Le tutele processuali

AutoreFrancesco Paolo Luiso
Occupazione dell'autoreAvvocato e professore presso l'Università di Pisa.
Pagine37-48

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@1. Premessa

Il tema del convegno riguarda in generale la riforma del processo di separazione e di divorzio; l'argomento che mi è stato affidato ha anch'esso un taglio tale da ricomprendere potenzialmente tutte quante le questioni processuali sollevate dalla recentissime riforme. E tuttavia mi parrebbe inutile ripercorrere analiticamente l'intera materia, con il rischio di ripetere in modo superficiale quanto già altri hanno detto prima di me, e più approfonditamente di quanto potrei fare io. D'altro canto, proprio l'esame della dottrina che, fino a questo momento, ha analizzato le riforme in materia di separazione e divorzio, evidenzia l'opportunità di concentrare l'attenzione su taluni specifici problemi, correlati fondamentalmente all'oggetto sostanziale dei processi di separazione e divorzio. Vi sono, infatti, come vedremo, molte questioni processuali alle quali, a mio avviso, non si può dare una soluzione unitaria, perché occorre distinguere sulla base della disciplina sostanziale, che ne sta alla base. L'oggetto della mia relazione, quindi, si concentrerà principalmente (anche se non esclusivamente) su tali questioni, rinviando, per il resto, alla ormai cospicua pubblicistica reperibile1. Page 38

@2. Le situazioni sostanziali coinvolte nel processo di separazione e di divorzio

La funzione del processo di separazione e divorzio ricalca quella generale del processo dichiarativo: stabilire le regole di condotta di due o più soggetti, con riferimento a un bene della vita giuridicamente protetto. Tali regole di condotta possono poi essere più o meno vincolanti per i destinatari - rectius, l'atto che le pone può avere un regime di stabilità differenziato - e quindi esse possono essere sostituite da regole diverse con minore o maggiore facilità, a seconda appunto che l'atto che le pone sia, esemplificando, una sentenza passata in giudicato, una sentenza ancora impugnabile, oppure un provvedimento interinale, come quelli previsti dagli artt. 708, terzo comma, e 709, quarto comma, c.p.c.

Ciò su cui, peraltro, conviene concentrare l'attenzione in questa sede è la diversa tipologia dei diritti, ai quali fanno riferimento le regole di condotta, individuate con i provvedimenti sopra indicati. La esatta individuazione della realtà sostanziale, coinvolta nel processo di separazione e divorzio, è, infatti, a mio avviso determinante per la risoluzione dei problemi processuali, che affronteremo fra poco2.

Volendo schematizzare, possiamo dunque distinguere a seconda che l'oggetto del processo siano:

  1. diritti disponibili di cui sono titolari i coniugi; questi diritti, a loro volta, possono essere disciplinati da norme derogabili oppure da norme inderogabili. In questa categoria rientrano i diritti a contenuto patrimoniale, che ciascun coniuge vanta nei confronti dell'altro.

  2. diritti indisponibili di cui sono titolari i coniugi. In questa categoria rientrano quelli, comunque li si voglia definire dal punto di vista sistematico, che fondano la separazione o il divorzio.

  3. situazioni sostanziali protette di cui sono titolari soggetti diversi dai coniugi: nel nostro caso, i figli. In questo caso, ai coniugi si imputano i doveri corrispondenti a queste situazioni sostanziali protette. In questa categoria rientrano i doveri a contenuto non patrimoniale, l'assegnazione della casa familiare, l'assegno di mantenimento.

    Dal punto di vista processuale, le caratteristiche sostanziali sopra indicate producono le seguenti conseguenze.

    Con riferimento ai diritti dei coniugi (punti a) e b) di cui sopra), la regola generale sulla legittimazione ad agire esige che il provvedimento, determinativo delle regole di Page 39 condotta, sia pronunciato solo a seguito di una domanda proposta dal titolare del diritto in questione. In linea generale, della domanda del titolare può farsi a meno se il legislatore prevede fattispecie di legittimazione straordinaria a favore di altri soggetti: ma, in concreto, non credo che ciò verifichi in materia di separazione e divorzio. Invece, con riferimento alla terza categoria di situazioni sostanziali protette, le regole di condotta ad esse relative possono essere determinate anche senza una domanda del titolare della situazione sostanziale in questione.

    Con specifico riferimento ai figli minorenni (e ai figli maggiorenni portatori di handicap, cui si applica la normativa riguardante i figli minorenni: art. 155-quinquies, secondo comma, c.c.), assistiamo viceversa a un salto qualitativo nella tipologia di intervento giurisdizionale. Qui non siamo più nell'ambito della giurisdizione contenziosa, che rimane tale anche se ha ad oggetto diritti indisponibili. La cura dei diritti dei figli è affidata dal legislatore al giudice, e ciò realizza una fattispecie di giurisdizione volontaria in senso proprio, intesa come amministrazione giudiziale di diritto privato3. È, infatti, pacifico che il giudice deve provvede di ufficio a determinare i doveri, patrimoniali e non patrimoniali dei coniugi, nei confronti dei figli minori4. Non vi è quindi necessità - anche se è normale - che uno dei coniugi chieda al giudice di determinare i doveri dell'altro con riferimento ai figli minori. Tuttavia, anche quando ciò accade, la richiesta del genitore non deve qualificarsi come vera e propria domanda, ma piuttosto come sollecitazione del giudice a utilizzare i propri poteri officiosi.

    Con riferimento, invece, alla posizione dei figli maggiorenni non autonomi, si deve escludere che nel processo di separazione e divorzio possano venire in considerazione eventuali diritti a contenuto non patrimoniale di costoro. Per quanto riguarda, inoltre, i diritti a contenuto patrimoniale, si deve ritenere che essi possano essere fatti valere da un coniuge nei confronti dell'altro a titolo di legittimazione straordinaria, ove il figlio maggiorenne rimanga inerte: una sorta, quindi, di azione surrogatoria di un genitore nei confronti dell'altro. A mio avviso, questa è l'unica ricostruzione che è coerente con la prevalenza che, senza dubbio, deve essere assegnata alle iniziative prese dal figlio maggiorenne non autonomo rispetto alle iniziative del genitore, con il quale convive5. Page 40

    @3. Conseguenze processuali

    In tutte le ipotesi sopra indicate, il giudice - chiunque esso sia: il presidente del Tribunale nella prima fase, il giudice istruttore nella fase della trattazione, il Tribunale nella fase decisoria, fino alla Corte di cassazione - per dare un contenuto alle regole di condotta che, attraverso il proprio provvedimento, egli determina con riferimento alle parti, deve ovviamente effettuare una ricognizione (in senso lato) della realtà, giuridica e fattuale, esistente: come qualunque terzo, cui è conferito il compito di stabilire quali sono i diritti e gli obblighi delle parti, egli né ha conoscenza, né ha il potere di disporre delle situazioni sostanziali, cui i diritti e gli obblighi sono correlati. Orbene, il quid da conoscere e gli strumenti cognitivi sono diversi a seconda che si ricada in una o nell'altra delle ipotesi viste al paragrafo precedente.

  4. Se si tratta di diritti disponibili di cui sono titolari i coniugi, si applicano le regole proprie del processo che ha ad oggetto, appunto, i diritti disponibili. E quindi vale: il principio della domanda; hanno efficacia le prove c.d. dispositive (giuramento e confessione); il comportamento delle parti assume rilievo ai fini della quaestio facti, nel senso che i fatti non controversi non hanno necessità di essere provati, e più in generale il comportamento omissivo della parte può essere rilevante ai fini del giudizio di fatto; gli eventuali accordi negoziali delle parti vincolano il giudice, fatta solo eccezioni per quelli che contengano previsioni in contrasto con norme inderogabili.

  5. Se si tratta di diritti indisponibili di cui sono titolari i coniugi, si applicano le regole proprie del processo che ha ad oggetto, appunto, i diritti indisponibili. E quindi: continua ad aver valore il principio della domanda, ma non hanno efficacia le prove c.d. dispositive (giuramento e confessione); il comportamento delle parti non assume rilievo ai fini della quaestio facti, nel senso che i fatti rilevanti debbono comunque essere oggetto di prova anche se non controversi, e più in generale il comportamento omissivo della parte non può essere rilevante ai fini del giudizio di fatto; gli eventuali accordi negoziali delle parti non vincolano il giudice, poiché, appunto, essendo il diritto indisponibile, per definizione le parti non hanno potere negoziale.

  6. se si tratta di situazioni sostanziali protette di cui sono titolari soggetti diversi dai coniugi (cioè i figli), come abbiamo già visto l'intervento del giudice muta radicalmente le proprie caratteristiche, dovendo essere qualificato come giurisdizione volontaria, e dunque non si applica il principio della domanda6, e l'acquisizione di quanto rilevante deve essere compiuto di ufficio7. Ma, soprattutto, vi è con un'ulteriore, determinante differenza: mentre nei casi sub a) e b) la determinazione del contenuto del provvedimento avviene sulla base della ricognizione della realtà giuridica preesistente, cioè secondo "giustizia" - e ciò in applicazione dell'art. 113, primo comma, c.p.c. - nel caso Page 41 delle disposizioni a favore dei minori la decisione del giudice si fonda sulla "opportunità", nel senso che, com'è pacifico, il giudice deve individuare le regole di condotta dei genitori che realizzino al massimo grado possibile l'interesse del figlio. Ciò, però, determina un significativo spostamento dei fatti rilevanti: non più quelli previsti dalle norme sostanziali come fattispecie giuridicamente produttive di effetti, ma più in generale ogni elemento di fatto che possa orientare la valutazione di opportunità del giudice. Naturalmente tale valutazione deve essere compiuta nell'ambito delle norme che la disciplinano: così, ad esempio, dopo la recentissima riforma, la scelta del giudice deve orientarsi in linea di...

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