La tutela giurisdizionale dei diritti

AutoreStefano Ambrogio
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@1 L’attività giurisdizionale

L’ordinamento giuridico appresta una serie di rimedi per far sì che il titolare di un diritto ottenga soddisfazione anche eventualmente contro la volontà del soggetto passivo.

Il soggetto leso nel suo diritto non può però agire autonomamente, ossia non ha il potere di farsi giustizia da sé, tranne in ipotesi eccezionali (come ad esempio nel caso di difesa del possesso finché dura la violenza dell’aggressore).

Il privato ha però il potere di chiedere l’intervento dei giudici a propria difesa esercitando un’azione legale (cd. diritto di azione) e dando così inizio ad un procedimento giudiziario dinanzi ad un giudice.

Il soggetto leso in un suo diritto (assoluto o relativo che sia) può esercitare vari tipi di azione che presentano presupposti e caratteristiche diverse. Nell’ambito della giurisdizione civile, è possibile individuare i seguenti tipi di processo.

Il processo di cognizione è destinato ad accertare l’esistenza o l’inesistenza di un diritto soggettivo e l’eventuale violazione dello stesso. L’azione di cognizione può tendere a tre finalità:
all’accertamento dell’esistenza o meno di un determinato rapporto giuridico controverso (sentenza di accertamento);
all’emanazione di un comando rivolto alla parte soccombente di eseguire la prestazione che il giudice ha riconosciuto all’attore (sentenza di condanna);
alla costituzione, modificazione o estinzione di rapporti giuridici (sentenza costitutiva). In questi casi la sentenza non si limita all’accertamento di una situazione preesistente, ma la modifica.

Il processo di esecuzione si ha quando vi è già certezza sui diritti e gli obblighi delle parti, ma l’obbligato non vi adempie spontaneamente. A differenza del giudizio di cognizione, quindi, la funzione del processo di esecuzione non è quella di accertare il diritto, ma di attuarlo concretamente. La forma più importante di processo esecutivo è quella che ha per oggetto l’espropriazione forzata dei beni del debitore (vedi Cap. 19, par. 6).

Il processo cautelare, infine, tende a conservare, nelle more del giudizio di cognizione o di esecuzione, lo stato di fatto esistente per rendere possibile l’accertamento del diritto o l’esecuzione della sentenza.

Vi sono casi in cui la legge ammette che le parti possano mettersi d’accordo per evitare di andare dinanzi al giudice, risparmiandosi di instaurare un

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procedimento in genere molto lungo e costoso. In questi casi si parla di strumenti alternativi alla giurisdizione civile che sono:
l’arbitrato, che è un contratto con il quale le parti conferiscono il potere di decidere la controversia a dei giudici privati (arbitri). In genere gli arbitri decidono la controversia applicando le norme dell’ordinamento giuridico ed emanano un atto, chiamato lodo arbitrale, che produce gli stessi effetti della sentenza del giudice. Il contratto con il quale le parti deferiscono la loro controversia ad arbitri è detto compromesso.

Non sempre però è possibile ricorrere all’arbitrato: esso è ammesso solo per i diritti disponibili con esclusione delle controversie individuali di lavoro, di quelle concernenti le questioni di stato (ad esempio l’accertamento della paternità) o di separazione tra coniugi. Non è ammesso l’arbitrato in tutti i casi in cui il diritto non ammette la transazione;
la transazione, che è un contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, pongono fine ad un giudizio iniziato o si accordano per evitare una lite che potrebbe insorgere tra loro (art. 1965 c.c.);
la conciliazione, che è un accordo che in genere si raggiunge mediante l’intermediazione di una terza persona estranea alla controversia, con il quale le parti definiscono...

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