La Riforma del diritto penale tributario ovvero il ritorno delle c.d. manette agli evasori

AutoreRosario Li Vecchi
Pagine553-559

Page 553

@1. Introduzione

La riforma del diritto penale tributario con il minacciato ritorno delle «manette» per gli evasori è frutto dei ripensamenti e dei rimorsi, covati da anni, del legislatore specie di seguito alla deludente ed amara constatazione che le c.d. «manette agli evasori», che dovevano essere le fedeli compagne di viaggio della L. 516/82, si rivelarono alla fine molto deboli e fragili in quanto erano state costruite con materiale di «cartapesta». Preso, dunque, da stizza ha ritenuto opportuno essere, ormai, giunto il momento di correre ai ripari con la formulazione di norme molto severe in modo da rendere le «manette» di acciaio, iniziando così la lotta contro gli «evasori». Proprio da qui è scaturita la legge-delega del 25 giugno 1999, n. 205 (in G.U. 28 giugno 1999, n. 149) in virtù della quale il Governo veniva delegato ad emanare «un decreto legislativo recante la nuova disciplina di reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto» e di cui abbiamo già fatto il Commento dei rispettivi articoli con le osservazioni e critiche su questa stessa Rivista 1. Il decreto legislativo approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 3 marzo 2000, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 31 marzo 2000, n. 76 (D.L.vo 10 marzo 2000, n. 74).

Esso si compone di 25 articoli, divisi in 5 Titoli di cui il secondo, a sua volta, suddiviso in due Capi, articoli di cui passiamo a fare la esegesi.

@2. Commento per articolo del D.L.vo n. 74/2000

La nuova normativa fiscale, per la particolare materia trattata, fa uso di termini tecnici propri di tale settore, sicché il legislatore, onde evitare il sorgere di questioni, spesso di «lana caprina», in ordine al preciso significato da attribuire a tali termini, con l'art. 1 ne ha fornito la «definizione». Trattasi, in proposito, di una novità insolita in quanto raramente lo stesso si è preoccupato, specie in tema di riforme nel settore tributario, di spiegare il significato e la concreta portata dei termini via via adoperati per la formulazione delle fattispecie penali. Infatti il legislatore, al comma 1, lett. a), chiarisce ampiamente il termine riguardante le «fatture o altri documenti per operazioni inesistenti»; mentre nella lett. b), chiarisce il significato riguardante gli «elementi attivi o passivi»; invece nella lett. c), spiega quale significato attribuire al termine «dichiarazioni»; nella lett. d), poi, chiarisce il significato dei termini riguardanti il «fine di evadere le imposte» e il «fine di consentire a terzi l'evasione»; mentre nella lett. e, che concerne coloro che agiscono nella qualità di amministratori, liquidatori o rappresentanti di società, precisa che i fatti commessi da costoro per la carica rivestita, il «fine di evadere le imposte» e il «fine di sottrarsi al pagamento» dovranno intendersi riferiti alle «società, all'ente o alla persona fisica per conto della quale si agisce»; infine nella lett. g) precisa e specifica che «le soglie di punibilità» riferite all'imposta "evasa" dovranno intendersi «estese anche all'ammontare dell'indebito rimborso richiesto o dell'inesistente credito di imposta esposto nella dichiarazione».

Dopo tale articolo, l'unico del Tit. I, che possiamo definire come introduzione e come utile premessa, passiamo alla esegesi del Tit. II, il più importante ed essenziale del decreto de quo, anche perché contiene tutti quei delitti per i quali, a seconda dei casi e secondo il desiderio del legislatore, dovrebbero finalmente scattare questa volta le c.d. «manette per gli evasori».

Detto Titolo risulta diviso in due capi di cui il primo, composto di 6 articoli (2, 3, 4, 5, 6 e 7), contiene i delitti in materia di dichiarazione, mentre il secondo, composto di 4 articoli (8, 9, 10 e 11), contiene quelli in materia di documenti e pagamento di imposte. Passando adesso alla esegesi di tali norme rileviamo che il delitto previsto dall'art. 2 riguarda la «dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti» ed è composto di tre commi di cui il primo prevede «la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni» per colui che al fine di evadere «le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi passivi fittizi». Tale comma, però, appare «monco» in quanto il legislatore, una volta indicata la pena, avrebbe quantomeno dovuto indicare la soglia di punibilità, cioè il suo ammontare affinché possa configurarsi l'applicabilità di detta pena, mentre essa dovrà stabilirsi per deduzione logica attraverso la lettura del terzo comma secondo cui ove l'ammontare degli elementi passivi fittizi sia inferiore a lire 300 milioni, si applicherà una pena diminuita e cioè la reclusione da sei mesi a due anni e quindi il terzo comma prevede così un'attenuante.

Nel secondo comma, poi, vengono specificati i criteri e le modalità da adottare affinché «fatture» e «documenti» possano configurare il fatto di reato e determinare così la «soglia di punibilità», ma a condizione, però, che gli stessi vengano inclusi nelle scritture obbligatorie oppure detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Or questo comma ci sembra però pleonastico in quanto è chiaro ed evidente che onde poter avere rilevanza fiscale, «fatture» e «documenti» dovranno essere tenuti secondo legge! Nel terzo comma, poi, come già detto, troviamo la soglia di evasione che comporta, ove gli elementi passivi fittizi siano inferiori a lire 300.000.000, l'applicazione di un'attenuante e quindi una riduzione della sanzione penale comportante la pena da sei mesi a due anni di reclusione.

L'art. 3 riguarda la «dichiarazione fraudolenta» mediante altri artifici e funziona da norma di riserva in quanto essa è applicabile ove non ricorrano i «casi previsti dall'art. 2» e quindi la sua configurabilità ricorre tutte le volte in cui l'evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto sia conseguente ad «una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie ed avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento» riportata in una delle dichiarazioni annuali riguardanti dette imposte, mediantePage 554 indicazione di «elementi attivi» inferiori a quelli effettivi (ad es. lire 400 milioni anziché lire 1.500.000.000) oppure «elementi passivi fittizi» (lire 500.000.000 milioni anziché lire 200 milioni). In questo caso la pena da applicare è quella della reclusione da 1 anno e sei mesi a 6 anni. In proposito vengono indicati i criteri da seguire per la irrogazione di detta pena: A) il computo va effettuato sommando, congiuntamente, per ogni singola imposta (sui redditi oppure sul valore aggiunto), gli «elementi attivi» e «quelli passivi fittizi», però a condizione che «l'imposta evasa sia superiore a lire 150 milioni». Quid iuris? Ove l'imposta evasa sia inferiore a tale cifra? In proposito la risposta si ricava dalla lett. B) in cui è prescritto che l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti alla imposizione, anche «mediante indicazione di elementi passivi fittizi» sia superiore «al cinque per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione o, comunque, sia superiore a lire tre miliardi». A questo punto riteniamo opportuno ed utile, specie ai fini dell'applicazione pratica della normativa de qua, ricorrere ad un esempio pratico: se nella dichiarazione figura un attivo di lire 400 milioni anziché quello effettivo di lire 1.500.000.000, il 5% sulla somma sottratta (lire 1.500.000.000 - lire 400.000.000) pari a lire 1.100.000.000 si ottiene la somma di lire 55.000.000, sicché la somma sottratta alla imposizione è superiore del 5% di quello dichiarata e quindi, in questo caso, scatta la punibilità di cui sopra. La stessa cosa va detta ove vengano indicati passivi fittizi sull'attivo dichiarato (così ad es.: lire 1.500.000.000 attivo dichiarato, lire 500.000.000 passivo fittizio), si ottiene un imponibile di lire 1.000.000.000 che, moltiplicato per il 5% è pari a lire 50.000.000, mentre il 5% di lire 1.500.000.000 è pari a lire 75.000.000 e quindi superiore all'attivo effettivo dichiarato e fittiziamente decurtato degli elementi passivi. Or, com'è facile constatare, la norma in commento è stata formulata in maniera farraginosa ed infelice ed in tema di pratica applicazione darà sicuramente adito a problemi ermeneutici con le conseguenti divergenze sia dottrinarie che giurisprudenziali, anche perché, ove si dia un attento sguardo e si faccia un oculato esame della normativa de qua, il legislatore ha presunto che il giudice fosse addentro ed esperto in materia contabile, specie poi fiscale, cioè un giudice-ragioniere che dovrà districarsi nella selva legislativa tributaria ove il tecnicismo contabile sovrasta di gran lunga quello giuridico e ne costituisce la premessa necessaria ed indispensabile per la retta applicazione della legge.

L'art. 4 riguarda la «dichiarazione infedele» ed anche questo è una norma di riserva in quanto si applica «fuori dai casi previsti dagli articoli 2 e 3» a coloro che, allo scopo di evadere le imposte sui redditi oppure sul valore aggiunto, indicano nella dichiarazione annuale «elementi attivi inferiori a quelli effettivi oppure elementi passivi fittizi», evidentemente senza fare ricorso a «falsità» od a «mezzi fraudolenti». La pena da applicarsi in questo caso è quella della reclusione da uno a tre anni, però a condizione che: a) «l'imposta evasa sia superiore . . . A lire duecento milioni» oppure: b) nel caso in cui «gli elementi attivi sottratti alla impostazione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, siano superiori al 10% degli elementi attivi indicati in dichiarazione» o, comunque, superiore a lire...

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