La tutela dei beni archeologici sommersi. L'istituzione di parchi marini per la valorizzazione in situ

AutoreNicolò Carnimeo
Pagine55-71
NICOLÒ CARNIMEO
LA TUTELA DEI BENI ARCHEOLOGICI
SOMMERSI. L’ISTITUZIONE DI PARCHI
MARINI PER LA VALORIZZAZIONE IN SITU.*
S: 1. La tutela dei beni del patrimonio archeologico sommerso. Le norme
convenzionali e l’applicazione nel diritto interno. – 2. Il ritrovamento. – 3. I
parchi archeologici subacquei. La valorizzazione in situ. – 4. Organi di vigilanza
e regime sanzionatorio.
1. La tutela giuridica del patrimonio archeologico sommerso è frutto di
una complessa ed articolata regolamentazione sviluppatasi nel tempo e di
respiro prevalentemente internazionale1.
* Il presente lavoro costituisce un approfondimento della relazione tenuta dall’Autore nell’am-
bito della Settimana europea della cultura al Convegno: “La protezione dei beni archeologici rin-
venuti a terra o in mare”, tenutosi il 20 aprile 2012 presso il Convento di S. Francesco in Taranto
e organizzato dalla Presidenza della II Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di
Bari “Aldo Moro”.
1 Il patrimonio archeologico, ormai pacicamente inteso quale “patrimonio dell’umanità”, ven-
ne per la prima volta in evidenza con la c.d. “II Convenzione internazionale dell’Aja del 1899 su
leggi ed usi della guerra terrestre”, i cui principi furono ribaditi e confermati nella successiva Con-
venzione del 1907 cui seguì il “Trattato per la Protezione delle Istituzioni artistiche e scientiche e
dei monumenti storici” (c.d. Patto Roerich) rmato a Washington il 15 aprile 1935, mai raticato
dall’Italia, che aveva come proprio obiettivo l’adozione universale di una bandiera allo scopo di sal-
vaguardare in ogni tempo di pericolo tutti i monumenti, costituenti “il tesoro culturale dei popoli”,
inamovibili di proprietà nazionale e privata.
Dopo i due conitti mondiali, ove gran parte del patrimonio archeologico andò distrutto o dan-
neggiato, fu stipulata la “Convenzione per la protezione dei Beni Culturali in caso di conitto
armato” (Aja, 1954) in cui, sin nelle premesse, si evidenziava come il danneggiamento dei beni
culturali, a qualsiasi popolo appartenessero, comportasse un pregiudizio all’intero patrimonio
culturale dell’umanità “poiché ogni popolo contribuisce alla cultura mondiale” e, pertanto, la sua
conservazione avesse un’importanza tale da “assicurarne la protezione internazionale”. In questa
Convenzione si trova una prima dettagliata elencazione dei beni da tutelare simile a quanto poi
sarà recepito nel nostro “codice dei beni culturali e del paesaggio” il decreto legislativo n. 42 del
22 gennaio 2004.
Nel 1969, con la “Convenzione europea per la protezione del patrimonio archeologico” di Lon-
dra, raticata dal nostro paese con la legge n. 202/1973, si ribadisce che “il patrimonio archeologico
costituisce un elemento essenziale per la conoscenza della storia della civiltà” e si riconosce “che
la responsabilità morale della protezione del patrimonio archeologico europeo, prima fonte della
storia d’Europa, seriamente minacciato di distruzione, pur rientrando in primo luogo fra i doveri
dello Stato interessato, incombe comunque sull’insieme degli Stati europei”.
56 Annali della Facoltà di Giurisprudenza di Taranto — Anno V
Il nostro Paese, collocato al centro del Mediterraneo e storicamente cro-
cevia di trafci marittimi, è particolarmente interessato dal fenomeno e pur
connotandosi per una elaborata normativa in materia di tutela e conservazio-
ne del patrimonio archeologico2, per molto tempo non ha predisposto norma-
tive speciche per quello posto sui fondali marini il quale, invece, necessita
di precipua attenzione per le sue peculiari caratteristiche.
La materia in esame, complessa per i molteplici aspetti (sostanziali e giu-
risdizionali) che possono emergere, ha ovvie implicazioni internazionali e,
non a caso, l’attuale – e solo recente rispetto alle “storie” che gli abissi ma-
rini custodiscono da secoli – regolamentazione si deve alla United Nations
Educational, Scientic and Cultural Organization (UNESCO) che ha adotta-
to, il 02 novembre 2001, la Convention on the Protection of the Underwater
Cultural Heritage (CPUCH)3 la quale, all’art. 1, così denisce i beni del
patrimonio archeologico subacqueo:
2 Il primo intervento legislativo italiano in materia risale alla legge n. 364/1909 (c.d. legge Rosa-
di-Rava), oggi abrogata, ed al connesso regolamento di cui al r.d. 30.01.1913, n. 363, attualmente in
vigore, con cui, tra le altre cose, fu stabilito il principio dell’inalienabilità del patrimonio culturale
dello Stato e degli enti pubblici e privati e consentita la facoltà, in capo alle pubbliche ammini-
strazioni competenti, di apporre dei vincoli (attraverso il c.d. istituto della “notica”) sulle opere
di proprietà privata considerate di “importante interesse” nonché di espropriare opere di proprietà
privata che è necessario acquisire al sistema dei monumenti e musei pubblici. Fu, inoltre, disposto
l’obbligo di vigilanza sull’esportazione e sulla circolazione dei beni privati (con facoltà dello Stato
di esercitare il diritto di prelazione); promossa la ricerca archeologica; individuate le amministra-
zioni, centrali e periferiche, deputate alla conservazione e alla tutela dei beni culturali.
Con la legge n. 1089/1939 (“Tutela delle cose di interesse artistico o storico”), oggi abrogata, fu-
rono invece assoggettate alla tutela dello Stato e, in particolare, alla vigilanza dell’allora ministero
dell’educazione nazionale tutte “le cose, immobili e mobili, che presentano interesse artistico, sto-
rico, archeologico o etnograco, compresi: a) le cose che interessano la paleontologia, la preistoria
e le primitive civiltà; b) le cose d’interesse numismatico; c) i manoscritti, gli autogra, i carteggi, i
documenti notevoli, gli incunaboli, nonchè i libri, le stampe e le incisioni aventi carattere di rarità
e di pregio” (art. 1).
Attualmente il patrimonio archeologico e culturale italiano è disciplinato e tutelato dal già richia-
3 Detta Convenzione, sottoscritta a Parigi, è composta da due parti. Nella prima sono enunciati
i principi fondamentali per la protezione internazionale del patrimonio culturale subacqueo; nella
seconda, costituita da un allegato, vi sono speciche regole tese all’effettiva conservazione, valo-
rizzazione e gestione dei beni. È stato osservato che “L’obiettivo della Convenzione è di colmare
le lacune della legislazione internazionale precedentemente in vigore, fornendo un quadro di diritti
ed obblighi tale da garantire un regime di tutela appropriato in materia” (A. F, L’entrata
in vigore in Italia della Convenzione UNESCO 2001 sulla protezione del patrimonio culturale
subacqueo, in Riv. Aedon, n.2, 2012). Si veda anche: R. G, La Convenzione UNESCO
sulla protezione del patrimonio culturale subacqueo, Milano, 2004; T. S (a cura di), La
protezione del patrimonio culturale sottomarino nel Mare Mediterraneo, Milano, 2004.
In questa sede è opportuno rilevare che una prima fonte di tutela precedente alla Convenzione
UNESCO del 2001, seppur non incisiva come quest’ultima, era contenuta nella United Nations
Convention on the Law of the Sea (c.d. UNCLOS), adottata a Montego Bay il 10 dicembre 1982,
che prescriveva obblighi generali in capo agli stati contraenti al ne di proteggere i beni facenti
parte del patrimonio archeologico subacqueo.
In particolare rilevano sul tema l’art. 149 (“Archaeological and historical objectsAll objects of
an archaeological and historical nature found in the Area shall be preserved or disposed of for the
benet of mankind as a whole, particular regard being paid to the preferential rights of the State or
country of origin, or the State of cultural origin, or the State of historical and archaeological ori-
gin”) e l’art. 303 della medesima regolamentazione internazionale (“Archaeological and historical

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