Sinistro automobilistico e danni ai trasportati. Rinunzia ad accettare l"eredità del danneggiante. Società di assicurazione in L.C.A.

AutoreVittorio Santarsiere
Pagine693-696

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@1. Nozione

- La sentenza in epigrafe conclude un grado di giudizio instaurato da tre autotrasportati, lesi in un sinistro automobilistico, portante a morte il proprietario-conducente del veicolo. Convenuti sono i pretesi eredi del de cuius con la società per azioni, assicuratrice del veicolo infortunato per la r.c., in liquidazione coatta amministrativa, e l'azionaria designata per la gestione del Fondo di garanzia vittime della strada. Pretesa è il risarcimento dei danni da responsabilità del conducente per imprudenza e imperizia nella guida.

Ma, paventando una successione svantaggiosa per via delle passività conseguenti al sinistro causato dal conducente deceduto, i chiamati rinunziavano al diritto di accettare l'eredità. Veniva elusa da costoro la confusione del loro patrimonio con quello del dante causa, sottraendosi all'azione dei creditori incidentati. E gli stessi convenuti evitavano di rispondere ultra vires hereditatis, probabilmente non confortati dall'accettazione dell'eredità con il beneficio di inventario.

La rinunzia al diritto di accettare l'eredità viene definita dal FERRI (L.) atto di rifiuto, attraverso il quale chi vi è chiamato non dismette dei diritti, ma respinge quei diritti, che gli vengono offerti, più esattamente respinge una complessa posizione, respinge cioè l'eredità. La rinunzia di essa, come atto di esercizio o di esplicazione di un potere, ne determina la consumazione, in altre parole, fa cadere la delazione1.

Danni di configurazione varia conseguivano al sinistro: danno alla salute o biologico, danno morale, danno patrimoniale. Ora, il danno biologico deriva dalla semplice lesione della salute, connesso alla menomazione fisio-psichica del soggetto, è, appunto, sempre lesivo del bene giuridico salute. Da tale evento potrebbe scaturire, se vi fosse reato, il danno morale, che si identifica con le sofferenze patite dal soggetto passivo. Può esservi, inoltre, un danno patrimoniale, se ricorra in concreto, ben potendosi configurare fattispecie di lesioni senza esborsi di denaro, né perdite di guadagno. Più esplicitamente, il danno patrimoniale risulta dal lucro cessante in senso ampio, costituito dalle spese affron-Page 694tate e dal mancato guadagno. Non è quantitativamente omogeneo, esso varia da soggetto a soggetto a seconda del reddito percepito e in relazione agli eventuali altri danni arrecati al patrimonio del soggetto.

@2. Norme di legge

- Ai sensi dell'art. 521, comma 1, c.c., chi rinunzia all'eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato. Col che viene obliterata retroattivamente la qualità di legittimario. La rinunzia stessa produce gli effetti nei limiti della delazione ereditaria, non incidendo sulla validità ed efficacia dei legati e delle donazioni.

Nel caso che ci occupa, gli eredi del de cuius rinunciavano al diritto di accettare l'eredità loro devoluta con dichiarazione avanti al Cancelliere della pretura del luogo di apertura della successione, requisito formale richiesto ad substantiam dalla legge (art. 519 c.c.).

Recita l'art. 485 c.c. che il chiamato all'eredità nel possesso di beni ereditari deve fare l'inventario entro mesi tre dal giorno dell'apertura della successione. Può ottenere dal giudice del luogo in cui si è aperta la successione una proroga che, salvo gravi circostanze, non ecceda i tre mesi.

Trascorso tale termine senza che l'inventario sia stato compiuto, il chiamato all'eredità è considerato erede puro e semplice.

Ma si rileva in dottrina come il chiamato, in possesso dei beni ereditari, non diventa erede puro e semplice ove rinunci prima della scadenza del termine di mesi tre, raddoppiati eventualmente, dall'apertura della successione (art. 485, comma 1, c.c.), anche se l'inserzione nel registro delle successioni, formalità di mera pubblicità notizia, sia eseguita dopo tale scadenza2.

Il Tribunale di Roma esclude che la fattispecie de qua possa riportarsi a questo articolo in quanto non provato che beni ereditari fossero in possesso dei chiamati a succedere. Del resto, chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento (art. 2697, comma 1, c.c.). Per il principio contenuto in questa norma, la prova della qualità di erede incombe ei qui dicit, perciò agli attori, che richiedevano il pagamento a loro favore di un debito ereditario. Nota la Cassazione che la qualità di erede consegue all'accettazione dell'eredità, espressa o tacita, senza potersi inferire, non essendo possibile alcuna presunzione in tal senso, dalla mera chiamata all'eredità3.

Sancisce l'art. 32 Cost. che la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività. . . E, dice il giudice delle leggi che, con questa norma, il bene afferente alla salute viene tutelato non solo come interesse della collettività ma come diritto fondamentale dell'individuo. Il bene salute si configura quale diritto primario assoluto, pienamente operante anche nei rapporti tra privati. Da ricomprendere tra le posizioni direttamente tutelate dalla Costituzione, non sembra dubbia la sussistenza dell'illecito e il conseguente obbligo della riparazione, in violazione del diritto stesso4. A monte di questo epilogo va, però, considerato l'assunto dottrinale, secondo il quale la stessa norma costituzionale riveste carattere precettivo, di immediata operatività. Scrive...

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