Illiceità della condizione testamentaria, tra favor testamenti e libertà costituzionali dell'erede istituito

AutoreCristina Pugliese
Pagine269-326
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CRISTINA PUGLIESE
ILLICEITÀ DELLA CONDIZIONE TESTAMENTARIA,
TRA FAVOR TESTAMENTI E LIBERTÀ COSTITUZIONALI
DELL’ EREDE ISTITUITO
SOMMARIO: 1. Volontà del de cuius e libertà testamentaria sino al codice civile
del 1942. - 2. La condizione nel testamento come manifestazione della libe-
ra volontà del testatore. - 3. Costituzione e riforma del diritto di famiglia,
nuovi limiti alla libertà testamentaria. - 4. La condizione illecita: un’esten-
sione della regola Sabiniana. - 5. La condizione di non contrarre matrimonio
e le altre condizioni limitative della libertà dell’erede istituito. - 6. Il testato-
re e l’erede: alla ricerca della libertà prevalente.
1. Volontà del de cuius e libertà testamentaria sino al codice ci-
vile del 1942
Da tempo immemorabile il testamento si profila come istituto
socialmente rilevante, che consente l’attuazione e la valorizzazione
esclusiva di molteplici interessi a rilevanza effettuale post mortem.
Come in pochi altri istituti giuridici, nell’atto mortis causa è quanto
mai vivo ed intenso il legame volontà – sentimento dell’uomo; la pos-
sibilità di dare una regola ai rapporti che sopravvivono, a chi confezio-
na quel negozio, è tutelata dall’ordinamento giuridico, appunto perché
rispondente ad un bisogno dell’uomo tanto sentito, quanto antico1.
Il riconoscimento della volontà testamentaria ha sempre costi-
tuito uno degli aspetti più umani dell’intervento del diritto nella vi-
ta, ed in questa valutazione essenziale dell’istituto del testamento
non viene tanto perseguito l’obiettivo di dare al patrimonio del de-
funto la più congrua destinazione, quanto il rispetto della personalità
1 G. BONILINI, Autonomia negoziale e diritto ereditario, in Riv. not., 2000,
p. 789.
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del soggetto, nel riconoscimento massimo della sua volontà, fin quasi
a lasciare una pietosa illusione di, almeno parziale, sopravvivenza2.
Il rispetto della voluntas testantium, già in epoca romana, ri-
chiedeva di ricercare, al fine di attuare nel modo e nella forma più
fedele e pura, la volontà del de cuius. Era questo il modo di dimo-
strare il rispetto verso il defunto, interpretando le sue manifestazio-
ni di ultima volontà nel modo maggiormente conforme alle sue in-
tenzioni3. L’antica legge delle XII tavole, difatti, conteneva la di-
sposizione in virtù della quale la volontà del testatore acquisiva
forza di norma con effetto vincolante erga omnes, al punto di avere
precedenza sulle norme previste dalle leggi sulla successione mor-
tis causa4. In altre parole, come evidenziato dalla dottrina romani-
stica, il rispetto per la volontà del testatore necessitava di ricercare
quello che il de cuius effettivamente avrebbe voluto statuire, anche
nel caso in cui non avesse tenuto conto della natura dell’atto forma-
le della heredis istitutio e del testamento5. La libertà di testare era
limitata in pochi casi, quali quelli dei ceteri sui iam nati (figlie e
nipoti) omessi nel testamento, che avevano diritto alla metà del-
l’asse, se avessero concorso con estranei istituiti, o alla quota virile
ab intestato se avessero concorso con altri sui istituiti6.
2 A. TRABUCCHI, L’autonomia testamentaria e le disposizioni negative, in
Ri v. dir. civ. , 1970, I, p. 40.
3 Nel rispetto della voluntas testantium si crearono nuovi regolamenti che
facilitarono una libera disposizione del patrimonio mortis causa. Furono tutelati
istituti che non rientravano nell’attuale schema del diritto ereditario, ovviamente
per quanto conciliabili con le norme esistenti e non contrari alle buone costu-
manze. Sembra che i fedecommessi costituiscano un esempio appropriato e si-
gnificativo di come in pratica veniva dimostrato il rispetto per la volontà del de
cuius: F. LONGCHAMPS DE BÉRIER, Il rispetto per la volontà d el de cuius sul-
l’esempio dei fedecommessi romani, in Revue internationale des droits de
l’antiquité, 45, 1998, pp. 479-500.
4 D.50.16.120. Pomp., libro quinto ad Quintum Mucium; D.11.14, Ulp.; la
norma, messa per iscritto alla metà del V secolo a.c., venne interpretata sempre
nello stesso modo per tutto il periodo della Repubblica, cfr. M. T. CICERONE, in
In M. Antonium oratio Philippica secunda 42. A suo avviso l’efficacia giuridica
delle ultime volontà contenute nel testamento era tanto durevole e sicura quanto
potente era la legge votata dal popolo.
5 A. SUMAN, “Fa vor testamenti” e “voluntas testantium”. Studio di diritto
romano, Roma, 1916, p. 3.
6 G. TAMBURRINO, Successione necessaria (dir. priv.), in Enc. dir., Milano,
1990, XLIII, p. 1349.
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Alla ricerca della volontà del testatore i giuristi romani con-
temperavano il favor testamenti7, ovvero il favore per l’istituzione
di erede che cercavano di tutelare quanto più possibile al fine di
evitare che all’erede designato potesse sostituirsi, a seguito del-
l’apertura della lacunosa successione legittima8, l’erede legittimo.
Con Giustiniano, a seguito di un’evoluzione del contenuto del te-
stamento, che da istituzione di erede diveniva strumento per l’attri-
buzione dei beni del defunto, l’antico favor testamenti scomparve
divenendo la ricerca della effettiva volontà testamentaria9.
Nel periodo barbarico e franco feudale al testamento si sostituiro-
no gli atti di ultima volontà – il più diffuso fu la donatio post obitum10
nei quali il testamento era compreso, divenendo contestualmente la
successione legittima predominante su quella testamentaria, che de-
cadde11. Nel diritto comune la riscoperta del diritto romano determinò
il ritorno in auge della successione testamentaria che acquistò nuo-
vamente autonomo favore, e l’espressione favor testamenti venne
usata come sinonimo della espressione favor ultimae voluntatis12.
7 Pur non ritrovandosi nelle fonti l’espressione favor testamenti, ha avuto il
suo primo, concorde e più intenso impiego proprio negli studi relativi al diritto
romano per indicare alcune peculiarità della disciplina del testamento. Essa è poi
stata tramandata nella prassi giurisprudenziale e nella dottrina fino ai nostri gior-
ni. Inoltre dal campo del diritto romano è stata estesa ai diritti moderni, con rife-
rimento ad alcuni principi vigenti in differenti ordinamenti: cfr. E. PEREGO,
Favor legis e testamento, Milano, 1970, p. 1.
8 In senso contrario A. RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Napoli 1966, p.
508 ss., che nega l’originaria prevalenza della successione testamentaria.
9 Alcuni limiti sono individuati da G. GROSSO, Sulla falsa demonstratio nel-
le disposizioni di ultima volontà, in Studi in onore di Bonfante, II, Milano 1930,
p. 214.
10 Il più diffuso fu la donatio post obitum, che in alcune regioni rappresentò
l’unico strumento riconosciuto per la successione dei beni mortis causa, quasi
sempre ricollegato a una pia causa. M. FALCO, Le disposizioni per l’animo nella
storia del diritto dalle origini al secolo XIII, Torino, 1906, p. 29.
11 E. BESTA, Le successioni nella storia del diritto italiano, Milano 1966,
p. 156.
12 I commentatori attribuirono al favor testamenti un significato ben diverso
da quello che era stato individuato dai romanisti negli studi sul primo diritto ro-
mano. Si arrivava anzi a contrapporre al favor testamenti, inteso come favore per
la volontà del testatore, il favor istitutionis, mentre si è visto che l’originario fa-
vore per il testamento significava proprio favore per l’istituzione di erede. Cfr. il
commento al frammento D.28,2, de liberis et postumis, L. 4 Placet.

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