Trust e procedure concorsuali
Autore | Francesco Fimmanò |
Pagine | 1189-1215 |
Francesco Fimmanò
Trust e procedure concorsuali
S: 1. L’uso del trust come strumento di accelerazione della procedura fallimentare. – 2. La segrega-
zione dei beni nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti. – 3. Gli eetti
del trust. – 4. La protezione dei creditori nella Convenzione dell’Aja. – 5. I rimedi revocatori. – 6.
Trust interno ed internazionale. – 7. La irriproducibilità dell’istituto nell’ordinamento giuridico italia-
no. – 8. L’applicazione analogica di istituti interni. – 9. La liceità e la meritevolezza nelle destinazioni
omnibus di cui all’art. 2645 ter c.c. – 10. Lo sdoppiamento della proprietà tra legal estate ed equitable
interests. – 11. La liquidazione fallimentare mediante conferimento in una newco di scopo. – 12. La
soluzione societaria come forma di garanzia concordataria conforme all’ordinamento.
1. Negli ultimi anni si è registrato un crescente utilizzo del trust nell’ambito delle
procedure concorsuali, come strumento di accelerazione delle operazioni di chiusura del
fallimento o di liquidazione dell’attivo o, ancora, come forma di garanzia della massa dei
creditori nei concordati e negli accordi di ristrutturazione dei debiti.
Le più risalenti applicazioni riguardano il conferimento in trust di crediti di natura
scale1 maturati nel corso della procedura2, od anche i crediti commerciali di dicile
realizzo, ed esigibili solo dopo la chiusura della stessa.
Secondo una certa giurisprudenza di merito il conferimento delle attività fallimenta-
ri nel trust sarebbe più vantaggioso rispetto ad una cessione, posto che nessuna garanzia
dell’esistenza dei crediti conferiti risulterebbe dovuta dal fallimento cedente e considerato
che la cessione comporterebbe sempre una decurtazione del credito, per via dell’attesa e
del rischio che si assume il cessionario. Inoltre i creditori insinuati non risentirebbero di
alcun danno, atteso che gli stessi, essendo designati nell’atto costitutivo del trust come
«beneciari», acquisterebbero il diritto, azionabile in giudizio, di essere pagati con i beni
segregati, secondo l’ordine già stabilito nello stato passivo della procedura. Il regime di
segregazione eliminerebbe poi qualsiasi rischio di distrazione per il soddisfacimento delle
ragioni di eventuali creditori del trustee3.
1 Si tratta in particolare di crediti per ritenute sugli interessi e Iva maturati nel corso della procedura, ma
esigibili di fatto e di diritto soltanto dopo la chiusura del fallimento. Il conferimento in trust dovrebbe
consentire di evitare che l’amministrazione nanziaria possa eccepire la compensazione per i propri cre-
diti rimasti insoddisfatti in sede di riparto, visto l’orientamento della Cassazione che non guarda al mo-
mento in cui il credito diventa liquido ed esigibile, ma alla data in cui è insorto il fatto genetico dell’ob-
bligazione, anteriormente alla dichiarazione di fallimento (Cass., 16 novembre 1999, n.775, in Foro It.,
2000, I, 2892).
2 Trib. Roma, 4 aprile 2003, in Trusts, 2004, 406; Trib. Roma 3 aprile 2003, in Trusts, 2003, 411, e in
Fallimento, 2004, 101 con nota di F, La funzione del trust nelle procedure concorsuali (per il quale il
trust assicura la concreta nalizzazione, consentendo di superare le perplessità circa l’ultrattività degli organi
fallimentari, in ordine all’esigenza di conservare la segregazione dei beni, evitando che i creditori sociali
possano agire sugli stessi al momento della chiusura della procedura). Al riguardo cfr. pure G, La fun-
zione del trust nel fallimento, in Giur. comm., 2005, 708.
3 Trib. Saluzzo, 9 novembre 2006, in Giur.mer., 2008, 3, 739, con nota di D, “Il Trust” postfalli-
1190Studi in onore di Umberto Belviso
Si tratta di un utilizzo in verità opinabile, che, pur ammissibile in astratto, nisce
con il vanicare le funzioni della procedura in assenza di previsioni normative, in quan-
to le attività di liquidazione e distribuzione non sarebbero più disciplinate dalla legge ma
dal regolamento del trust4. La tecnica lascia peraltro irrisolte le controversie eventual-
mente sorte nel corso della liquidazione e del riparto, considerato che la chiusura del
fallimento fa decadere tutti gli organi della procedura e che non può certo competere al
trustee denire il contenzioso oppure autorizzare azioni e transazioni.
La previsione di specici casi di ultrattività degli organi non costituisce un principio
generale ed anzi esclude la sopravvivenza degli stessi dopo la formale chiusura del falli-
mento. Anche la possibilità di delega di singole operazioni a terzi (art. 104-ter, comma
3, e art. 106, ult. comma, l. fall.) è limitata a casi specici e comunque endoprocedimen-
tali. Peraltro con la cessazione di tutti gli eetti del fallimento sul patrimonio del fallito,
i creditori insoddisfatti possono riprendere le eventuali azioni individuali e va escluso
che le somme in questo modo incassate possano essere legittimamente sottratte alla ga-
ranzia dei creditori che non abbiano partecipato alla procedura concorsuale.
Il fallimento, a norma dell’art. 118, comma 1, n. 3, l. fall., si può chiudere «quando
è compiuta la ripartizione nale dell’attivo» e quindi l’esistenza di crediti o di altre attivi-
tà fallimentari, non ancora liquidate, da conferire nel trust, è di per sé ostativa alla chiu-
sura. Si è osservato che la ripartizione nale non è la mera redazione del progetto, ma
l’eettivo pagamento dei creditori, eventualmente anche mediante assegnazione dei cre-
diti o di altri beni, come risulta confermato sia dall’art. 115 l. fall., ove si parla di paga-
mento delle somme assegnate ai creditori, sia dall’art. 116 l. fall., ove è previsto che il
curatore presenti il proprio rendiconto dopo aver compiuto la liquidazione dell’attivo5.
Inoltre spetta al curatore, a norma dell’art. 115 l. fall., dover provvedere al pagamento
delle somme assegnate nel piano di ripartizione, nei modi stabiliti dal giudice delegato e
tale funzione non è certo delegabile. Nello stesso senso va la disposizione secondo cui
«…il giudice delegato, nel rispetto delle cause di prelazione, può disporre che a singoli credi-
tori che vi consentono siano assegnati, in luogo delle somme agli stessi spettanti, crediti di
imposta del fallito non ancora rimborsati» (art. 117, comma 3, l. fall.).
D’altra parte ubi lex voluit dixit e se il legislatore della riforma fallimentare avesse
eettivamente voluto prevedere soluzioni quali il trust o la cartolarizzazione6, per la chiu-
sura anticipata o la liquidazione alternativa, l’avrebbe fatto e non avrebbe viceversa con-
templato altri istituti quali: la cessione dei crediti futuri anche di natura scale (art. 106,
comma 1, l. fall.), la stipulazione di contratti di mandato per la relativa riscossione (art.
106, comma 3, l. fall.)7, la cessione aggregata di attività e passività aziendali (art. 105,
mentare e l’apparente chiusura del fallimento, in Giur. merito, 2008, 3, 741; in Giur. comm., 2008, II, 207 con
nota di I, Note in tema di trust e fallimento.
4 Contrario tra gli altri C, Chiusura del fallimento e attività residue degli organi fallimentari; la sorte
postfallimentare dei crediti d’imposta, in Fallimento, 2004, 1301.
5 S, Sui crediti tributari formati nella procedura fallimentare, in Fallimento, 2005, 473.
6In mancanza di una norma espressa è da escludere una forma atipica di cartolarizzazione che permetta la
chiusura della procedura concorsuale attraverso la distribuzione di titoli, rappresentativi del diritto al riparto,
ai creditori (e non collocati sul mercato), a tutela dei quali agirebbe lo stesso cedente (in tema cfr. T, Il
recupero dei crediti concorsuali: cartolarizzazione e proroga funzioni del curatore fallimentare, in Dir. fall., I, 414).
7 Anche la possibilità prevista dall’ultimo comma dell’art. 117 l. fall. deve ritenersi limitata ad attività da
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