Tribunale penale di To rino sez. III, 14 luglio 2014 (ud. 20 giugno 2014)
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giur
4/2015 Rivista penale
MERITO
bane o insolenti, ma nulla di più – l’esercizio di eventuali
iniziative legali in altre sedi, ritenendosi ingiustamente
leso nei propri diritti. Ed il riferimento, poi, reale o mil-
lantato, a parentele influenti, se non accompagnato da
specifiche affermazioni o condotte ulteriori, idonee, in tal
modo, a conferirgli una seria e concreta valenza intimida-
trice, ancorché implicita, rimane un flatus vocis, privo di
qualsiasi oggettiva efficacia condizionante dell’operato del
pubblico ufficiale” … e, semmai, utile soltanto a rievocare
un divertente successo cinematografico del passato.
NOTE
(1) L’articolo 341 c.p. (testo abrogato dalla L. 205/1999) stabilisce:
“Chiunque offende l’onore o il prestigio di un pubblico ufficiale, in presenza
di lui e a causa o nell’esercizio delle sue funzioni, è punito con la reclusione
da sei mesi a due anni. La stessa pena si applica a chi commette il fatto me-
diante comunicazione telegrafica o telefonica, o con scritto o disegno, diretti
al pubblico ufficiale, e a causa delle sue funzioni. La pena è della reclusione
da uno a tre anni, se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determi-
nato. Le pene sono aumentate quando il fatto è commesso con violenza o
minaccia, ovvero quando l’offesa è recata in presenza di una o più persone”.
(2) Cfr., sul punto, MAURIZIO PORRO, Torna “Il vigile” di Albertone,
senza censure, in Corriere della sera, 21 agosto 2004, p. 35; nonché wiki-
pedia.org/wiki/il-vigile.
(3) Cass. pen., sez. VI, 13 luglio – 27 settembre 1995, n. 9914.
(4) Cass. pen., sez. VI, 4 marzo 1989 – 1 febbraio 1990, n. 1462.
(5) Cass. pen., sez. II, 2 giugno 1989 – 3 luglio 1990, n. 9456.
(6) Cass. pen., sez. VI, 16 aprile - 23 aprile 2014, n. 17688.
trIbunALe penALe dI tOrInO
Sez. III, 14 LugLIO 2014
(ud. 20 gIugnO 2014)
preS. ArAtA – eSt. ArAtA – p.m. X (COnf.) – Imp. X
Ingiuria e diffamazione y Ingiuria y Offese verbali
e violenza fisica nei confronti di persona con orien-
tamenti omosessuali y Sul luogo di lavoro y Omofo-
bia y Responsabilità penale y Sussistenza.
. È penalmente responsabile per i reati di ingiuria,
minaccia e lesioni personali, colui che, in un contesto
lavorativo, offenda un collega, anche ponendo in essere
comportamenti violenti ed aggressivi tali da poterli de-
finire “omofobi”, sulla base dell’orientamento sessuale
della persona offesa. (c.p., art. 582; c.p., art. 594; c.p.,
art. 612) (1)
(1) Con questa interessante pronuncia viene condannata qualsiasi
manifestazione di omofobia che possa assumere i tratti propri di una
condotta persecutoria e che, quindi, leda i diritti e la dignità delle
persone omosessuali. Sull’elemento soggettivo del reato di ingiuria,
si veda Cass. pen., sez. V, 7 febbraio 2013, n. 6169, in questa Rivista
2014, 105. In tema di ingiuria si veda, con riferimento al rapporto in-
segnante – alunno, Cass. pen., sez. V, 19 dicembre 1994, n. 12510, ivi
1995, 1184, che esclude qualsiasi finalità “correttiva” delle espressio-
ni offensive e mortificative che possono essere rivolte dall’agente alla
persona offesa con un presunto intento educativo. Si rammenti, infi-
ne, che anche il quadro normativo interno, adeguandosi alla norma-
tiva internazionale, ha riconosciuto le più ampie posizioni giuridiche
alle persone omosessuali: si veda Cass. civ. 15 marzo 2012, n. 4184, in
Ius&Lex dvd n. 1/2015, ed. La Tribuna, che riconosce espressamente
il diritto alla “vita familiare”, ex art. 8 della Convenzione europea dei
diritti dell’uomo, alle persone dello stesso sesso, che siano conviventi
e che abbiamo dunque instaurato una stabile relazione di fatto.
SVOLgImentO deL prOCeSSO e mOtIVI deLLA deCISIOne
A seguito di giudizio svoltosi col rito ordinario, avente
ad oggetto le imputazioni sopra specificate, il Giudice di
Pace di Torino, con sentenza in data 11 ottobre 2013, con-
dannava X per entrambi i reati a lui contestati, come da
dispositivo riportato in epigrafe, pronunciando anche in
merito alla richiesta di risarcimento danni avanzata da
Mevio erede della persona offesa, ritualmente costituitosi
parte civile. Contro tale decisione proponeva appello il di-
fensore dell’imputato denunciando, con il primo motivo, la
mancata assoluzione dal delitto contestato sub A in quan-
to fondato esclusivamente sulle dichiarazioni della parte
offesa non riscontrate dal teste Filano, come invece so-
stenuto in sentenza, e, con il secondo motivo l’eccessività
della pena inflitta conseguente ad un eccessivo aumento
della pena in relazione al reato satellite.
Sulla base di questi presupposti si è proceduto in pub-
blico dibattimento e all’odierna udienza le parti hanno
concluso come riportato in epigrafe.
Ciò premesso sul piano dello svolgimento del proces-
so, si ritiene che la sentenza impugnata meriti integrale
conferma per le ragioni di seguito specificate.
In relazione aI primo motivo di ricorso, occorre prelimi-
narmente ricordare che, in ordine alla prova testimoniale
della vittima del reato, si è ormai consolidato nella giuri-
sprudenza della Suprema Corte l’orientamento secondo
cui “la statuizione di condanna si può fondare anche sulla
deposizione di un unico teste e pure sulla deposizione
della sola persona offesa, salvo, in quest’ultimo caso, il
controllo della sua attendibilità. (Cass., sez. VI, 20 gennaio
1994, Mazzaglia, Mass. Cass. pen., 1994, fasc. 10, 11 (m)]
anche se “in tema di valutazione della prova, qualora si
tratti della testimonianza della persona offesa dal reato,
che ha sicuramente interesse verso l’esito del giudizio, è
necessario vagliare le sue dichiarazioni con ogni opportu-
na cautela, cioè compiere un esame particolarmente pene-
trante e rigoroso attraverso, una conferma di altri elemen-
ti probatori, talché essa può essere assunta, da sola, come
fonte di prova, unicamente se venga sottoposta a detto
riscontro di credibilità oggettiva e soggettiva” [Cass., sez.
II, 26 aprile 1994, Gesualdo, in Mass. Cass. pen., 1994, fasc.
10, 45 (m), in senso conforme, tra le altre, Cass., sez. l, 28
febbraio 1992, Simbula in Riv. pen., 1993, 462; Cass., sez.
VI, 30 novembre 1994, Numelter, in Mass. Cass. pen., 1995,
fasc. 7, 84 (m). Più di recente, in senso più ampio, Cass.,
sez. III, 22 gennaio 1997, Ricci, in Ced Cass., rv. 207642
(m) secondo cui “le dichiarazioni rese dalla vittima del
reato, cui la legge conferisce la capacità di testimoniare,
possono essere assunte quali fonti di convincimento al
pari di ogni altra prova senza necessità di riscontri esterni
[non essendo applicabile al caso il canone di valutazione
stabilito dall’art. 192, comma 3, c.p.p.); tuttavia il giudice
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