La trasformazione dell''impianto di riscaldamento ex legge n. 10/91 Ed il distacco unilaterale dei singoli condomini. Nuove considerazioni

AutoreAlfredo Barbieri
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  1. - Il Legislatore, con l'art. 26, commi 2 e 5 della legge n. 10 del 9 gennaio 1991 1, che va esaminato tenendo conto del regolamento emesso con il D.P.R. 26 agosto 1993, n. 412, nonché delle disposizioni contenute nel D.M. 13 dicembre 1993 (valutando altresì le indicazioni contenute nelle circolari del 13 dicembre 1993, n. 231/F e del 12 aprile 1994, n. 233/F del Ministero dell'Industria, del Commercio e dell'Artigianato, ed il D.P.R. n. 551 del 1999), è intervenuto a regolamentare una normativa che, in precedenza, rendeva complessa la soppressione dell'impianto di riscaldamento centralizzato con la creazione di singoli impianti al servizio delle unità immobiliari dei condomini.

    Infatti, prima delle disposizioni in esame, la «trasformazione» dell'impianto centralizzato di riscaldamento in impianti autonomi, necessitava di una volontà unitaria di tutti i condomini perché comportava la definitiva soppressione dell'impianto comune, circostanza impedita dal secondo comma dell'art. 1120 c.c., che prevede il divieto di qualsiasi innovazione che renda «talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al godimento anche di un solo condomino».

    Ad eccezione di alcune pronunce minoritarie, infatti, che riconoscevano la possibilità di una delibera con la maggioranza qualificata prevista dal combinato disposto degli artt. 1136, quinto comma, e 1120 del c.c. 2, per «sopprimere» l'impianto di riscaldamento centralizzato, la giurisprudenza e la dottrina maggioritaria 3 ritiene che la trasformazione dell'impianto stesso in tanti impianti autonomi, comporta «una radicale alterazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica» 4 e, come tale, vietata nell'ipotesi che anche un solo condomino sia contrario.

    Con la legge n. 10/1991 il legislatore, precisando lo scopo primario, e, cioè, il risparmio energetico, ha facoltizzato la sola maggioranza millesimale (senza alcuna incidenza del numero dei condomini favorevoli o meno) a deliberare, validamente, la «trasformazione» dell'impianto centrale con la conseguente soppressione del funzionamento dello stesso 5.

  2. - Ma perché questa previsione possa essere legittimamente applicata è necessario che vengano rispettate alcune fondamentali regole, in assenza delle quali si violerebbero i principi generali che regolano la questione, ed in particolare quanto stabilito dagli artt. 1118 e 1119 del c.c. 6.

    Innanzitutto è necessario: a) che non esista un regolamento contrattuale condominiale che impedisca la modifica degli impianti comuni 7;

    b) che la trasformazione comporti un risparmio energetico che non può, a nostro avviso, presupporsi ex lege sulla considerazione che ciascun condomino, autonomizzato, possa accendere solo quando ne abbia necessità;

    c) che la delibera attuativa della trasformazione non si limiti a sopprimere il funzionamento del servizio centralizzato ma preveda anche, a carico di tutta la compagine condominiale, l'attuazione degli impianti autonomi sostitutivi 8.

    Se infatti non sussistesse, attraverso la delibera relativa, l'attuazione degli scopi per i quali la norma in questione è stata formulata, la decisione assembleare non potrebbe ritenersi legittima in quanto certamente verrebbe leso uno dei principi essenziali che regolano la comunione, e, cioè, quello di non impedire, anche ad uno solo dei condomini, di utilizzare del bene comune (art. 1120, secondo comma, c.c.).

    Ne consegue che la questione va affrontata, innanzitutto, distinguendo fra i termini «soppressione» e «trasformazione» dell'impianto centralizzato di riscaldamento, in quanto nell'ipotesi di sola «soppressione» del servizio, ci si troverebbe in presenza di una situazione priva della necessaria sostituzione dell'utilizzo del bene comune, mentre nella seconda ipotesi si creerebbe, a carico della comunità, una sorta di utilizzo indiretto, pur se comportante la dismissione delle tubazioni facenti parte del sistema centralizzato.

    Certamente la minoranza verrebbe a subire una compressione del proprio diritto di proprietà e di uso dei beni comuni (art. 1102 c.c.), ma tale compressione troverebbe compensazione dall'attuazione, in comune, dei nuovi impianti singoli, i cui bruciatori, di conseguenza, potrebbero anche essere istallati nel locale già destinato all'impianto centrale di riscaldamento, che, pertanto, manterrebbe la stessa destinazione d'uso.

    E proprio nei contenuti della legge n. 10/1991, troviamo la conferma della necessità che la «trasformazione», con la contemporanea attuazione anche degli impianti singoli, avvenga ad opera della «Comunione».

    Infatti, l'art. 8 lett. G della legge prevede, solo in quest'ipotesi, la possibilità di richiedere al Ministero dell'Industria, Commercio ed Artigianato un contributo per le sostenende spese, contributo inesistente nell'ipotesi in cui ci si limitasse a sopprimere il servizio centralizzato.

    Potrebbe peraltro sorgere questione nell'ipotesi in cui, ottenuto il contributo, uno o più condomini decidessero di non attuare l'impianto autonomo nel proprio appartamento. In questa ipotesi riteniamo che il contributo sia illegittimamente percepito (quindi, non si potrà attribuire a detti condomini la quota spettante di tale contributo) in quanto, non attuando in tutti gli appartamenti l'impianto autonomo, non si otterrebbe più quel risparmio di energia che costituisce lo scopo primario della legge n. 10/1991. Infatti l'esistenza di appartamenti privi di riscaldamento, costringerebbePage 264 ad un maggior consumo quelli che ne sono forniti, causa la evidente dispersione di calore derivante dai limitrofi appartamenti non riscaldati.

    Tutto ciò conferma la necessità di una «trasformazione» e non di una semplice «soppressione» del servizio, ove si voglia applicare, per la decisione assembleare, la ridotta maggioranza stabilita dalla legge n. 10/1991 rispetto a quella prevista dal l'art. 1120 c.c.

  3. - Coloro che nella votazione assembleare hanno manifestato parere sfavorevole alla trasformazione dell'impianto centralizzato in impianti autonomi, sono vincolati dalla delibera assunta e non possono «pretendere di lasciare attivo, ovvero, riattivare e far funzionare a proprie spese l'impianto centralizzato ed abbandonato» 9.

    La minoranza dissenziente, di conseguenza, è soggetta alla trasformazione deliberata, da cui non può discostarsi in alcun modo, rimanendo obbligata a sostenere le spese per l'attuazione degli impianti singoli.

    È infatti facilmente comprensibile come l'attivazione dell'impianto centralizzato a favore solo di alcuni condomini, comporterebbe un abuso energetico conseguente al funzionamento di una caldaia, certamente idonea a soddisfare il fabbisogno di un intero stabile, ma ovviamente sovradimensionata rispetto al numero degli utilizzatori.

    Da quanto esposto consegue che la normativa va interpretata in maniera da...

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