La torsione d'un sistema. Riflessioni intorno alla sentenza Taricco

AutoreCamon Alberto
Pagine2-7
2
dott
1/2016 Arch. nuova proc. pen.
DOTTRINA
LA TORSIONE D’UN SISTEMA.
RIFLESSIONI INTORNO
ALLA SENTENZA TARICCO
di Alberto Camon
SOMMARIO
1. Furore a Cuneo. 2. Furore a Lussemburgo. 3. Nelle terre
del disordine. 4. I nuovi signori della politica criminale. 5.
Prospettive.
1. Furore a Cuneo
È ormai un cliché dire che l’irruzione, nell’ambito pe-
nale, delle istituzioni e delle fonti europee sta minando il
principio di legalità. Le cause sono molte e anch’esse note:
l’aggrovigliamento della scala gerarchica, eff‌icacemen-
te ritratto da alcune fortunate metafore (1); l’endemico
difetto di determinatezza che aff‌ligge, pressoché inevi-
tabilmente, disposizioni pensate per adattarsi a qualche
decina di ordinamenti; le imprecisioni commesse nel tra-
durre i precetti dai testi originari alle varie lingue uff‌iciali
dell’Unione; il modo talvolta spregiudicato in cui la Corte
di Giustizia intende il metodo dell’interpretazione confor-
me (2); il potere-dovere degli organi giurisdizionali inter-
ni di disapplicare la disposizione nazionale contrastante
con quella europea (potere-dovere che a sua volta suggeri-
sce l’immagine d’un giudice che, invece d’esservi soggetto,
s’erge al di sopra della legge); l’inarrestabile ascesa del
principio del mutuo riconoscimento, che obbliga il giudice
ad attribuire a provvedimenti stranieri (ovviamente emes-
si secondo criteri diversi da quelli interni) il medesimo ef-
fetto dei nostrani, f‌inendo così anch’esso per indebolire le
regole, a vantaggio dei principi; e altre cause ancora (3).
A questo percorso storico di sgretolamento (i più otti-
misti direbbero: di trasformazione) del principio di legali-
tà, la sentenza Taricco imprime un’accelerazione talmen-
te brusca che, se non verrà in qualche modo frenata, ci
porterà ad un punto di non ritorno.
Un risultato così prodigioso è stato favorito dalla com-
binazione di due furori ideologici. Il primo percorre l’or-
dinanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE:
in un procedimento per vari illeciti in materia d’imposta
sul valore aggiunto, il giudice per le indagini preliminari
presso il Tribunale di Cuneo appura che un reato è ormai
prescritto mentre gli altri, verosimilmente, si prescrive-
ranno prima che si possa giungere ad una sentenza def‌i-
nitiva. La constatazione lo spinge ad investire la Corte di
Giustizia, con argomentazioni piuttosto scomposte.
Si cercherebbe invano, nel provvedimento piemontese,
qualche riferimento alla ratio ed al fondamento (anche
costituzionale) della prescrizione: lo scorrere del tempo
che sbiadisce il ricordo degli avvenimenti e placa l’allarme
sociale; il divieto di punire una persona divenuta ormai
diversa da quella che commise il fatto; la scarsa o nulla
eff‌icacia preventiva di pene irrogate a grande distanza dal
reato; l’interesse dello Stato alla stabilità e alla certezza
delle situazioni giuridiche; la diff‌icoltà di difendersi e rac-
cogliere prove intorno a vicende remote; il diritto a non
rimanere in eterno in balia d’iniziative persecutorie; la
sanzione per una durata irragionevole del processo (4).
Niente di tutto questo.
Dichiarare la prescrizione sarebbe, invece, un «esito
scandaloso», perché permetterebbe «che le indagini ed i
successivi procedimenti penali non pervengano al risulta-
to per cui esistono (punire i colpevoli)»; non a caso, all’e-
stero si prevedono «giustamente termini di prescrizione
molto lunghi», mentre da noi l’istituto non è più «garanzia
dell’imputato» bensì «garanzia dell’impunità». Per non
dire dell’interruzione della prescrizione: una regola a tal
punto «iniqua» che si potrebbe prenderne le parti soltan-
to facendo «retorica». Dal canto loro, i difensori puntano
appunto qui, alla prescrizione: verso questo «obiettivo
facilmente raggiungibile» «prodigano grande impegno»,
attraverso «eccezioni […] destituite di fondamento»,
«incidenti procedurali», «astute manovre», insomma la
«mitraglia delle eccezioni meramente dilatorie a cui i ma-
gistrati italiani sono ormai tristemente rassegnati» (5).
Non si tratta (non soltanto) d’una questione di toni; lo
spirito che soff‌ia su Cuneo produce tre conseguenze degne
di nota. La prima: l’ordinanza di rinvio pregiudiziale è bel-
licosa ma in larga misura sbagliata, come la stessa Corte di
giustizia avrà modo di affermare.
La seconda: il giudice seleziona in modo opinabile l’i-
stituto sospettato di violare il diritto dell’Unione; la scelta
cade sull’interruzione della prescrizione, ma si tratta ap-
punto d’una scelta, niente affatto obbligata: se il prof‌ilo
incompatibile con gli obblighi comunitari è che i reati in
materia di IVA si prescrivono troppo spesso, allora ci si pote-
va lamentare anche dei termini “di base” della prescrizione
(e non è azzardato ipotizzare che, se la soluzione fosse sta-
ta questa, la decisione della Corte di Giustizia non sarebbe
stata molto diversa). Si noti anzi come una riforma del 2011
(inapplicabile ai fatti per cui si procede a Cuneo) abbia au-
mentato d’un terzo proprio i termini di base della prescri-
zione di quasi tutti i reati tributari (art. 2, comma 36 vicies
semel, lettera l) D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in
L. 14 settembre, n. 148): secondo il legislatore, dunque, il
punto debole della disciplina stava semmai qui, non nelle
disposizioni sull’interruzione; a questa scelta di politica cri-
minale il Giudice di Cuneo ne sovrappone una propria. È un
punto importante, sul quale bisognerà tornare.
Terza conseguenza: l’ordinanza piemontese indica
in maniera approssimativa la disciplina che sarebbe in
contrasto con gli obblighi comunitari. In alcuni passaggi
sostiene che, durante il processo, i termini di prescrizio-
ne non dovrebbero correre affatto («al sottoscritto pare
che la norma italiana, nel punto in cui consente il decorso
della prescrizione durante il processo, dovrebbe essere di-

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