La testimonianza del minore nel processo penale: profili giuridici e psicologici

AutoreDanila Certosino
Pagine3-9

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@1. La capacità di testimoniare del minore

- Ai sensi dell'art. 196 comma 1 c.p.p. «ogni persona ha la capacità di testimoniare», intesa come idoneità fisica del soggetto alla testimonianza 1. Alla stregua di quanto enunciato, anche i minori sono in grado di ricordare ciò che hanno visto e soprattutto ciò che hanno subito con coinvolgimento diretto, pur spettando al giudice il compito di valutare con particolare attenzione la credibilità del dichiarante e l'attendibilità delle dichiarazioni 2. A tal fine, può rivelarsi necessario il ricorso agli strumenti dell'indagine psicologica per verificare, sotto il profilo intellettivo e affettivo, la concreta attitudine del minore a testimoniare, la credibilità e la sua capacità a recepire le informazioni 3.

È appena il caso di ricordare che l'esigenza di tutela dei diritti del minore ha trovato concreti e rilevanti riscontri nell'ambito del diritto internazionale.

Dopo la Dichiarazione di Ginevra del 1924 sui diritti del fanciullo e le Regole minime delle Nazioni Unite per l'amministrazione della giustizia minorile (c.d. «Regole di Pechino») 4, il testo più significativo è rappresentato dalla Convenzione internazionale sui diritti dei minori (c.d. «Convenzione di New York»), approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989 e ratificata dall'Italia con la legge n. 176 del 1991 5. In particolare, l'art. 12 comma 2 della citata Convenzione stabilisce che «viene data al fanciullo la possibilità di essere sentito in tutti i procedimenti giudiziari o amministrativi che lo interessano, sia direttamente che con l'intermediazione di un rappresentante o di un organismo appropriato, in modo compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale». Il diritto di esprimere la propria opinione riconosciuto al fanciullo con la Convenzione di New York non si limita ad essere un riconoscimento ideale del diritto alla libertà di espressione, ma si sostanzia di fatto nel diritto concreto del bambino ad esprimersi, a prescindere dal ruolo che riveste (imputato o persona offesa).

Nell'ambito del nostro ordinamento, a seguito dell'entrata in vigore del codice del 1988, la testimonianza del minore ha assunto un ruolo maggiormente significativo. Infatti, rispetto al sistema processuale antecedente, l'adozione del modello accusatorio prevede la formazione della prova nella fase dibattimentale, con la conseguenza che le dichiarazioni raccolte dagli organi di polizia giudiziaria o dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari devono essere necessariamente riproposte nel corso del dibattimento. Questo sistema, se da un lato consente una duplice verifica delle dichiarazioni testimoniali, dall'altro, nei processi in cui vittima sia un minore, comporta che quest'ultimo sia sottoposto a più esperienze traumatiche, essendo chiamato ad esporre e a rivivere la propria esperienza dolorosa. La regola aurea per il giudice dovrebbe essere quella di cercare di assicurare la massima tutela del minorenne, compatibilmente con le esigenze di accertamento della verità 6.

Una volta chiarito che tutti i soggetti possiedono la capacità di testimoniare, si pone il problema di come conciliare quanto sancito dall'art. 196 comma 1 c.p.p. con il disposto ex art. 120 c.p.p.

Merita al riguardo segnalare come l'articolo 120 c.p.p. non contenga alcun divieto alla testimonianza dei minori, limitandosi a stabilire che i minori degli anni quattordici e gli altri soggetti appartenenti alle categorie ivi indicate, non possono intervenire come «testimoni ad atti del procedimento». Viene in questo modo sancita una generale inidoneità di tali persone ad assolvere alla funzione di garanzia che la legge prevede per il compimento di determinate attività nelle quali l'interessato ha diritto di farsi assistere da una persona di fiducia (come, ad esempio, le ispezioni o le perquisizioni) 7.

La minore età di un soggetto, quindi, non incide sulla sua capacità di testimoniare, bensì soltanto sulla valutazione della testimonianza e, pertanto, sulla sua attendibilità: è in tale prospettiva che opera lo speciale regime dettato dall'art. 498 comma 4 c.p.p. per l'esame del minore, affidato al presidente dell'organo giudicante e condotto sullaPage 4 base di domande e contestazioni proposte dalle parti, eventualmente con l'ausilio di un familiare o di uno psicologo, salva la facoltà di consentire la deposizione in forma ordinaria quando l'esame diretto non possa nuocere alla serenità del testimone 8.

@2. Valutazione e attendibilità della testimonianza resa dal minore

- Il tema della valutazione della testimonianza del minore presenta profili di particolare complessità, strettamente collegati al grado di sviluppo e di maturità raggiunti al momento dei fatti e a quello della loro rievocazione processuale 9. Molte sono infatti le componenti che possono influenzare la deposizione testimoniale resa dal soggetto de quo: la capacità mnestica più limitata, la facilità di confondere la realtà con la fantasia, il maggior grado di suggestionabilità nei confronti del mondo esterno. Sono tutti elementi, questi, atti a giustificare l'adozione di particolari cautele nel momento di valutazione della testimonianza resa 10.

Allo scopo di fissare dei principi cardine nel corso della valutazione della deposizione testimoniale del minore nel 1996 è stata redatta la c.d. «Carta di Noto» - poi modificata nel 2002 -, che ha fornito le linee guida per l'indagine e l'esame psicologico del minore 11. In particolare, la Carta tende a garantire che l'incontro con il bambino avvenga in tempi, modi e luoghi tali da assicurare la serenità del minore e la spontaneità della comunicazione e a rendere espliciti al minore gli scopi del colloqui, tenuto conto della sua età e della capacità di comprensione, evitando di caricare il bambino di responabilità per quel che riguarda gli sviluppi del procedimento 12. In ottemperanza a questi principi, il minore deve essere aiutato nel corso dell'incontro, tenendo conto della fase evolutiva che attraversa, delle risorse che possiede e della sua capacità di elaborazione.

Nel momento in cui il minore rende testimonianza, occorre, inoltre, tenere ben distinte la valutazione della capacità di testimoniare dalla valutazione della credibilità del testimone.

Per quanto concerne il primo aspetto (ovvero la capacità di deporre), l'art. 196 comma 2 c.p.p. prevede che «qualora, al fine di valutare le dichiarazioni del testimone, sia necessario verificarne l'idoneità fisica o mentale a rendere testimonianza, il giudice anche di ufficio può ordinare gli accertamenti opportuni con i mezzi consentiti dalla legge» 13.

Nel valutare la capacità di deporre del minore, il perito deve stabilire se lo stesso sia in grado di offrire una versione dei fatti obiettiva, concreta, precisa e realistica 14. Principio basilare è che la valutazione psicologica operata dall'esperto non possa avere ad oggetto l'accertamento dei fatti per cui si procede, dovendo il perito fornire un accertamento dal punto di vista clinico, in considerazione dell'insieme dei dati anamnestici, clinici, strumentali e di sussidio diagnostico necessari per rispondere ai quesiti posti dal magistrato 15. La perizia, pertanto, deve essere intesa come strumento per accertare il grado di sviluppo psichico del minore; la sua capacità di comprendere i fatti e rievocarli in modo utile e corretto, senza trascurare l'esame di tutti gli elementi che possono influire sulla sua capacità di testimoniare correttamente 16.

Quanto enunciato risponde ai criteri dettati dall'art. 2 della Carta di Noto, alla stregua dei quali lo psicologo non può mai sostituirsi al giudice nel valutare, ma deve invece fornirgli strumenti concettuali e criteri inferenziali per decidere 17.

Se la valutazione sulla capacità a rendere testimonianza può essere affidata a un perito, la veridicità o meno del racconto del minorenne deve essere invece operata dal giudice 18. L'attendibilità valutata dal giudice deve articolarsi sotto un duplice aspetto: l'accertamento della verità processuale e la valutazione della credibilità clinica 19. Per quanto riguarda il primo profilo (quello cioè della verità processuale), il giudice, attraverso l'acquisizione delle prove, cerca di ricostruire il fatto-reato in tutti i suoi elementi costitutivi, mentre la valutazione della credibilità clinica è il risultato di un'indagine psicologica che il magistrato utilizza al fine di conoscere lo sviluppo intellettivo del minore 20.

Al fine di garantire la genuinità della deposizione, molto importante risulta il ricorso all'audizione protetta o condotta tramite l'ausilio dell'estraneità processuale e dai rischi di possibili intimidazioni 21. A tal fine, parte della dottrina ha ritenuto utile nel corso dell'accertamento psico-diagnostico, ricorrere all'uso del vetro-specchio, collocato in una stanza attigua a quella in cui si svolge il colloquio con il minore 22.

L'eliminazione della cross-examination, della pubblicità e della presenza dell'imputato, creando un ambiente confacente alla testimonianza del minore, contribuisce ad ottenere una testimonianza scevra da possibili influenze e a garantire altresì la tutela dell'equilibrio psichico del soggetto 23.

Parte della giurisprudenza ritiene che, ponendo in essere tutti gli accorgimenti necessari al fine di conseguire una testimonianza attendibile, la deposizione del minore, anche se parte lesa nel processo, possa essere legittimamente assunta come mezzo di prova, senza che debba essere sottoposta a dei riscontri oggettivi esterni 24.

@3. L'incidente probatorio come metodo privilegiato di acquisizione probatoria nei reati di abuso sessuale

- Nella maggior parte dei casi, il minore escusso come teste è anche persona offesa dal reato e, statisticamente, l'ambito dei reati in riferimento ai quali il minore risulta essere coinvolto in qualità di persona offesa è soprattutto quello afferente la sfera sessuale.

La rivelazione e l'accertamento di un abuso...

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