La tutela del minore nell’attività sportiva

AutoreEdoardo Bacciardi
Pagine173-188

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@1. Introduzione

L’indagine concernente l’attività sportiva praticata dal minore disvela una serie disfaccettature e implicazioni che, oltre a coinvolgere il dato giuridico, evidenziano profili e questioni di ordine sociologico, psicopedagogico, medico-sanitario.

La valorizzazione dello sport come momento ricreativo ed educativo nello sviluppo psico-fisico dell’enfant emerge a ogni livello delle fonti del diritto1. La promozione della pratica sportiva – nella duplice configurazione di strumento per il miglioramento delle capacità fisiche e di veicolo per i valori del fairplay, della solidarietà e della tolleranza – è stata fortemente incoraggiata dalla politica legislativa comunitaria2. Le evidenziate linee direttrici, in particolare, hanno rappresentato la cornice di valori sottesa alla Decisione n. 291/2003/CE del 6 febbraio 2003, istitutiva dell’Anno europeo dell’educazione attraverso lo sport 20043.

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Affermata l’idoneità dello sport a forgiare non solo il fisico, ma anche la personalità dell’individuo, risulta necessario porre in rilievo i riscontri negativi – anch’essi sia fisici che psicologici – che lo svolgimento dell’attività sportiva può determinare nella sfera giuridica del minore. Sotto questo punto di vista, dovrà essere preso in considerazione il potenziale carattere diseducativo di alcuni modi di pensare lo sport, i quali, anziché configurare lo stesso come tappa di un cammino di crescita, lo identificano con un traguardo da raggiungere a ogni costo e con qualunque mezzo, anche lesivo – come nel caso del doping – della salute dell’enfant.

Il rischio che lo sport divenga un veicolo di disvalori pone dunque il problema della tutela del minore nell’ordinamento sportivo. Nell’orizzonte privatistico, l’indagine, oltre a evidenziare profili afferenti alla responsabilità extracontrattuale, si interseca con l’istituto della potestà genitoriale, coinvolgendo il delicato assetto normativo dei rapporti tra genitori e figli.

@2. L’attività sportiva nella scuola: Dal gioco-sport ai nuovi giochi della gioventù

L’apprendimento scolastico rappresenta generalmente il primo momento in cui

l’attività ludica infantile del minore inizia a configurarsi come sport o, più precisamente, inizia ad assumere le forme del c.d. gioco-sport.

Nella scienza dell’azione motoria, il gioco sportivo viene definito come «una situazione motoria codificata di affrontamento, denominata gioco o sport dalle istanze sociali»4. Tale qualificazione – è stato osservato – da luogo a una dicotomia tra giochi sportivi istituzionali (atletica, ginnastica, sport competitivi di squadra) e giochi sportivi non tradizionali, identificati con quelle tipologie di attività motorie più semplici che, non trovando nella società una codificazione di regole precise, vengono in rilievo in funzione meramente preparatoria e strumentale rispetto alle attività sportive “ufficiali” e, per così dire, più prestigiose5.

A prescindere dalla suddetta distinzione, è indubbio che la dialettica tra gioco e didattica abbia sensibilmente influenzato, sin dalla Grecia antica6, il modo di essere dell’educazione fisica nell’ambito delle istituzioni scolastiche. L’elaborazione della scienza pedagogica è stata tradotta, nelle sue linee essenziali, nel dato normativo. In particolare, nel nostro ordinamento, l’art. 1, legge 2 febbraio 1968, n. 444 (Ordinamento della scuola materna statale) sancisce che «la personalità umana e il suo sviluppo sono connessi a un corretto e armonioso sviluppo del corpo»; l’insegnamento dell’educazione fisica, ai sensi dell’art. 1, legge 2 febbraio 1958, n. 88, risulta obbligatorio in tutte le scuole e istituti di istruzione secondaria.

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Un’ulteriore tappa nel percorso di valorizzazione dell’attività sportiva nelle istituzioni scolastiche è stata rappresentata dall’istituzione, nel 1970, dei Giochi della gioventù. La manifestazione, promossa dal Ministero della Pubblica Istruzione e dal Coni, è stata riproposta nell’anno scolastico 2006-2007, dopo un periodo di assenza di 11 anni.

Nella sua originaria impostazione, l’organizzazione dei Giochi era fondata su un meccanismo di competizione articolato a livello comunale, provinciale e regionale, tramite cui venivano selezionati i giovani migliori che dovevano poi confrontarsi nella fase nazionale. La nuova formula, al contrario, propone una filosofia di gioco tesa a valorizzare lo sforzo collettivo del gruppo-classe e il rispetto del singolo7.

Lo slogan dei nuovi Giochi della gioventù («tutti protagonisti, nessuno escluso»), in particolare, esprime la scelta di principio secondo cui ogni classe dovrà aderire e parteci- pare alla manifestazione con tutti i suoi alunni, in modo che il risultato finale della squadra dipenda anche dall’apporto dei diversamente abili. In tale rinnovata prospettiva, pertanto, i Giochi non si configurano soltanto come “evento”, ma anche e soprattutto come proposta di un nuovo concetto di cultura sportiva che gli insegnanti di educazione fisica dovranno trasmettere ai propri allievi8.

@3. Tesseramento e potestà genitoriale

@@3.1. Profili generali

L’iscrizione del minore a un’associazione sportiva rappresenta, nella prospettiva privatistica – e, più specificamente, nell’ambito della potestà genitoriale – un fondamentale aspetto da prendere in considerazione. Abbiamo avuto modo di accennare come la questione, oltre a investire profili relativi all’istituto della rappresentanza, coinvolga aspetti che risultano centrali nella dinamica del rapporto educativo.

Il tesseramento, invero, dovrebbe costituire il risultato di un’attenta riflessione e di un confronto non solo tra i genitori, ma (soprattutto) tra i genitori e il figlio che dovrà dedicare il proprio tempo e le proprie energie allo svolgimento dell’attività sportiva.

Per quanto concerne l’aspetto organizzativo, le Federazioni più importanti regolano il funzionamento dei settori giovanili su “base mista”. In particolare, dopo una prima fase caratterizzata da finalità di formazione e inserimento – durante la quale la tutela della libertà dei baby praticanti è preminente rispetto agli interessi particolari delle società sportive – nelle fasce di età successive vengono generalmente disposte alcune norme più garantistiche per le società stesse9.

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Tale omogeneità di impostazione, tuttavia, non esonera i genitori dal compiere un’approfondita valutazione della normativa che regola il funzionamento del singolo settore giovanile. A titolo esemplificativo, è evidente la differenza intercorrente tra un sistema che, sin dai primi passi, inquadra il minore all’interno di strutture agonistiche e una normativa che preveda, durante la prima fase di attività, adeguati spazi da dedicare all’aspetto prettamente ludico dello sport prescelto10.

Sotto il profilo giuridico è possibile individuare, nelle problematiche summenzio- nate, una duplice prospettiva di indagine.

In primo luogo, si dovrà concentrare l’attenzione sul momento in cui viene scelta l’attività sportiva, considerando in particolare l’eventuale presenza di tensioni e conflitti all’interno del nucleo familiare. Una volta individuati i criteri risolutivi di tali potenziali contrasti, alcune riflessioni dovranno essere svolte in relazione alle modalità con cui la scelta viene manifestata all’esterno del nucleo familiare stesso.

@@3.2. La scelta dell’attività sportiva e l’autonomia del minore nel conflitto endofamiliare

Per quanto attiene al primo aspetto da analizzare, parte della dottrina ha sostenuto che la scelta dell’attività sportiva a cui avviare il minore, in quanto componente essen- ziale della crescita di quest’ultimo, rientra fra i compiti di istruzione e di educazione che la legge impone ai genitori11.

In tale ottica ermeneutica, assumono indiscussa centralità le linee-guida individuate dall’art. 147 c.c.; il riferimento a «capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni dei figli» esprime la volontà legislativa di funzionalizzare la potestà genitoriale alla personalità del minore, il quale, in base all’età e al livello di autodeterminazione, deve poter “partecipare” attivamente alla propria educazione12. Il carattere elastico della potestà, oltre ad affrancare la configurazione del ruolo educativo dalla logica unilaterale della cura dell’incapace, permette di individuare un rapporto di proporzionalità indiretta tra il rigore della potestas e il grado della capacità di discernimento del minore13.

Calando le considerazioni svolte nell’ambito della presente indagine, il parametro fondamentale della scelta dell’attività sportiva dovrà essere costituito dalla specificità della persona del figlio. Il livello della capacità di discernimento – la quale, come èPage 177stato efficacemente osservato in dottrina, si configura come una «capacità-contenitore»14misurabile e graduabile in via interpretativa – sarà oggetto di una valutazione casistica, risultando ontologicamente svincolato da un’età predefinita.

Il profilo maggiormente delicato, ovviamente, è quello inerente all’eventuale disaccordo tra i genitori e il figlio in merito allo sport da intraprendere15. Si tratta, in particolare, di sondare la rilevanza dell’autonomia del minore nelle scelte esistenziali che lo coinvolgono, al fine di valutare se – e con quali strumenti giuridici – tale autonomia possa prevalere sul programma educativo genitoriale ovvero concorrere con esso.

In dottrina è stato sottolineato come talvolta sia lo stesso formante legislativo a prevedere, in specifici contesti, spazi di autodeterminazione in favore del c.d. grand enfant16. Al di fuori di tali ipotesi, la possibilità di valorizzare l’interesse del minore a esprimere il proprio “voler essere” – e il proprio “voler fare” – è stata posta al centro di un vivace dibattito giuridico-culturale.

Le suddette questioni, peraltro, hanno potuto costituire oggetto di riflessione dei giuristi solo nella dimensione assiologica individuata dalla Carta Costituzionale e successivamente tradotta nel tessuto...

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