La «Testa di Medusa»: il problema degli usi civici tra storia e attualità

AutoreFrancesco Mastroberti
Pagine47-82
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FRANCESCO MASTROBERTI
Università degli Studi di Bari – II Facoltà di Giurisprudenza
La «testa di Medusa»:
il problema degli usi civici tra storia e attualità
The “head of Medusa”:
the problem of civic uses between past and present
[Gli usi civici – ossia gli antichissimi usi sui demani tollerati e in molti
casi riconosciuti dai sovrani per garantire la sopravvivenza agli abi-
tanti di città e casali – con le riforme napoleoniche furono messi in
liquidazione in nome della proprietà assoluta e libera da gravami.
Tuttavia il processo di affrancamento delle terre è stato lento e mai
pienamente realizzato, tanto che ancora nel 1917 Giovanni Curis usa-
va la metafora della “Testa di Medusa” per descriverli e tanto che
ancora oggi, nonostante la legge unificatrice del 16 giugno 1927 n.
1766, si continua a parlarne anche in alcune leggi che, seguendo un
orientamento giurisprudenziale, hanno riconosciuto agli usi civici una
dimensione ambientale. Il presente saggio ripercorre la storia degli usi
civici nel Mezzogiorno dove gli antichi abusi compiuti dai feudatari sul
demanio regio ai danni degli abitanti dei comuni innescarono, durante
il decennio francese, forti problematiche anche sul piano giuridico e
spinsero il governo ad intervenire sulla complessa materia con alcuni
decreti che, a distanza di oltre un secolo, costituirono il punto di riferi-
mento per il legislatore fascista.
Parole chiave: Usi Civici – Italia Meridionale – Legislazione Fascista.
The right of common – i.e. the ancient uses on the domains tolerated
and in many cases recognized by the kings to ensure the survival of the
inhabitants of towns and hamlets – with the napoleonic reforms were
put into liquidation on behalf of the freehold and free of encumbrances.
However, the process of freeing the land from right of common has be-
en slow and never fully realized, so that even in 1917 Giovanni Curis
used the metaphor of the “Head of Medusa” to describe them, and even
today, despite the unifying law of June 16, 1927 n. 1766, we continue
to talk in some laws, according to a jurisprudence, have recognized to
the right of common an environmental dimension. This essay traces the
history of right of common in the South Italy where the ancient abuses
committed by the feudatories on the royal domain against the inhabi-
tants of the municipalities triggered, during the French decade, strong
problems also in legal plan and prompted the government to intervene
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on the complex subject with decrees that, after more than a century,
became the benchmark for the fascist lawmaker.
Keywords: Right of common – South Italy – Fascist Legislation]
Sommario: 1. La «testa di Medusa» e la legge “unificatrice” del 16 giugno
1927. 2. Le incertezze della dottrina. 3. La dimensione storica degli
usi civici. 4. Nel regno di Napoli: la legge del 2 agosto 1806 e i lavori
della commissione feudale. 5. La divisione dei demani e le Istruzioni
per l’attività dei commissari ripartitori del ministro Zurlo. 6. La lunga
gestazione della grande riforma. 7. Conclusioni.
1. La «testa di Medusa» e la legge “unificatrice” del 16 giugno
1927
Nel 1917, Giovanni Curis, nel presentare ai lettori la sua volu-
minosa opera Usi civici, proprietà collettive e latifondi nell’Italia
centrale e nell’Emilia, così descriveva lo stato della materia: «Il pro-
blema degli usi civici è diventato la questione più importante; quel-
la che ha provocato la rapida organizzazione dei contadini in leghe
di resistenza, che tiene divisi gli animi tra le popolazioni rurali, che
le agita e le spinge fino alla violenza contro le cose e le persone,
che tiene occupati buon numero di funzionari e di forza pubblica.
Persino le lotte elettorali amministrative e politiche sogliono impe-
gnarsi sulla piattaforma di tale questione. Il legislatore ha creduto di
risolvere il grave problema nelle provincie ex-pontificie e nell’Emilia
con le melanconiche leggi del 1888-91 e del 1894, le prime relative
all’affrancazione degli usi civici, la seconda portante la ricostruzione
e l’ordinamento dei dominii collettivi. Quali effetti conseguissero tali
leggi e incontro a quale fallimento esse andassero è cosa ormai risa-
puta e confessata dallo stesso governo. Si tentò ovviare a tanta iattura
con nuovi progetti di legge, ma dinanzi ad essi pare sia stata messa in
permanenza la testa di Medusa»1. Una testimonianza vivida del forte
fermento sociale scatenatosi intorno al secolare problema degli usi
civici, cui l’attività legislativa del periodo post-unitario non aveva sa-
1 G. CURIS, Usi civici, proprietà collettive e latifondi nell’Italia centrale e
nell’Emilia con riferimento ai demanii comunali nel Mezzogiorno. Dottrina, legi-
slazione e giurisprudenza, Napoli 1917, p. XXV.
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puto far fronte in maniera adeguata. Eppure il dibattito sugli usi civici
era in corso da alcuni decenni ed aveva visto dispiegarsi l’attività di
commissioni governative, l’impegno di giuristi come Schupfer (cui
il Curis dedicava la sua opera rammaricandosi peraltro che l’insigne
Maestro non avesse portato a termine un lavoro organico sull’argo-
mento), Trifone, Calisse, Raffaglio e lo zelo di funzionari e giudici.
Altri vent’anni sarebbero occorsi perché una legge intervenisse a di-
sciplinare compiutamente la materia. La «testa di medusa» fu dunque
abbattuta dal legislatore fascista con una sorta di «cesario gladio»?
La legge del 16 giugno 1927 n. 1766 che, insieme a norme suc-
cessivi di minore importanza, regola la materia degli usi civici, per
un caso abbastanza singolare non offre – come rileva il Petronio2 – la
definizione del suo oggetto. Infatti l’articolo 1 di tale fondamentale
legge sancisce: «Per l’accertamento, e la liquidazione generale degli
usi civici e di qualsiasi altro diritto di promiscuo godimento delle
terre spettanti agli abitanti di un comune o di una frazione di Comu-
ne e per la sistemazione delle terre provenienti dalla liquidazione
suddetta e delle altre possedute dai comuni, frazioni di Comune, co-
munanze, partecipanze, università ed associazioni agrarie, comun-
que denominate, soggette all’esercizio di usi civici, si osservano le
disposizioni del presente decreto». La legge, com’è noto, intendeva
portare ad unità legislativa una vasta e tormentata materia, assimi-
lando alla “napoletana” categoria legislativa degli usi civici una serie
di fattispecie che nel restante territorio italiano avevano avuto una
diversa denominazione e natura (pensionatico, cussorge, ademprivi,
servitù, partecipanze, vicinie etc.)3. Più che unificazione si trattava
2 U. PETRONIO, voce «usi civici» in Enciclopedia del diritto, vol. XLV, 1992,
pp. 930-52.
3 Sugli usi civici molti sono i lavori, anche di scrittori autorevolissimi (ad
esempio: F. SCHUPFER, Degli usi civici e ed altri diritti del comune di Apricena,
in «Atti Acc. Dei Lincei», classe scienze morali, storiche e filosofiche, 1886; A.
SOLMI, Ademprivia. Studi sulla proprietà fondiaria in Sardegna, in «Archivio giu-
ridico», LXXIII, 1904; C. CALISSE, Gli usi civici nella provincia di Roma, Prato
1906) dedicati a contesti particolari. Per trattazioni generali sull’argomento cfr. G.
RAFFAGLIO, Diritti promiscui: demani comunali, usi civili, Milano 1915; G. CURIS,
Usi civici, proprietà collettive e latifondi nell’Italia centrale e nell’Emilia, cit.;
ID., Gli usi civici, Roma 1928; G. ABIGNENTE, La questione dei demani comunali
nel Mezzogiorno d’Italia, in ID., Scritti scientifici e politici, Napoli 1930, pp. 47-8;
G. CASSANDRO, Storia delle terre comuni e degli usi civici nell’Italia meridionale,

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