Telematica e democrazia diretta

AutoreRodolfo Pagano
Pagine27-39

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La parola «democrazìa» non sembra comprensibile se non è accompagnata almeno da un aggettivo qualificativo nel quale si riassume un determinato significato storico o si riflette una determinata ideologia.

Democrazia diretta, democrazia indiretta, democrazia occidentale, democrazia orientale, democrazia popolare, democrazia progressiva, democrazia pluralista, democrazia liberale, democrazia sociale, democrazia di base, democrazia moderna e democrazia antica sono alcune espressioni correnti1.

Ai fini limitati del nostro assunto ci interessano particolarmente le espressioni «democrazia diretta» e «democrazia indiretta o rappresentativa».

La prima come esercizio diretto del potere, fondato cioè sulla personale partecipazione dei cittadini al governo della res publica. La seconda come un sistema di controllo e di limitazione del potere dei governanti fondato sui meccanismi elettorali. Il nostro intento è di verificare l'asserto da più parti espresso che le nuove tecnologie (la telematica) consentono finalmente di attuare la democrazia diretta, E implicito nell'avverbio «finalmente» una valutazione negativa della democrazia rappresentativa.

Sono ricorrenti le critiche ai regimi di democrazia rappresentativa. Sul piano politico da Rousseau a Pareto, da Marx a Lenin, la critica fondamentale è che il principio di rappresentanza attua una confisca della democrazia a favore di una minoranza o di una classe. Sul piano giuridico le critiche non sono meno aspre: la rappresentanza è una finzione, l'eletto non rappresenta gli elettori e l'assemblea degli eletti non rappresenta la nazione. La dicotomia tra paese legale e paese reale, spesso evocata nella pubblicistica politica, sarebbe uno degli effetti perversi di questa pseudorappresentanza.

E interessante notare che tali critiche non sfociano verso una richiesta di democrazia diretta ma tendono a delegittimare la detenzione del potere attuata con il sistema di democrazia parlamentare a favore di altri «modi» di rappresentanza.

Tutti i regimi politici contemporanei pretendono di fondarsi sulla sovranità popolare, ma « Ce qui varie, ce soni les procédures, juridiques ou politìques, par lesquelles cette autorità legitìme est transmise du peuple à des ètres réels. Selon l'ideologie des régìmes fascistes, la volante anthentìque du peuple ne s'exprime que par l'iniermédiaire d'un homme, le Führer, om d'un Partì, Selon l'ideologie des régimes communistes, l'autorità Mgitìme exprime la volante du prolétariat, etPage 28 celleci a pour organe le Parti communiste, Quant aux régimes occideniamx, ils prétendent quet le peuple étant souvemin, les citoyens doivent choìsir librement entre les candidats à l'exercice du pouvoir»2.

Ma nuove critiche al sistema rappresentativo vengono anche da altre sponde. Esse traggono alimento, come vedremo, dallo sviluppo delle nuove tecnologie. I mezzi informatici - si afferma - rimettono in causa la delega dei poteri e la nozione stessa di rappresentanza3. Lo sviluppo dei mezzi di comunicazione e di elaborazione dell'informazione toglie una parte della loro utilità e pertanto della loro legittimità alle istanze della rappresentanza4.

Ciononostante il principio della rappresentanza costituisce ancora oggi il denominatore comune delle democrazie contemporanee. Vero è che, a parte le motivazioni tecniche addotte in suo favore, su cui mi soffermerò più oltre, il principio della rappresentanza per varie cause si è venuto - se così si può dire - «democratizzando» nel corso della sua attuazione storica sia con l'allargamento progressivo del suffragio sia venendo a coabitare con alcuni istituti di democrazia diretta concepiti con un ruolo di integrazione o di supplenza ovvero come corretti delle distorsioni del sistema rappresentativo.

In tutte le critiche alla rappresentanza è implicito un concetto di fondo: la «vera» democrazia è la democrazia diretta. Rousseau aveva posto la questione in questi termini: «Come è possibile essere soggetto ad un ordinamento e nello stesso tempo rimanere libero», È questa la domanda fondamentale alla quale egli da risposta con il Contratto sociale5. Posto che ogni uomo è nato libero, nessun pretesto è valido per sottoporlo a vincoli senza il suo libero consenso6. Il Patto sociale (ordinamento) che vincola tutti gli associati non può essere basato che sul consenso degli stessi7. Un tale patto «établit entre les citoyens une telle égalité, qu'ib s'éngagent toms sous les mèmes conditions et doivent jouìr tous des mèmes droits... Tant que les sujets ne soni soumis qu'à de telles conpentìons, il n'obeissent à personne, mais seulement à leur propre Polonte» (R. liv. I, chap. IV).

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L'unanimità del consenso assicura la perfetta corrispondenza tra le singole volontà (la volante de tous) e l'ordinamento (la volonté generale) di modo che « les engagement qui nous Meni au corps social ne soni pas obligatoires que parce qu'ils soni mutuels; et leur nature est ielle qu'en les remplissani on ne peut travailler pour animi sans travailler aussi pouf soi» (liv. I, dhap. IV).

Il (supposto) patto originario (le contrai primitìf) non conosce oppositori semplicemente perché, non aderendo, essi ne restano al di fuori (Ce soni des éirangers parmi les citoyens - LIV. IV, chap. II),

Ma un ordinamento la cui validità sia basata sul consenso permanente di tutti i suoi membri è un ordinamento ideale8. Anzi «è completamente superfluo un ordinamento normativo che regoli il comportamento reciproco degli individui, se è escluso a priori ogni conflitto tra l'ordinamento ed i suoi soggetti»9.

Il passaggio dallo stato di natura alla vita associata comporta quindi un limite alla libertà assoluta dell'individuo (la liberti naturelle), ma è compensato dall'acquisto della libertà civile10.

Perché dunque il patto sociale non sia una vana formula «il renferme tacite-meni cet engagement qui seul peut donner de la force aux amtres, que quiconque refuserà d'obéir à la volontè generale y sera contraint par toni le corps: ce qui ne signifie auire chose sìnon qu'on le fornerà à Sire libre»11. Il problema è allora come garantire il maggior grado di libertà individuale in una società costituita, ossia in un ordinamento giuridico.

La sovranità, espressione della volontà generale, appartiene al popolo come complesso corporativo. L'unico governo libero è una democrazia in cui tutti i cittadini possano effettivamente prendere parte alle decisioni pubbliche (formazione della volontà generale). Ciò esclude ogni forma di rappresentazione12. Nel momento in cui il popolo si da dei rappresentanti esso non è più libero: «Le peuple anglais-pense ètre libre, il se trotnpe fori; il ne l'est que durant l'élection des membres du Parkment; sitòt qu'ils soni élus, il est esclave, il n'est rien» (liv. III, chap. XV).

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Esclusa la possibilità di un consenso, la regola per la formazione della volontà generale sarà il principio di maggioranza (la voix du pius grand nombre), regola che discende dal patto sociale e che suppone, almeno una volta, l'unanimità.

La democrazia «ideale» esigerebbe che non soltanto la funzione legislativa ma anche quella esecutiva e quela giurisdizionale fossero esercitate direttamente dai cittadini. Questa però non è la conclusione di Roussetu per il quale «il n'est pas bon que celuì qui fati les lois les exécuie ni que le corps du peuple détoume son attentìon des pues générales pour le donner amx objets particuliers»13, La democrazia integrale nel senso sopra detto tuttavia costituisce un obiettivo al quale le varie ramificazioni del radicalismo democratico non hanno mai rinunciato ad ispirarsi esercitando per un verso una positiva funzione critica dei sistemi politici reali ma svolgendo per altro verso azioni di logoramento della democrazia parlamentare con una contestazione permanente priva di una alternativa praticabile.

Per limitarci ai tempi attuali, da oltre un quindicennio in Europa e particolarmente nel nostro paese la rappresentanza politica è oggetto di una contestazione, anche in forma violenta, che ha Investito non soltanto il Parlameli» to, ma anche i partiti di massa e gli stessi sindacati nella loro pretesa di interpretare e rappresentare la totalità delle aspirazioni della società. Sorgono nuovi movimenti. I movimenti extraparlamentari, come sono stati genericamente definiti, presentano molti nomi ed agiscono per fini ed in forme diverse.

Sebbene la linea di demarcazione sia oggettivamente confusa, occorre distinguere tra movimenti eversivi di minoranze organizzate in strutture rigide il cui fine è la conquista del potere in modi e con mezzi violenti, al di fuori di ogni regola democratica cui sono intrinsecamente ostili, e movimenti che rivendicano, in forme talora inconsuete, una diretta partecipazione alle decisioni, richiamandosi in opposizione ti sistema rappresentativo, al principio della democrazia-diretta. Si tratta in questi casi di movimenti con fini limitati (ecologia, obiezione di coscienza, armi nucleari, ecc.) e che non riconoscendosi nelle ideologie o nei programmi dei partiti tradizionali si fanno portavoce di valori o di aspirazioni particolari, ma diffuse nella società, che tagliano trasversalmente l'elettorato dei partiti tradizionali.

In molti casi-questi movimenti anche quando si caricano di finalità più generali, non hanno una precisa forma organizzativa. Le assemblee di fabbrica o i «collettivi» degli studenti di cui abbiamo avuto esperienza in questi anni,Page 31 sono strutture che si riuniscono spontaneamente, e in cui il processo decisionale non è formalizzato ma viene lasciato al caso, Un elemento comune a tali movimenti è la contestazione di alcuni valori tradizionali della società e delle istituzioni. Le marce, i seat-in, le raccolte di firme, i digiuni, le autoriduzioni, la non coopcrazione sono alcune forme tipiche di azione. Anche il linguaggio che viene adoperato presenta caratteristiche peculiari, con la creazione di nuovi vocaboli e di slogans «coloriti» o con l'attribuzione di...

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