Testimonianza indiretta della polizia giudiziaria tra tempus regit actum e giusto processo

AutoreRoberto Puglisi
Pagine771-777

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@1. Testimonianza indiretta della polizza giudiziaria, libero convincimento del giudice e contraddittorio

- Nel giorno del quinto anniversario della legge che ha dato attuazione alla riforma dell'art. 111 Cost., il giudice di legittimità è intervenuto sulle sue norme. La Cassazione ha escluso che la modifica dell'art. 195 comma 4 c.p.p., da parte della legge n. 63 del 2001, possa incidere sull'utilizzabilità delle dichiarazioni legittimamente acquisite prima dell'entrata in vigore della stessa legge 1.

Il ragionamento della Corte si è basato sulla seguente argomentazione: la riforma dell'art. 195 comma 4 c.p.p. operata dalla legge n. 63 del 2001 non ha introdotto un divieto di utilizzazione, bensì uno specifico divieto di acquisizione probatoria. Quindi, la deposizione dell'ufficiale di polizia giudiziaria sul contenuto di dichiarazioni di testimoni può essere utilizzata ai fini del giudizio se è stata acquisita in un mo-Page 772mento in cui ancora non era entrata in vigore la legge attuativa del giusto processo.

Tale assunto si fonda su due presupposti. Il punto di partenza è la valorizzazione della scissione fra momento acquisitivo e momento valutativo della prova ai fini dell'individuazione del diritto applicabile. Sul punto, si impone un'analisi da condursi alla luce dei principi in tema di successione di leggi processuali nel tempo 2.

In secondo luogo, per giungere al risultato ermeneutico della Cassazione si deve affermare la limitazione degli effetti della riforma del giusto processo sulla disciplina della prova solamente all'acquisizione della stessa (e non anche alla sua utilizzabilità) 3.

L'analisi, a questo proposito, si deve concentrare sulle nuove norme in materia di formazione e valutazione della prova introdotte dalla legge 1º marzo 2001, n. 63.

Prima di svolgere qualsiasi considerazione sugli specifici punti appena indicati, non si può fare a meno di inquadrare sistematicamente la testimonianza indiretta. Mezzo di prova insidioso (l'apporto cognitivo subisce non solo i limiti propri di ogni narrazione di un fatto da parte di chi ne è stato testimone diretto, ma altresì quelli amplificati di colui che può fregiarsi della qualità di testimone della narrazione), la testimonianza indiretta catalizza ulteriori critiche allorquando provenga dai soggetti preposti allo svolgimento delle indagini. A tale ultimo riguardo vanno, da una parte, considerati gli effetti sull'impostazione accusatoria del processo penale, dall'altro, si deve evitare una considerazione unitaria ed indifferenziata dei due tipi di testimonianza indiretta.

Unitamente al principio di non dispersione delle prove, anche altre esigenze hanno contribuito alla costruzione dell'attuale processo penale, prima fra tutte quelle dell'oralità e del contraddittorio nella formazione della prova. All'uopo, si deve rilevare come, attraverso la testimonianza indiretta da parte della polizia giudiziaria, venga meno la garanzia rapresentata dal divieto delle letture di alcune dichiarazioni e, invero, si ridimensioni notevolmente l'oralità del processo. La collocazione sistematica della regola di divieto all'interno della disciplina dei mezzi di prova (e lontano, quindi, dai meri divieti di letture dibattimentali) ha, di fatto, provocato la trasformazione di una regola di chiusura per i divieti di lettura in un autentico divieto di acquisizione probatoria 4. In tale equivoco va, invero, ricercata la causa dei successivi sviluppi giurisprudenziale. Già nella direttiva n. 31 della legge delega n. 81 del 1987, è possibile rilevare l'affermazione del «divieto di ogni utilizzazione agli effetti del giudizio, anche attraverso testimonianza della stessa polizia giudiziaria, delle dichiarazioni ad essa rese da testimoni» 5.

L'insofferenza della giurisprudenza nei confronti di una simile impostazione si è tradotta nella dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 195 comma 4 c.p.p. 6.

Senza soffermarsi sulle motivazioni della decisione della Corte costituzionale, basti qui rilevare come detta pronuncia abbia provocato effetti dirompenti nell'equilibrio del sistema disegnato dal legislatore del 1988. La classificazione della ratio del divieto in questione come un'irrazionale scelta discriminatoria ci ha rivelato quanto la Consulta, nel 1992, fosse distante dai principi ispiratori del nuovo modello accusatorio. Non solo.

Al di là dell'opportunità e della ragionevolezza di un simile strenua difesa del principio di non dispersione probatoria, assai significativa è la scissione, di fatto, consacrata dalla Corte costituzionale tra principio dell'oralità e principio dell'immediatezza 7. Come sottolineato efficacemente dalla dottrina, da una rappresentazione dal vivo si passa «ad una narrazione in play-back. Perso di vista l'intento del legislatore al momento della scrittura dell'art. 195 comma 4 c.p.p. (divieto di «testimonianza di una testimonianza» e non, semplicemente, di testimonianza di una qualsiasi dichiarazione extraprocessuale), si è giunti ad una parificazione di situazioni diverse 8.

La rivalutazione del mezzo di prova in esame, attraverso lo sbandieramento dell'attendibilità intrinseca della fonte testimoniale e, quindi, la caducazione del divieto consacrato nel codice del 1988, ha indubbiamente abbassato gli argini preposti a difesa della separazione delle fasi del procedimento 9.

Il pass-partout così consegnato alle dichiarazioni assunte dalla polizia giudiziaria durante le indagini ha neutralizzato, di fatto, l'efficacia dell'art. 500 comma 3 c.p.p. 10.

Prima di affrontare gli epiloghi, a tutti noti, cui si è giunti con la riforma dell'art. 111 Cost., è necessario, ai nostri fini, ricostruire l'evoluzione seguita dal legislatore e dalla giurisprudenza allorquando si è trattato di introdurre modifiche normative in tema di prove e di stabilirne gli effetti nei procedimenti in corso.

@2. Applicazione della legge processuale nel tempo e prove

- Tempus regit actum vuol dire che la validità degli atti è e rimane regolata dalla legge vigente al momento della loro formazione e perciò, lungi dall'escludere, postula al contrario che a tale legge gli operatori giuridici debbano fare riferimento quando siano da valutare atti anteriormente compiuti». Questa è la lettura offerta dalla Consulta con la sentenza n. 49 del 2 aprile 1970 11.

Appare, dunque, pacifico che, a meno di non volere mettere in discussione la stessa applicabilità, nel processo penale, del principio in esame, ogni atto debba essere regolato dalle norme in vigore al momento della sua formazione. Corollario di tale assunto è l'impossibilità per una norma processuale di essere applicata retroattivamente (a meno di una diversa previsione della legge abrogatrice) 12.

Il favor rei non è principio invocabile per una soluzione contraria 13. Il recupero di garanzie rappresentano spesso dall'introduzione di una nuova normativa non può fondare neanche l'applicazione immediata della stessa; l'argomento, come si suol dire, prova troppo: a questa stregua qualunque riforma processuale, essendo destinata, in ipotesi, a migliorare la qualità del risultato dovrebbe applicarsi a tutti i procedimenti ancora in corso 14.

Il principio in esame è uno strumento che consente all'interprete di impostare correttamente la scelta della legge applicabile, imponendogli di astrarre dal momento in cui lo stesso è chiamato ad intervenire. L'utilità dello stesso emerge laddove la nuova disciplina non provveda direttamente a fornire tale prospettiva indicando positivamente quale sia la disciplina da applicare.

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Nonostante la sinteticità della formula appena richiamata, la materia è dominata dalla presenza di diversi aspetti problematici 15. Per quanto interessa ai fini della nostra analisi, il primo dubbio che bisogna sciogliere è la rilevanza o meno della complessità dell'atto per l'individuazione del tempus di riferimento. Occore verificare l'incidenza della strutturazione plurifasica del procedimento di formazione di un atto sull'operatività del tempus regit actum. Infatti, nel caso in cui si debbano regolare gli effetti di un atto che non si perfezioni istantaneamente, ma che si strutturi attraverso un procedimento complesso composto da più fasi, il tempus di riferimento va individuato nel perfezionamento dell'atto o va suddiviso per ogni singolo atto facente parte del procedimento stesso? Se, dunque, l'atto che si deve considerare è una prova, la strada diventa immediatamente tortuosa, dovendo sin dall'inizio decidere come la complessità che contraddistingue il procedimento probatorio possa ripercuotersi sul principio in esame 16. Per stabilire, in particolare, se sia utilizzabile o meno (dopo la riforma del giusto processo) una testimonianza indiretta di ufficiali di polizia giudiziaria (acquisita ante riforma) sulle sommarie informazioni assunte in sede di indagine, è necessario decidere su quale segmento del procedimento probatorio (acquisizione ovvero valutazione) bisogna concentrare l'attenzione. Detto in altri termini, occorre verificare se la nuova norma prenda di mira la disciplina dell'acquisizione ovvero della valutazione e, in questo secondo caso, se possano aiutare a formare il convincimento del giudice testimonianze indirette della polizia giudiziaria legittimamente acquisite prima della riforma dell'art. 111 Cost.

Il nodo interpretativo dell'applicazione del principio tempus regit actum alle prove è stato affrontato in occasione dell'introduzione nell'ordinamento della legge n. 267 del 1997, modificativa degli artt. 238 e 513 c.p.p. Prima di ripercorrere rapidamente i passaggi fondamentali delle diverse impostazioni formatesi in quell'occasione, è necessario sottolineare come le stesse siano sorte con riferimento alla problematica specifica dell'applicabilità dello ius superveniens nei giudizi di legittimità (e non, come nel caso in esame, prima della decisione da parte del giudice di merito).

Nel 1998, le Sezioni Unite della Cassazione, chiamate ad intervenire con...

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