Tribunale Civile Di Piacenza 28 Settembre 2015

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giur
Arch. loc. cond. e imm. 1/2016
MERITO
(16) Nel caso, per esempio, di annullamento degli atti presupposti
di un contratto di appalto, la caducazione del contratto non è più ora, a
differenza del precedente regime, conseguenza automatica dell’annulla-
mento: “Con l’entrata in vigore delle disposizioni attuative della Direttiva
n. 2007/66/Ce, riprese negli artt. 121 e 122 c. proc. amm., è stato attri-
buito al giudice amministrativo, in caso di annullamento giudiziale di
una pubblica gara, il potere di decidere discrezionalmente (anche nei
casi di violazioni gravi) se mantenere o meno l’eff‌icacia del contratto nel
frattempo stipulato. Tale sistema normativo, in base al quale l’ineff‌icacia
del contratto non è conseguenza automatica dell’annullamento dell’ag-
giudicazione, ma costituisce oggetto di una specif‌ica pronuncia giurisdi-
zionale, si pone come innovazione rispetto alla logica sequenza procedi-
mentale che vede la privazione degli effetti del contratto strettamente
connessa all’annullamento dell’aggiudicazione, e da questa dipendente.
La caducazione del contratto stipulato a seguito dell’aggiudicazione poi
annullata costituisce, quindi, in via generale, la conseguenza necessitata
dell’annullamento; di tale conseguenza l’art. 122 c. proc. amm. costitui-
sce una deroga, imperniata sulle esigenze di semplif‌icazione e concen-
trazione delle tutele ai f‌ini della loro effettività.” (T.A.R. Puglia Bari, sez.
I, 9 ottobre 2013, n. 1378).
(17) In questo senso, Cassazione civile, sez. I, 8 novembre 2005, n.
21647, ove si afferma che l’azione di indebito oggettivo è esperibile non
solo in caso di totale nullità di un contratto, con riferimento alle pre-
stazioni eseguite in forza di esso, ma anche in caso di nullità parziale,
in relazione a singole clausole in base alle quali siano state effettuate
specif‌iche prestazioni e, eventualmente, controprestazioni a queste fun-
zionalmente collegate. La ripetibilità, tuttavia, è condizionata dal conte-
nuto della prestazione e dalla possibilità concreta di ripetizione, secondo
le regole degli art. 2033 e ss. c.c., operando altrimenti, ove ne sussistano
i presupposti, in mancanza di altra azione, l’azione generale di arricchi-
mento prevista dall’art. 2041 c.c. (Nella fattispecie la S.C. ha ritenuto, in
presenza di nullità parziale, esperibili sia l’azione di indebito oggettivo
da parte dall’autore della prestazione di pagamento del corrispettivo di
una prestazione di fare, sia l’azione di arricchimento nei confronti del
destinatario di quest’ultima prestazione).
(18) Cfr. l’articolo 1815, comma 2 c.c. nel testo di cui all’art. 4 legge 7
marzo 1996, n. 108, secondo il quale “Se sono convenuti interessi usurari,
la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.
(19) In tema di azione d’indebito arricchimento nei confronti della
p.a., conseguente all’assenza di un valido contratto (nella specie, avente
ad oggetto la fornitura di prodotti sanitari), l’indennità prevista dall’art.
2041 c.c. va liquidata nei limiti della diminuzione patrimoniale subita
dall’esecutore della prestazione resa in virtù del contratto invalido, con
esclusione di quanto lo stesso avrebbe percepito a titolo di lucro cessan-
te se il rapporto negoziale fosse stato valido ed eff‌icace, non potendo la
liquidazione avvenire in misura corrispondente al prezzo fatturato delle
merci, comprensivo del guadagno. (Cassazione civile, sez. I, 7 ottobre
2011, n. 20648; Cassazione civile 7 novembre 2014 n. 23780 sez. III).
(20) In questo senso, Cass. Sez. III, sentenza 27 luglio 2015 n. 15757.
(21) Nel caso di immobile concesso in locazione dalla p.a., é inesigi-
bile la dimostrazione da parte di questa dell’esistenza di concrete propo-
ste provenienti da aspiranti locatari ai f‌ini dell’accertamento del maggior
danno da ritardata restituzione dell’immobile locato di cui all’art. 1591
c.c., posto che l’esperimento della procedura pubblica per la locazione
presuppone la libertà dell’immobile, mentre è suff‌iciente e necessaria, a
tale scopo, la prova altrimenti data dell’ammontare del canone concreta-
mente conseguibile sul mercato per immobili aventi le stesse caratteri-
stiche (Cassazione civile, sez. III, 8 luglio 2010, n. 16143).
(22) La prova del maggior danno, di cui alla seconda parte dell’art.
1591 c.c., non sorge automaticamente, sulla base del valore locativo pre-
sumibilmente ricavabile dall’astratta conf‌igurabilità di ipotesi di locazio-
ne o vendita del bene, ma richiede, invece, la specif‌ica dimostrazione
di un’effettiva lesione del patrimonio del locatore, consistente nel non
aver potuto dare in locazione il bene per un canone più elevato, nel non
averlo potuto utilizzare direttamente e tempestivamente, nella perdita
di occasioni di vendita ad un prezzo conveniente o in altre analoghe
situazioni pregiudizievoli. Detta prova incombe sul locatore, tenuto a
dar conto dell’esistenza di ben determinate proposte di locazione o di
acquisto e di concreti propositi di utilizzazione (giurisprudenza preva-
lente, ma si veda supra, nota 16), anche se giustif‌icata, sul piano della
politica abitativa del tempo dalla distanza tra il canone legale ex legge n.
392/1978 ed il canone (allora) di mercato; ex multis, Cassazione civile,
sez. III, 3 febbraio 2011, n. 2552; conforme, Cass., sez. III, sent. 27 marzo
2007 n. 7499).
(23) Per un caso di riferimento al f‌ine della quantif‌icazione dell’ar-
ricchimento senza causa, al valore pattuito dalle parti di certi beni com-
pravenduti, si veda Cassazione civile, sez. I, 29 maggio 1986, n. 3627, la
quale ha affermato che “In favore di chi abbia venduto merci alla p.a. in
base ad un negozio nullo per difetto di forma ad substantiam e non pos-
sa conseguire la restituzione, per avere l’amministrazione già utilizzato
irreversibilmente quelle cose, deve riconoscersi - nonostante il rigetto
della domanda di adempimento contrattuale pronunciato per effetto
della predetta nullità - la facoltà di proporre l’azione sub art. 2041 c.c.,
nei limiti in cui l’amministrazione consumando od utilizzando le merci
in questione abbia ricevuto ed implicitamente riconosciuto un proprio
arricchimento, al f‌ine di ottenere il pagamento, a titolo di indennizzo, di
una somma corrispondente al prezzo di mercato delle merci stesse, da
adeguarsi (vertendosi in tema di debito di valore) al potere di acquisto
della moneta al momento della decisione”.
(24) Non nel dispositivo della sentenza, ma nella motivazione.
TRIBUNALE CIVILE DI PIACENZA
28 SETTEMBRE 2015
EST. FAZIO – RIC. X C. Y
Esecuzione forzata y Opposizioni y All’esecuzione
y Rilascio di unità immobiliare di edilizia pubblica
y Sospensione dell’esecuzione y Istanza cautelare y
Fumus boni iuris y Sussistenza y Fattispecie.
. Ai f‌ini del provvedimento cautelare richiesto in proce-
dimento di opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c.
riguardante il rilascio di unità immobiliari di edilizia
pubblica, deve ritenersi che sussista il fumus quando,
dal tenore degli atti e delle difese svolte ed in esito ad
una delibazione sommaria, emerga la fondatezza – o
la non manifesta infondatezza – dell’impugnazione; di
guisa che appare illogico e contraddittorio assicurare
la persistenza dell’eff‌icacia esecutiva di un titolo desti-
nato, con buona probabilità, a riforma totale o parziale.
(c.p.c., art. 615) (1)
(1) Argomentata decisione, emessa in procedimento di opposizione
ad una esecuzione di rilascio promossa da un ente di edilizia pubbli-
ca, ritenuto anch’esso (correttamente) soggetto alla procedura ex
art. 615 c.p.c. nonostante la normativa sull’edilizia pubblica conf‌i-
guri un sistema a sé per la parte relativa alla formazione del titolo
esecutivo e per la parte (del tutto limitata ed incoerente, rispetto a
quella di edilizia privata) attinente la fase esecutiva, sempre di edili-
zia pubblica. Condivisibile anche la def‌inizione di periculum in mora,
anch’essa ampiamente argomentata. Il provvedimento non affronta
(giustamente in questa fase cautelare) il problema della costituzio-
nalità della normativa, già risolta positivamente dalla Consulta che,
ancora nel 1991, aveva peraltro invitato il legislatore ad eliminare
la discriminazione in pejus (in 15 anni aggravatasi) dell’inquilino
di edilizia economica e popolare (peraltro presuntivamente meno
abbiente di un inquilino del settore privato) rispetto agli inquilini
accedenti al mercato libero delle locazioni.

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