Il concorso di persone nel reato a titoli soggettivi diversi: la cassazione mette davvero un punto fermo?

AutoreIsidoro Palma
Pagine315-320

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@1. La sentenza n. 10795 del 14 novembre 2007

– Con la sentenza in commento la Suprema Corte riconosce l’ammissibilità del concorso colposo a fatto doloso. Il caso di specie riguarda la responsabilità di uno psichiatra che aveva sospeso la terapia farmacologia di tipo neurolettico nei confronti di un paziente psicotico, nonostante plurimi indici di recrudescenza dei sintomi di aggressività e di manie di persecuzione.

Alla decisione dello psichiatra seguiva lo «scompenso conclamato» e la crisi psicotica nel corso della quale il paziente uccideva un educatore della comunitàPage 316 terapeutica che lo ospitava. I giudici di merito ritengono responsabile il medico psichiatra per aver colposamente prima ridotto e poi sospeso il trattamento farmacologico, nonché per aver omesso di praticare il t.s.o. in presenza di sintomi di squilibrio che ne rendevano necessaria l’applicazione.

Il giudice di legittimità affronta ex officio la questione dell’ammissibilità del concorso colposo a fatto doloso del terzo, ritenendo che la risposta negativa imporrebbe l’immediato proscioglimento dell’imputato ai sensi dell’art. 129 del codice di rito.

La Corte afferma che l’art. 42 comma 2º c.p. non esplica alcuna efficacia ostativa all’ammissibilità di un concorso colposo a fatto doloso, poiché è norma che si riferisce alle fattispecie incriminatici di parte speciale e non anche alle disposizioni di parte generale come l’art. 113 c.p.

L’art. 41 c.p. disciplina l’ipotesi del concorso di cause indipendenti senza richiedere l’unicità del titolo soggettivo che sorregge le condotte che producono il medesimo evento, di guisa che sarebbe irragionevole ritenere ammissibile un concorso di condotte indipendenti (sia dolose che colpose) ed escludere la punibilità delle stesse quando siano avvinte dal nesso psicologico che differenzia il concorso di persone nel reato. Il maggior disvalore derivante dalla consapevolezza di concorrere con l’altrui condotta illecita opererebbe irragionevolmente a favore del reo.

L’art. 113 c.p. non rappresenta una norma di sbarramento, poiché non vi sarebbe incompatibilità strutturale tra dolo e colpa, ma il primo comprende in sé anche la seconda, aggiungendo solo il quid pluris della volizione dell’evento.

E, dunque, così come si ammette la cooperazione colposa a delitto colposo, si può riconoscere eguale diritto di cittadinanza al concorso colposo a fatto doloso, a condizione che quest’ultimo sia punibile in astratto anche a titolo di colpa.

Affermato in linea di principio l’ammissibilità del concorso colposo a fatto doloso, la sentenza in commento affronta i presupposti strutturali necessari per delineare una forma di compartecipazione colposa in linea con la moderna concezione penalistica della responsabilità per colpa.

Per configurare una responsabilità per colpa occorre, infatti, che la condotta violi regole cautelari volte a prevenire la verificazione di eventi dello stesso genere di quello concretamente realizzatosi.

E sempre sul piano della tipicità, occorre accertare se il rispetto delle regole cautelari avrebbe impedito il verificarsi dell’evento (c.d. comportamento alternativo lecito), dovendosi, in caso contrario, escludere il nesso di causalità tra condotta ed evento. Orbene, applicando tali principi al tema che ci occupa, la Corte afferma coerentemente che occorre rinvenire la violazione da parte del concorrente in colpa di una regola cautelare avente ad oggetto proprio il fatto doloso del terzo.

Ciò si verifica, affermano i giudici di legittimità, solo allorquando esista in capo al concorrente una posizione di garanzia nei confronti del terzo o una posizione di controllo su fonti di pericolo (come nel caso di scuola del farmacista che vende la dose di veleno pur essendo a conoscenza delle intenzioni omicidiarie dell’acquirente o del detentore di una pistola che omette le dovute cautele per la custodia dell’arma da altri utilizzata per commettere un omicidio), ovvero ancora nel caso di eventi omogenei rispetto a quelli che la norma cautelare violata mirava a prevenire e tuttavia, scaturiti da un diverso decorso causale (es. morte di un operaio provocata dalla spinta volontaria di un terzo, all’interno di un cantiere sprovvisto delle attrezzature antinfortunistiche).

Al di fuori delle tre ipotesi sopra richiamate non potrebbe dunque affermarsi responsabilità a titolo di concorso colposo, proprio perché mancherebbe un requisito indefettibile dell’imputazione per colpa, rappresentato dall’obbligo in capo al soggetto agente di rispettare regole cautelari rivolte ad impedire fatti dolosi di terzi.

Infine si dovrà verificare se l’evento, costituito dal fatto doloso del terzo, fosse prevedibile ed evitabile secondo le conoscenze dell’homo eiusdem professioms et condicionis eventualmente arricchite dalle conoscenze proprie dell’agente concreto.

La Corte giunge a configurare una posizione di garanzia in capo al medico fondata sull’instaurazione della relazione terapeutica, scaturente da un contratto o da fonti pubblicistiche che disciplinano il ruolo del medico nelle strutture pubbliche. Tale posizione di garanzia si atteggerebbe come obbligo di protezione nei confronti del paziente. I giudici di legittimità riconoscono l’efficienza causale dell’interruzione del trattamento farmacologico rispetto all’evento verificatosi e concludono che quest’ultimo fosse prevedibile secondo le conoscenze dell’homo eiusdem professionis et condicionis. La prevedibilità dell’evento fonda un giudizio di rimproverabilità della condotta dello psichiatra, che non poteva invocare a sua difesa il principio dell’affidamento quale limite invalicabile della colpa. Sotto quest’ultimo profilo la S.C. afferma l’esistenza di un obbligo del medico di raccogliere informazioni direttamente dal paziente o da fonti alternative attendibili, necessarie al fine di garantire la correttezza del trattamento medico-chirurgico praticato al paziente. Tale obbligo non è affatto eliso o attenuato dal principio di affidamento. Le conclusioni cui giunge la Suprema Corte superano gran parte delle obiezioni dogmatiche all’ammissibilità del concorso colposo, ma costituiscono solo un primo punto di approdo, mostrandosi per certi aspetti ancora insoddisfacenti.

@2. I precedenti giurisprudenziali sull’ammissibilità di un concorso a titoli soggettivi differenti

– Il cammino della giurisprudenza sulla tematica che ci occupa è stato caratterizzato da orientamenti oscillanti.

Un precedente della fine degli anni ottanta ammetteva la responsabilità per colpa di chi avesse reso possibile con la sua condotta negligente il verificarsi dell’accensione dolosa di un incendio.

In particolare, la S.C. riteneva sussistente la responsabilità penale in capo a chi aveva accatastato in due cumuli, circa seimila traverse di legno impermeabilizzate con sostanze oleose, senza aver predisposto zone di protezione e a poca distanza dall’abitato1.

Ma talune pronunce dei primi anni novanta espressero principi di segno contrario. In tema di responsabilità dei notai in concorso per il reato di lottizzazione abusiva, le Sezioni Unite esclusero che i notai potessero rispondere a titolo di partecipazione colposa ad at-Page 317tività dolosa di lottizzazione posta in essere dalle parti contraenti2.

Il reato di lottizzazione abusiva si realizza, infatti, o attraverso atti negoziali di suddivisione dei terreni in lotti o di alienazione degli stessi a scopo edificatorio ovvero infine mediante attività materiali come la costruzione di edifici o di opere di urbanizzazione in assenza di un piano di lottizzazione convenzionale o di uno strumento urbanistico attuativo del piano regolatore generale.

Si tratta dunque di una contravvenzione necessariamente dolosa, poiché la condotta tipizzata richiede la volontà cosciente di porre in essere l’atto negoziale o la trasformazione del territorio con la conseguenza di frustrare la riserva pubblica di programmazione territoriale. Ne consegue che qualsivoglia forma di partecipazione al reato in questione, postula...

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