Teorie a confronto sui criteri di accertamento del fatto fiscale e del fatto penale. I parallelismi e le convergenze
Autore | Antonio Perrone |
Pagine | 247-335 |
247
CAPITOLO TERZO
TEORIE A CONFRONTO SUI CRITERI DI ACCERTAMENTO
DEL FATTO FISCALE E DEL FATTO PENALE.
I PARALLELISMI E LE CONVERGENZE
SOMMARIO: 1. La dimensione “enunciativa” del fatto da accertare e del giudizio
sul fatto. Una possibile convergenza fra il modello penalistico e quello fi-
scale. - 2. I confini del perimetro della prova del “fatto fiscale” in ambito
tributario e nel versante penalistico dell’illecito: una convergenza. - 3. Se-
conda conclusione: i moduli di accertamento del fatto in campo fi scale ed
in campo penale: un parallelismo ed una convergenza. - 4. Le peculiarità
della prova del fatto fiscale. Il p robabilismo logico come modulo di accer-
tamento del fatto fiscale accolto dalla dottrina dominante. - 4.1. Segue: gli
elementi ca ratterizzanti il fatto fiscale. - 4.2. Segue: le ricadute degli ele-
menti p eculiari del fatto fisca le nel la teor ia del la pro va del lo ste sso. I l
probab ilismo “logico” n ella teoria della prov a tributari a. - 5. U na possi-
bile “riconversione” teoric a: il rifi uto di un a co ncezione unitar ia e la
configu razione della pro va t ributaria come pr ova “razionale” e come
prove “etica”. - 6. Il p robabilismo “logico” come cr iterio di prov a del
rappor to di causalità penalmen te rilev ante: un paralle lismo co ncettuale
e struttural e nei due versanti fisca le e penale. Non concili abilità delle
divers e costru zioni do gmatiche. - 7. Una possibil e conver genza:
l’access o del probabilis mo logico , come recepito in amb ito fis cale, ne l
proces so pe nale mediante il portale dell ’art. 192, comma 2, c.p.p. La
proble matica distinzio ne tra indizi e presunzio ni semplici. - 8. Terza
conclu sione: l’utilizzo delle presunzion i nell ’accertamento del fatto fi-
scale di rile vanza pena le. Un “parallelismo” fra i d ue criter i di ac certa-
mento del fatt o co n r iferimento all ’utilizzo delle presun zioni legali e
delle pre sunzioni cd. “semplicissime”; una “convergenza” con rife ri-
mento all’utilizzo delle pre sunzioni s emplici “qualificate”. - 8.1. Segue:
le presunzion i lega li nel diritto tribut ario e nel processo penale . - 8.2.
Segue: le presunzio ni “semplicissime” nel diritto tributa rio e nel pro-
cesso penal e. - 8.3. Segue: le presunzioni semplici “qualificate” nel diritto
tributario e nel processo penale. - 8.4. Conclusioni in ordine all’utilizzo dei
moduli presuntivi nel diritto tributario e nel processo penale. - 9. Il proble-
ma delle prove “atipiche” nei rapporti fra gli accertamenti del fatto fiscale e
quello penale (cenni).
248
1. La dimensione “enunciativa” del fatto da accertare e del giu-
dizio sul fatto. Una possibile convergenza fra il modello pena-
listico e quello fiscale
Una possibile “convergenza” fra il modello penalistico e quel-
lo fiscale dell’accertamento del fatto sta nella cd. dimensione
“enunciativa” del fatto da provare.
Un primo punto di contatto, intanto, è possibile ravvisarlo nel-
la “centralità” del fatto.
Il prof. Cipolla osserva come il problema della prova nel dirit-
to tributario, che è in questa accezione prova tout court, mostrando
identità strutturale con gli altri campi del diritto (civile, penale e
amministrativo), è quello di risolvere un giudizio “di fatto” e cioè
stabilire come sono andati i fatti1. Dunque è innegabile la centrali-
tà del “fatto” nella teoria della prova tributaria.
D’altro canto la questione della soluzione del giudizio “di fat-
to” non è meno rilevante in ambito penalistico, se è vero che, an-
che in quel settore (e, vorrei dire, soprattutto in quel settore) la
«verità della ricostruzione fattuale rilev[a] in ambito processuale
quale fondamento per l’emanazione di una decisione giusta»2.
Ma quando nella teoria generale della prova si parla di giudi-
zio di fatto, o di “fatto” tout court, a cosa si fa riferimento?
Che la prova riguardi il “fatto” è affermazione comune nel lin-
guaggio corrente di tutti i giorni, ma il giurista – così come lo sto-
rico, il giornalista, ecc. – non può accontentarsi di una soluzione così
semplificata. Egli infatti, deve aver ben presente che il fatto in sé,
quale esso rileva nel processo (ma anche nella ricostruzione dello sto-
rico o del giornalista) è un accadimento del passato, che si è già fe-
nomenicamente verificato, e che non si può riprodurre in laboratorio.
Così le circostanze che tizio abbia sparato a caio, o che mevio abbia
percepito un introito di denaro, non rilevano nel processo (rispetti-
vamente: penale e tributario) mentre esse accadono, ma rilevano
nella ricostruzione che di tali accadimenti si fa nel processo.
Certo non è possibile escludere totalmente che l’accadimento
di fatto si compia sotto gli occhi del verificatore e queste sono
1 Cfr. CIPOLLA, La prova cit., pagg. 7 ss.
2 Cfr. UBERTIS, (voce) Pr ova, cit. pag. 298.
249
quelle rare ipotesi in cui v’è “certezza” sul fatto, in quanto esso
non deve essere ricostruito. Si pensi al caso del finanziere che, sot-
to mentite spoglie, acquisiti un bene e non riceva dal commercian-
te lo scontrino fiscale, o al carabiniere che, sotto mentite spoglie,
acquisti un determinato quantitativo di droga dallo spacciatore (o
consegni il denaro al funzionario corrotto). In questi casi v’è
l’evidenza sensibile del fatto ed il problema del giudizio di fatto
diviene, tutto sommato, processualmente irrilevante. Ma, si con-
corderà che quelli appena cennati sono soltanto degli esempi che
incidono in misura percentuale ridottissima sulla molteplicità degli
accadimenti che normalmente vengono in rilievo nei processi3. Ciò
che quasi sempre accade è il contrario e cioè che il fatto non si verifi-
ca sotto i sensi di colui che deve verificarlo o provarlo in giudizio.
Nella normalità delle ipotesi, dunque, il fatto va ricostruito nel
processo, il che significa, come già si è detto, che ciò che entra
nella dinamica processuale non è il fatto in sé, ma è un enunciato
sopra il fatto, che riguarda il fatto, che lo descrive, ecc. Tale enun-
ciato come osserva il prof. Ubertis è un “asserto”4, e ciò che si de-
ve verificare nel processo, attraverso le prove, è se esistono ele-
menti che possono confermare l’attendibilità dell’asserto. Ne con-
segue che come è un enunciato il “fatto” è un enunciato anche la
“prova” e, per l’esattezza, essa è un enunciato che prende la forma
di un “giudizio”; un giudizio di verifica dell’attendibilità (sulla ba-
se delle prove) dell’enunciato sopra un fatto.
Ecco allora un altro punto di contatto fra dottrina penale e dot-
trina tributaria, in quanto anche quest’ultima riconosce che la pro-
va è un giudizio, più esattamente che «la prova (della verità o del-
la falsità) di un fatto …altro non è se non la prova (della verità o
della falsità) di un asserto» e, dunque, la prova «si risolve, essa
stessa, in un altro enunciato». La conclusione è che «l’accerta-
mento dei fatti.. ha carattere ‘proposizionale’»5.
3 In tal senso MULEO, Contrib uto cit., pag. 114, il quale riconosce che casi
del genere sono «affatto par ticolari».
4 Cfr. UBERTIS, (voce) Pr ova, cit. pag. 300.
5 In tal senso si veda CIPOLLA, op. cit., pag. 32, il quale osserva che la
conseguenza della natura proposizionale della prova tributaria comporta che
essa può dirsi raggiunta «solo quando esiste una coerenza interna tr a la pr opo-
sizione probatoria … e la proposizione da provare«, aggiungendo che «l’una e
Per continuare a leggere
RICHIEDI UNA PROVA