CIRCOLARE 1 agosto 2002, n. 42 - Decreto legislativo n. 368/2001, recante la nuova disciplina giuridica sul lavoro a tempo determinato. Prime indicazioni applicative

Ai direttori regionali del lavoro Ai direttori provinciali del lavoro e per conoscenza

Alla Regione siciliana assessorato lavoro e previdenza sociale ispettorato del lavoro di Palermo Alla provincia autonoma di Bolzano All'Assessorato lavoro di Salerno Alla provincia autonoma di Trento All'Assessorato lavoro di Trento

IL MINISTRO DEL LAVORO E DELLE POLITICHE SOCIALI

  1. Premessa.

    Il decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, che recepisce nell'ordinamento nazionale la direttiva del Consiglio del 28 giugno 1999, n. 99/70/CE relativa all'accordo quadro CES (Confederazione europea dei sindacati), UNICE (Unione delle confederazioni delle industrie della Comunita' europea), CEEP (Centro europeo dell'impresa a partecipazione pubblica) sul lavoro a tempo determinato, non rappresenta semplicemente un atto formale connesso all'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea, ma si configura quale manifestazione normativa di un piu' generale processo di modernizzazione dell'organizzazione del lavoro gia' da tempo avviato.

    Ed infatti, la ratio sottesa alla disciplina in commento, oltre a trovare riscontro nella progressiva previsione di nuove ipotesi di lavoro temporaneo (quali, il contratto di formazione e lavoro, la fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo, la collaborazione coordinata e continuativa, le collaborazioni occasionali, i tirocini formativi e di orientamento, ecc...), trova la sua genesi - come tra l'altro indicato espressamente nel quinto Considerando della Direttiva qui trasposta, nelle conclusioni del Consiglio europeo di Essen del 1995, dove si sottolineava la necessita' di provvedimenti per "incrementare l'intensita' occupazionale della crescita, in particolare mediante un'organizzazione piu' flessibile del lavoro, che risponda sia ai desideri dei lavoratori che alle esigenze della competitivita'".

    In questa prospettiva, la direttiva 99/70/CE cit. si richiama alla risoluzione del Consiglio europeo del 9 febbraio 1999 relativa agli orientamenti in materia di occupazione per il 1999, dove si invitano "le parti sociali a tutti i livelli appropriati a negoziare accordi per modernizzare l'organizzazione del lavoro, comprese le forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilita' e la sicurezza" (Cfr.: 6o Considerando).

    Ed ancora, la predetta direttiva trova ispirazione nella piu' recente Raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 19 gennaio 2001, riguardante l'attuazione delle politiche degli Stati membri in materia di occupazione per il 2001, dove, fra l'altro, viene ulteriormente ribadito l'auspicio del metodo del dialogo sociale per la modernizzazione e la riorganizzazione del mercato del lavoro al fine dell'incremento delle opportunita' di occupazione regolare e di buona qualita', anche alla luce dei mutamenti strutturali in campo economico.

    In questo quadro, il decreto legislativo in commento, nel dare attuazione in Italia alla direttiva comunitaria sopra richiamata, riforma integralmente la disciplina del contratto a termine, superando in via definitiva il regime della tipizzazione legale e restrittiva delle situazioni legittimanti proprio dell'abrogata legge n. 230/1962 (e successive modifiche).

    E' di tutta evidenza la diversa impostazione del legislatore del 2001 ove si legga l'art. 1 del decreto che consente la generale instaurazione di rapporti di lavoro a tempo determinato ove sussistano "ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" che giustificano l'apposizione del termine medesimo.

    In questo senso, la riforma della disciplina del lavoro a termine risulta in linea con il 3o Considerando della Direttiva 99/70/CE nella parte in cui, facendo rinvio alla Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori (e, segnatamente, al punto 7 della medesima), auspica che la realizzazione del mercato interno porti ad un miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori nella Comunita' europea, mediante "il ravvicinamento di tali condizioni, che costituisca un progresso, soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato, il lavoro a tempo parziale, il lavoro interinale e il lavoro stagionale".

    Tra l'altro gia' nella relazione illustrativa al decreto veniva colto ed evidenziato l'aspetto innovativo della disciplina in commento rispetto al regime previgente, risultando l'attuale impostazione piu' semplice e, al tempo stesso, meno esposta all'aggiramento attraverso comportamenti fraudolenti.

    Ed infatti, al regime della generale negazione del ricorso al contratto a termine tranne in alcuni casi tipizzati, si sostituisce, recependo ormai un progressivo mutamento della funzione economico sociale riconosciuta a detta forma contrattuale, il principio in base al quale "il datore di lavoro puo' assumere dei dipendenti con contratti a scadenza fissa, dovendo fornire contestualmente e in forma scritta le (note) ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo" (Cfr.: Relazione illustrativa al provvedimento) che legittimano l'apposizione del limite temporale.

    A tal riguardo, giova, comunque, da subito sottolineare che nella disciplina delineata dal decreto legislativo in commento appare superato l'orientamento volto a riconoscere la legittimita' dell'apposizione del termine soltanto in presenza di una attivita' meramente temporanea, cosi' come, d'altronde, sono superati i caratteri della "eccezionalita'", "straordinarieta'" ed "imprevedibilita'" propri delle precedenti ragioni giustificatrici.

    Una corretta interpretazione del disposto di cui all'art. 1, comma 1, decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, impone in effetti di rigettare letture riduttive della lettera della legge - e dell'avviso comune sulle modalita' e sui contenuti traspositivi della normativa comunitaria formulato dalle parti sociali il 4 maggio 2001 - e segnatamente quegli orientamenti volti a riconoscere la legittimita' della apposizione del termine soltanto in presenza di una occasione meramente temporanea di lavoro. Questa impostazione, gia' largamente superata dalla legislazione previgente (si pensi alle ipotesi di assunzione a termine di tipo c.d. soggettivo introdotte con il rinvio alla contrattazione collettiva di cui all'art. 23, legge n. 56/1987), non solo non trova alcun appiglio normativo di carattere testuale e/o sistematico, ma risulta addirittura smentita dal raffronto con la disciplina vigente in materia di lavoro temporaneo. L'art. 1, comma 1, della legge 24 giugno 1997, n. 196, legittima infatti il ricorso alla fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo solo in presenza di "esigenze di carattere temporaneo" cosi' come individuate ai sensi del successivo comma 2.

    Se, dunque, appare plausibile che si ricorra alla stipulazione di un contratto a termine per l'esecuzione di prestazioni che non abbiano di per se' il carattere della "temporaneita'", non per questo le ragioni giustificatrici non si dovranno palesare come oggettive, verificabili e, soprattutto, non elusive dell'intento perseguito dal legislatore volto ad evitare qualsiasi volonta' discriminatoria o fraudolenta del datore di lavoro.

    Alla stregua della nuova disciplina legale, la temporaneita' della prestazione e, semplicemente, la dimensione in cui deve essere misurata la ragionevolezza delle esigenze tecniche, organizzative, produttive o sostitutive poste a fondamento della stipulazione del contratto a tempo...

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