La testimonianza indiretta sulle dichiarazioni dell'imputato

AutoreGiuseppe Luigi Fanuli
Pagine273-287

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@1. La natura del divieto di cui all'art. 62 c.p.p. Implicazioni

L'art. 62 c.p.p. introduce, indiscutibilmente, un divieto probatorio - di testimonianza sulle dichiarazioni (rectius: su alcune particolari «categorie» di dichiarazioni) dell'imputato - sanzionato dall'art. 191 c.p.p., che definisce inutilizzabili le prove acquisite in violazione dei divieti.

Il richiamo è all'istituto dell'inutilizzabilità probatoria, che è nato con il vigente codice di rito 1, al cui interno sono agevolmente individuabili numerose disposizioni che, o indirettamente - attraverso l'introduzione di divieti probatori - o con riferimenti espressi, si richiamano all'istituto in questione, nella sua accezione più lata ed indistinta.

Lo stesso codice peraltro non fornisce la definizione dell'inutilizzabilità. La figura dogmatica della categoria è stata elaborata dalla dottrina alla luce dell'evoluzione normativa 2.

La più recente giurisprudenza 3 - con specifico riferimento alla problematica della utilizzabilità degli atti in sede di giudizio abbreviato - ha mutuato dalla dottrina 4 la categoria dicotomica inutilizzabilità fisiologica-inutilizzabilità patologica.

Secondo tale strumento classificatorio, l'inutilizzabilità c.d. fisiologica della prova è quella coessenziale ai peculiari connotati del processo accusatorio, in virtù dei quali il giudice non può utilizzare prove, pure assunte secundum legem, ma diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento secondo l'art. 526 c.p.p., con i correlati divieti di lettura di cui all'art. 514; quella c.d. patologica è invece inerente agli atti probatori assunti contra legem, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell'udienza preliminare, nonché le procedure incidentali cautelari e quelle negoziali di merito.

Orbene è assolutamente incontestabile che la violazione del divieto di cui all'art. 62 c.p.p. integri una tipica ipotesi di inutilizzabilità patologica.

Ciò implica che dichiarazioni assunte in violazione di tale divieto non potranno essere utilizzate non solo in sede di giudizio abbreviato (e negli altri riti speciali) ma neanche nel corso delle indagini preliminari, ad esempio, ai fini della emissione una misura cautelare. In tal senso sarà frustrato, ad esempio, il tentativo del pubblico ministero «disinvolto» che, venuto a conoscenza del fatto che l'indagato ha informalmente ammesso gli addebiti alla P.G., ritenga di aggirare l'ostacolo di cui all'art. 350 comma 6 c.p.p. assumendo informazioni ex art. 362 c.p.p. dal personale di P.G. destinatario di tale confessione.

@2. (Segue) In particolare: le dichiarazioni dagli esiti favorevoli od indifferenti per l'imputato

La categoria dell'inutilizzabilità della prova vietata, pur variamente e confusamente impiegata dal legislatore, in situazioni diverse e non riconducibili ad un comune denominatore (donde la natura ibrida e proteiforme dell'istituto, che si sottrae ad una precisa e stabile definizione dogmatica) 5 risponde ad esigenze minime di razionalizzazione e moralizzazione del processo, tese all'emarginazione dal contesto processuale di elementi ritenuti inidonei ad una corretta formazione del convincimento giudiziale od acquisibili solo mediante il sacrificio di diritti fondamentali o, comunque, (ritenuti) meritevoli di tutela privilegiata 6.

La ratio dell'inutilizzabilità c.d. patologica, così individuata, evidenzia l'infondatezza della tesi, molto diffusa in giurisprudenza, secondo cui l'operatività della sanzione della eliminazione delle prove inutilizzabili non opererebbe con riferimento alle prove che, sebbene ad essa assoggettabili, abbiano dato esiti favorevoli od indifferenti per l'imputato 7. Tale tesi, fondata sull'erroneo presupposto che l'inutilizzabilità trovi la propria ragione nella tutela del diritto di difesa, non solo non trova alcun conforto nel dato normativo, ma si espone ad obiezioni gravi ed insuperabili.

Anzitutto, poiché interprete dell'esito a sé «favorevole o indifferente» della prova inutilizzabile non può che essere la parte medesima, si introdurrebbe surrettiziamente una forma di sanatoria (per accettazione degli effetti) della inutilizzabilità, esclusa dal disposto dell'art. 191 comma 2, c.p.p.

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Inoltre, si finirebbero indirettamente per legittimare richieste e condotte processuali incompatibili con i principi fondamentali del nostro ordinamento, quali, ad esempio, la richiesta dell'imputato di essere sottoposto alla macchina della verità per dimostrare la propria innocenza, o l'utilizzo di varie forme di violenza morale nella escussione di testi o di coimputati (art. 188 c.p.p.), in tutti quei casi in cui l'esito della deposizione sia «favorevole o indifferente» per il giudicabile.

Senza considerare, poi, che, mediante l'utilizzo di prove vietate o illegittimamente acquisite, ma favorevoli all'imputato, si potrebbero ingiustamente e irreparabilmente pregiudicare altri interessi che trovano tutela nel processo penale - attinente, per sua natura, a beni supremi e costituzionalmente protetti - quale quello della persona offesa costituitasi parte civile.

E che dire, poi, dei casi in cui la sanzione della inutilizzabilità riguardi proprio le indagini difensive? 8.

È evidente allora che, con specifico riferimento al divieto - formulato in modo incondizionato - di cui all'art. 62 c.p.p. non possano assolutamente condividersi le pur recenti pronunzie secondo cui trattandosi di norma finalizzata alla garanzia del diritto di difesa, «sono inutilizzabili solo le dichiarazioni dalle quali possano emergere elementi accusatori a carico del dichiarante o di quei soggetti processuali che si trovino, in quanto coindagati o indagati di reati connessi o collegati, in una posizione analoga o parallela, mentre sono pienamente utilizzabili le dichiarazioni di contenuto favorevole all'indagato (o ai coindagati)» 9.

A diverse conclusioni deve giungersi nei casi in cui sia la norma stessa a prevedere l'inutilizzabilità della prova solo contro l'imputato e, quindi, la piena utilizzabilità a suo favore (art. 111 comma 4, Cost. e nel codice di rito, l'art. 63 comma 1 10, l'art. 238 comma 2 bis e l'art. 526 comma 1 bis).

Per comprendere meglio i casi anzidetti può essere utile richiamare la distinzione tra inutilizzabilità - divieto di acquisizione e inutilizzabilità - divieto di valutazione ai fini della decisione. Tale distinzione, che si fa risalire ad una contestatissima sentenza delle Sezioni unite 11, postula una scissione tra due momenti del procedimento probatorio: quello acquisitivo e quello valutativo 12. Su tale presupposto, la Corte ha osservato che, se è vero che il divieto di uso dei fatti conoscitivi è normalmente collegato ad un divieto di acquisizione del mezzo di prova, tuttavia tale connessione non scaturisce da una regola di valore assoluto e «non mancano casi nei quali la legge processuale commina la sanzione della inutilizzabilità scindendo i due momenti e riferendo il divieto o la regola di proibizione della prova non al momento formativo-acquisitivo ma a quello della valutazione, nel quale i risultati probatori diventano oggetto dell'apprezzamento del giudice ai fini della decisione».

Così, ad esempio, l'art. 512 c.p.p. prevede la possibilità di lettura degli atti assunti dalla P.G., dal P.M. e dal giudice nel corso dell'udienza preliminare, quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione 13. Rientra tra queste ipotesi la sopravvenuta irreperibilità del dichiarante: con il che sarà possibile dare lettura delle dichiarazioni dallo stesso rese in fase precedente al giudizio 14. Nel caso però in cui sia dimostrato o risulti che l'irreperibilità sia frutto della libera scelta dell'interessato, con il fine di sottrarsi all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore tali dichiarazioni, pur legittimamente acquisite 15, non potranno essere utilizzate per provare la colpevolezza dell'imputato, stante il divieto d'uso di cui all'art. 526, comma 1 bis, c.p.p. 16.

Altro caso in cui dichiarazioni legittimamente acquisite siano inutilizzabili (unidirezionalmente) è quello contemplato dall'art. 63 comma 1, c.p.p.: si pensi alle dichiarazioni rese da un teste in dibattimento, acquisite in modo assolutamente rituale, ma che, per effetto delle successive dichiarazioni autoindizianti, divengono inutilizzabili contro il dichiarante. Si pensi, inoltre, al meccanismo previsto dall'art. 238 commi 1, 2 e 2 bis, c.p.p. secondo cui è ammessa l'acquisizione di verbali di prove di altro procedimento penale se assunte in dibattimento o in incidente probatorio e di verbali di prove assunte in un giudizio civile definito con sentenza irrevocabile; tali verbali, peraltro, non sono utilizzabili contro l'imputato se il suo difensore non ha partecipato all'assunzione della prova (penale) o se nei confronti dell'imputato la sentenza civile non fa stato.

Il divieto di cui all'art. 62, formulato come detto in modo incondizionato, rientra invece nella «regola» secondo cui il divieto di uso dei fatti conoscitivi è collegato ad un divieto di acquisizione del mezzo di prova.

In sostanza, tale divieto inibisce in radice la possibilità di formulare al teste (soggetto processualmente qualificato o privato cittadino) domande sulle dichiarazioni rese dall'imputato/indagato: per cui il problema della possibile utilizzabilità della risposta a favore dell'imputato stesso o di terzi non dovrebbe neanche porsi.

Così, a titolo di esempio, non potranno essere consentite - neanche se poste dal difensore dell'imputato - domande del tipo: «l'imputato, nel corso della perquisizione a suo carico, ammise subito gli addebiti?» 17, oppure: «Tizio, sorpreso ed arrestato in flagranza, cosa disse delle persone che si trovavano con lui? Le scagionò?».

Altro è il discorso relativo alla testimonianza avente ad oggetto comportamenti dell'imputato...

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