico” dei concetti”generali ed astratti”6.

Il rilievo è corretto ma, a mio modo di vedere, non coglie appieno nel segno; trascura, cioè, un profilo che- io credo- potrebbe contribuire a formare una corretta chiave per interpretare il pensiero del fondatore della scuola storica; chiave che, vale la pena di aggiungere, sembra trovare riscontro proprio a livello del concetto di obbligazione.

5Savigny, Sistema, I, p. 21.

6Larenz, La storia del metodo, p. 11. La posizione di Larenz è stata già esaminata in cap. I, note 83, 137

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L’essenza del rapporto, così come ci viene prospettata da Savigny, s’incardina su di un elemento del rapporto che per esserne “solo una faccia”, non può cogliere l’intera dinamica. Non si è allora molto lontani dal vero quando si dichiari che la formulazione su indicata è non il frutto di una ricognizione completa del vero modo di essere del rapporto, del compiuto segmento di realtà che vi si afferma, ma l’ipostatizzazione dell’idea di diritto soggettivo e, per esso della sua espressione più articolata e piena, vale a dire il diritto di proprietà.

Il dominio, la signoria, è il presupposto-cardine. E se questo presupposto non deve essere vuoto di contenuti, è persino ovvio che, nel momento in cui ci si volge alla ricerca degli oggetti (su cui la volontà si estende), lo schema dominicale affiori e s’imponga come modello.

In quest’ordine di considerazioni, Savigny si trova a dover definire il vincolo obbligatorio alla stregua di signoria su atto altrui; non solo, ma a rapportare il contenuto tipico, ovvero l’essenza, a quello della proprietà, respingendo invece l’affinità solo apparente col diritto di famiglia7.

Il risultato è largamente scontato, ove solo si ammetta che, di là da vuote formule verbali, il punto di partenza è la situazione subiettiva di dominium (inteso come potere, come libertà e facoltà di disporre): di qui, infatti, la necessità di considerare la sfera delle relazioni familiari come solo parzialmente sottoposte al diritto (al paradigma giuridico si riconducono solo quei rapporti di famiglia che rilevano in campo patrimoniale), come pure l’esigenza di ricondurre ad unità il diritto di obbligazione e quello reale.

La costruzione del sistema sembra, in effetti, risolversi, contro tutte le premesse in una concatenazione di concetti la cui affinità si giustifica solo in termini di logica. L’idea che al centro del sistema ci sia l’individuo, la sua volizione sembra trovare definitiva conferma sol che ci si fermi a considerare l’essenza del rapporto giuridico: “sfera di dominio indipendente della volontà individuale”. Savigny, infatti, nella sua costruzione, parte dal

7Savigny, Sistema, 1, pp. 341-342, 345; Le obbligazioni, 1, pp. 15-16.

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rapporto; ma, quando si orienta a rilevare le varie specie in funzione della relazione che intercorre tra tali oggetti – su cui la volontà opera e si estende – e le finalità dell’individuo, dà vita ad un termine di riferimento astratto, che non tarda a rivelare la sua vera natura di centro di imputazione di interessi della personalità.

Il diritto soggettivo viene visto come estrinsecazione della libertà e del potere del singolo: unificare i diritti reali e quelli di obbligazione in tanto è possibile in quanto li si rifondi in patrimonio, inteso appunto come totalità di rapporti che si riferiscono a una determinata persona “come loro soggetto”. Dal momento che essi (diritti reali e relativi) devono costituire un’estensione della libertà individuale, “è appunto questa facoltà che ci procurano, che forma il contenuto loro come istituti giuridici”8.

Ritengo a questo punto necessario, per non cadere nel pericolo di valutazioni epidermiche, soffermarci più analiticamente sul concetto di obbligazione e sulla sua collocazione nell’ambito del sistema; per questa via è possibile, a mio modo di vedere, cogliere passaggi essenziali nella costruzione sistematica savigniana, fornendo un riscontro del suo procedere9.

8Savigny, Sistema, I, p. 369.

9Il trattato delle obbligazioni in sé, come opera giuridica, non riscosse molto successo. Numerose le critiche e alle volte anche pesanti. In una lettera a Gerber del 1854, Jhering definisce il diritto delle obbligazioni la cosa più debole che Savigny abbia mai scritto e aggiunge: “egli invecchia in modo veramente notevole e ciò mi riempie di autentica tristezza per la scienza e per l’uomo stesso. Che cosa sarebbe stato se Savigny avesse scritto questo libro...

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