La raccolta delle prove in dibattimento: temi sparsi e scorci giurisprudenziali nell’angolatura del giudice di pace

AutoreMarcello L. Busetto
Pagine1215-1221

Lo scritto è tratto da due interventi svolti nell’ambito di altrettanti incontri di studio, rivolti all’aggiornamento professionale dei giudici di pace («Le prove in dibattimento» e «L’invalidità degli atti processuali penali», Trento, 13 aprile e 23 giugno 2010). I seminari furono indetti e patrocinati dalla regione autonoma Trentino-Alto Adige/Südtirol, con l’auspicio di dedicare speciale attenzione ad aspetti pratici e agli orientamenti giurisprudenziali. Le riflessioni che qui si presentano sono state mantenute coerenti con lo spirito dell’iniziativa: omessa ogni indicazione bibliografica, ci si è voluti limitare alla citazione delle sole sentenze, cui si è fatto via via riferimento.

Page 1215

@1. Premessa

Trattare del procedimento penale per i reati attribuiti alla competenza del giudice di pace normalmente significa approfondire i suoi caratteri di specialità, i profili particolari, distintivi rispetto al rito ordinario. L’occasione da cui sono scaturite queste note ha invece indirizzato verso un altro tipo di sforzo: ripensare anche (e anzi in primo luogo) alle norme ad applicazione generale, senza tuttavia perdere di vista la specificità della giurisdizione di pace e delle materie ad essa devolute. L’operazione può comunque rivelarsi utile: offre inquadrature interessanti e prospettive originali per ritornare su problemi pur noti, con approcci che sappiano tener conto di esigenze, sfondi, caratteri complessivi spesso molto diversi da quelli consueti.

Per questa ragione - oltre che con lo scopo di fornire materiale scritto, per utilità pratica - si è scelto di pubblicare le pagine successive, le quali vertono - appunto - non tanto su norme speciali, proprie del procedimento davanti al giudice di pace, ma piuttosto su norme comuni, dal punto di vista del giudice di pace.

Peraltro, ciò implica anche collegarsi ad un tema di fondo realmente cruciale e tipico della giustizia penale “minore”. La tutela del diritto di difesa può essere variata nell’intensità, modellata a seconda dello specifico contesto: la Corte costituzionale lo afferma da cinquant’anni. Ma è altrettanto pacifico che debbano rimanere confini, nuclei costanti, zone intangibili, anche quando si tratti d’accertare il fatto più minuto, destinato al trattamento sanzionatorio più blando. Eppure, in settori del genere, spinte forti e varie tendono inesorabilmente ad allargare lo iato che sempre esiste tra norme e prassi, fra principi giuridici e concreti indirizzi operativi. Perciò, a fronte dei maggiori pericoli, resta ancora più forte l’importanza di fissare e ribadire quali discipline, istituti e regole specifiche debbano essere tenuti fermi, sia pur senza dimenticarsi del particolare ambito in cui essi vanno calati.

@2. Principi generali sull’acquisizione delle prove: solo un avverbio in meno

Anche per i temi qui trattati può valere, come punto d’avvio, il rilievo complessivo poc’anzi espresso: le regole dettate per la raccolta delle prove nel dibattimento si collocano in uno scenario particolare, che invita ad apposite riflessioni, ma - eccettuata qualche specifica disposizione - non sono diverse rispetto a quelle che vigono davanti ai giudici togati. E la ragione sta anche nel fatto che quelle regole sono spesso il portato di principi fondamentali, fissati dalla Costituzione, specie dopo la riforma dell’art. 111 Cost., che ha dato esplicito rilievo ai due capisaldi del diritto alla prova e del contraddittorio nella sua formazione.

Quanto al primo profilo, il comma 3 dell’art. 111 Cost. contribuisce ad avallare l’applicabilità - peraltro pacifica - degli artt. 190 e 187 c.p.p. innanzi alla giurisdizione onoraria. Al proposito va chiarito un punto, che potrebbe suscitare equivoci. È noto che l’art. 29, comma 4, del D.L.vo n. 274 del 2000 autorizza il giudice di pace a rifiutarsi di acquisire le prove «irrilevanti o superflue»: l’avverbio «manifestamente», che leggiamo nell’art. 190 c.p.p., non è stato riprodotto. Ebbene, quali che fossero gli intenti del legislatore, la norma speciale non detta un criterio diverso rispetto a quello codicistico, ma semplicemente provvede ad adeguarlo al particolare ambito del procedimento di pace. Si collega, cioè, alla circostanza che il giudice possa avere più elementi di valutazione, nel verificare l’utilità e la rilevanza delle prove richieste dalle parti: il fascicolo del dibattimento si forma direttamente in udienza; il tentativo di conciliazione è obbligatorio; inoltre, in caso di ricorso immediato dell’offeso, la documentazione allegata potrà essere cospicua. Perciò non ritroviamo l’avverbio. Non perché cambi il criterio, che resta identico: nel dubbio la prova va ammessa; e solo quando sia certo che essa non rilevi o non possa apportare elementi nuovi, può essere esclusa. È - né più né meno - quella “presunzione di pertinenza e di non superfluità” di cui si parla a proposito della norma del codice, che dunque opera anche davanti al giudice di pace, dato il calibro costituzionale dei valori in gioco: qui è solo più facile che una eventuale irrilevanza emerga immediatamente, per via delle più ampie conoscenze a disposizione del giudice.

Rilievi non dissimili valgono per l’altro principio, quello del contraddittorio nella formazione della prova, ora fissato dall’art. 111, commi 4 e 5, Cost.: le regole che lo traducono non possono non riguardare anche i reati attribuiti alla magistratura onoraria, salvo subire - semmai - semplici adattamenti allo specifico contesto. È così, ad esempio, per la già rammentata previsione relativa alla formazione dei fascicoli al cospetto del giudice del dibattimento (art. 29, comma 7, D.L.vo n. 274 del 2000). Il fatto che il giudice di pace “veda” gli atti di indagine non significa ovviamente che li possa usare o acquisire in misure più larghe di quelle consuete. Né - occorre rilevarlo - che egli possaPage 1216 sentirsi autorizzato a caldeggiare eventuali accordi sulla composizione del fascicolo d’udienza. Tali accordi vanno sempre considerati eccezionali, proprio perché realizzano una deroga ad un principio fondamentale, per quanto ammessa dalla Costituzione (art. 111, comma 5, Cost.); un principio, peraltro, che ha anche un rilievo ed una portata superindividuale, costituendo pure una garanzia metodologica e di attendibilità del giudizio.

Ricordiamo che le competenze penali del giudice di pace nascono sì per realizzare funzioni conciliative e di riappacificazione, ma anche per consentire - quando la riappacificazione sia impossibile - una effettiva tutela giurisdizionale: in quest’ottica pare evidente che, una volta constatato che gli sbocchi conciliativi sono preclusi, il giudice non debba forzare le parti a rinunciare a quelle garanzie che, pur comportando un aggravio dei tempi processuali, sono nondimeno necessarie ad assicurare un corretto accertamento. Insomma e per ripetere: gli accordi sulla composizione del fascicolo vanno visti, anche davanti al giudice di pace, come una eventualità non da favorire, ma semmai da limitare, circoscrivere, assicurandosi che essi si realizzino solo quando vi sia un effettivo, spontaneo incontro fra le volontà delle parti. È un discorso sul quale torneremo in seguito, parlando delle violazioni del contraddittorio e della sanzione della inutilizzabilità.

@3. Consulenze tecniche

Dovendo ora scendere un po’ più nel dettaglio e perciò circoscrivere l’attenzione a qualche profilo più particolare, la scelta può cadere sulle prove di carattere tecnicoscientifico (perizia e, soprattutto, consulenza di parte). Ciò per varie ragioni. Innanzi tutto perché è ormai frequente la constatazione che questo tipo di prove abbia, per molti motivi, un’importanza sempre crescente e tenda a scalzare la prova stricto sensu testimoniale dal ruolo di prova “principe”: è un trend che, sia pure in modo forse meno sensibile, vale anche davanti al giudice di pace, soprattutto in relazione a un settore che incide molto sul carico complessivo, come quello dell’infortunistica stradale. Inoltre, si può forse affermare che proprio nella disciplina di queste tipologie probatorie si annidino forti rischi per la tenuta dei principi e delle garanzie fondamentali cui si faceva cenno poc’anzi, perché la legislazione - ancora calibrata sulla centralità della prova testimoniale - è invece più lacunosa e frammentaria nel campo degli accertamenti a natura tecnica. E ciò vale soprattutto per quel mezzo di prova, tutto sommato nuovo, rappresentato dalla consulenza di parte: la codificazione del 1988, pur avendo valorizzato questo istituto, a scapito della perizia, non ha saputo sciogliere vari nodi e amalgamare adeguatamente vari volti di tale figura. Qui peraltro occorrerà limitarsi a taluni aspetti particolarmente problematici.

Un primo ha a che fare con...

Per continuare a leggere

RICHIEDI UNA PROVA

VLEX uses login cookies to provide you with a better browsing experience. If you click on 'Accept' or continue browsing this site we consider that you accept our cookie policy. ACCEPT