Installazione di impianti di telecomunicazione: rilevanza penale delle violazioni urbanistiche e codice delle comunicazioni elettroniche

AutoreLuca Ramacci
Pagine513-519

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@1. Premessa

La sempre più diffusa presenza sul territorio di impianti ripetitori per telefonia cellulare ha determinato, come è noto, un considerevole aumento del contenzioso in materia sia in campo amministrativo che penale.

Il discutibile intervento effettuato attraverso il D.L.vo 4 settembre 2002, n. 198, recante «Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell'articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443» (c.d. decreto Gasparri) prestando attenzione, quasi esclusivamente, alle ragioni economiche che sottostanno alla c.d. legge obiettivo, sacrificava di fatto le esigenze di tutela dell'ambiente e della salute delle persone attraverso uno snellimento della procedura autorizzatoria che non poteva non avere quale conseguenza una minore attenzione nei controlli ed il proliferare degli impianti.

Inoltre le citate disposizioni vennero lette, da alcuni giudici di merito 1, come finalizzate ad escludere, in ogni caso, la necessità della concessione edilizia per l'installazione di impianti del tipo di quelli contemplato nel decreto.

Liberati dunque i gestori di telefonia dal «fastidio» del permesso di costruire, il decreto provvedeva, con l'articolo 12, comma quarto anche ad abrogare l'articolo 2 bis del D.L. 115/97 (convertito nella legge 189/97) con riferimento all'obbligo di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) per gli impianti medesimi.

Inutile forse osservare, anche in questo caso, che sul punto la giurisprudenza amministrativa si era ripetutamente interrogata fornendo risposte tra loro contrastanti fino a quando il Consiglio di stato aveva riconosciuto che il rilascio del titolo abilitante è subordinato all'esito positivo della V.I.A. regionale 2.

Le critiche che accompagnarono la vita, fortunatamente breve, del D.L.vo 198/2002 3 trovavano poi conferma, seppure in parte, nella pronuncia della Corte costituzionale che lo dichiarava costituzionalmente illegittimo per eccesso di delega 4.

Durante il tempo intercorrente tra la discussione del ricorso innanzi alla Corte costituzionale (25 marzo 2003) ed il deposito della decisione (1 ottobre 2003) con singolare tempismo era stato tuttavia pubblicato in Gazzetta Ufficiale il D.L.vo 1 agosto 2003, n. 259 Codice delle comunicazioni elettroniche 5 6.

Restava comunque l'esigenza di salvare i procedimenti autorizzatori iniziati sotto la vigenza del D.L.vo 198/02 che sarebbero stati travolti dalla pronuncia della Corte costituzionale. A ciò provvedeva l'art. 4 del D.L. 315/2003, il quale disponeva che tali procedimenti sarebbero stati comunque disciplinati dal nuovo codice delle comunicazioni e che i termini, pur decorrendo dalla data di presentazione della domanda o della denuncia di inizio di attività, sarebbero stati computati in base al disposto degli artt. 87 e 88 del codice medesimo. Il D.L. veniva poi convertito nella legge 6 gennaio 2004 n. 5.

L'entrata in vigore del D.L.vo 259/03 ripropone, dunque, la questione relativa alla necessità o meno del permesso di costruire con riferimento agli impianti di cui si occupa il nuovo codice delle comunicazioni troppo sbrigativamente risolta sotto la vigenza del «decreto Gasparri».

@2. Antenne e disciplina urbanistica

Sulla necessità del permesso di costruire (e, prima dell'entrata in vigore del T.U. edilizia, della concessione edilizia) per gli impianti ripetitori di telefonia cellulare si è a lungo interrogata la dottrina e la giurisprudenza.

È di tutta evidenza che le installazioni per ripetitori radiotelevisivi e di telefonia cellulare nonché gli elettrodotti, per dimensioni e modalità di collocazione possono incidere in modo rilevante sull'assetto urbanistico, paesaggistico e storico architettonico del territorio.

Tale problema è affrontato anche nella legge-quadro 36/2001 sull'inquinamento elettromagnetico dove, nell'articolo 5, si prevede l'emanazione, mediante decreto ministeriale, di specifiche misure relative agli aspetti tecnici degli impianti e la collocazione dei tracciati per la progettazione, la costruzione di nuovi impianti e la modifica di quelli esistenti.

Per quanto riguarda il profilo strettamente urbanistico, con riferimento agli aspetti penali non si rinvengono numerosissimi precedenti.

Prima dell'entrata in vigore dell'attuale disciplina di settore, in un primo tempo la Corte di cassazione, occupandosi dell'installazione di un'antenna su un traliccio di notevoli dimensioni, riconosceva la necessità della concessione edilizia 7, per poi mutare successivamente orientamento sostenendo che la sistemazione di una antenna per trasmissioni radiotelevisive sul tetto di un cascinale isolato non richiedeva il medesimo titolo abilitativo 8.

La giurisprudenza amministrativa riconosceva invece, in alcune occasioni, esplicitamente o implicitamente, la necessità della concessione edilizia 9.

L'incertezza della giurisprudenza di legittimità risentiva, forse, dell'assenza nella legge 28 febbraio 1985 n. 47 di un espresso riferimento a tale tipologia di impianti, mancanza cui pone rimedio il nuovo T.U.Page 514 in materia edilizia 10 che colloca, tra gli interventi di «nuova costruzione» (subordinati al «permesso di costruire», che prende ora il posto della concessione edilizia prevista dalla legge 47/85), «l'installazione di torri e tralicci per impianti radio-ricetrasmittenti e di ripetitori per i servizi di telecomunicazione» (articolo 10).

Nel fornire questo riferimento esplicito, dunque, il legislatore sembra aver recepito l'orientamento più rigoroso tra quelli espressi dai giudici di legittimità.

Sempre lasciando da parte, per il momento, le disposizioni introdotte dal codice delle comunicazioni elettroniche, può osservarsi che la previsione contenuta nella normativa urbanistica attualmente in vigore appare perfettamente in linea con i principi generali sulla scorta dei quali si individua l'interesse protetto dalla normativa urbanistica.

Non pare superfluo ricordare quanto affermato, a tale proposito, dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione 11 le quali hanno precisato che il bene tutelato è quello relativo ad un corretto sviluppo del territorio in conformità alla normativa urbanistica e non più il semplice controllo dell'attività edificatoria da parte della pubblica amministrazione cui si riferivano, invece, le disposizioni previgenti.

L'affermazione appare peraltro condivisa, in modo pressoché unanime, da dottrina e giurisprudenza e sulla scorta della stessa dovrà procedersi per individuare l'eventuale rilevanza urbanistica di un impianto che sarà evidente allorché l'impianto medesimo sia idoneo, per dimensioni e ubicazione, a determinare una trasformazione edilizia o urbanistica del territorio tale da collocarlo tra gli interventi che richiedono il permesso di costruire il quale, lo si ricorda, presuppone una preventiva valutazione dell'autorità comunale secondo i principi dettati dal T.U. edilizia.

Come è noto, il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività - D.I.A. 12, costituiscono ora gli unici titoli abilitanti dopo la scomparsa dell'autorizzazione al di fuori dei quali vi è l'attività edilizia libera di cui all'articolo 6 del T.U.

Nell'effettuare la valutazione sulla rilevanza urbanistica dell'opera dovrà inoltre prescindersi, come ricordato dalla giurisprudenza, dalle caratteristiche costruttive del manufatto e dai materiali utilizzati nonché dalla tecnologia mediante la quale viene assicurato stabilmente il manufatto al suolo 13.

Un esempio tipico di tale valutazione si rinviene con riferimento ad impianti diversi da quelli in esame: «... qualsiasi impianto costituito da strutture fisse, saldamente ancorate al suolo, la cui installazione comporta una indubbia modifica dell'assetto del territorio, necessita del rilascio della concessione edilizia, mentre a nulla rileva, in contrario, che tale impianto sia integrato o prevalentemente costituito da un macchinario semovente» 14.

In mancanza di tali condizioni quando, cioè, l'impianto non assuma rilievo sotto il profilo urbanistico o, comunque, abbia natura di semplice pertinenza o presenti caratteristiche di precarietà, il permesso di costruire non sarà richiesto.

Anche in materia di pertinenze ed opere precarie la giurisprudenza e la dottrina forniscono indicazioni utili per una chiara collocazione di tali tipologie di interventi nel quadro generale della disciplina urbanistica tali da consentire un corretto inquadramento anche con riferimento agli impianti di telefonia mobile.

Con riferimento alle pertinenze, in particolare, la giurisprudenza della Corte di cassazione ci rammenta che essa «... ha caratteristiche diverse da quella contemplata dal codice civile. Si fonda su dati, desumibili anche dalla normativa catastale; comporta l'impossibilità di destinazioni ed utilizzazioni autonome; si sostanzia nei requisiti della destinazione strumentale alle esigenze dell'immobile principale, risultante sotto il profilo funzionale da elementi oggettivi, dalla ridotta dimensione sia in senso assoluto sia in relazione a quella al cui servizio è complementare, dall'ubicazione, dal valore economico rispetto alla cosa principale e dall'assenza del cosiddetto carico urbanistico» 15. Riferendosi inoltre al T.U., la corte di cassazione ha ribadito che per aversi pertinenza si richiede: a) un nesso oggettivo strumentale e funzionale con la cosa principale; b) che non sia consentita, per natura e struttura, una pluralità di destinazioni; c) un carattere durevole; d) la non utilizzabilità economica in modo diverso; e) una ridotta dimensione; f) una individualità fisica e strutturale propria; g) l'accessione ad un edificio preesistente edificato legittimamente; h) l'assenza di un autonomo valore di mercato non valutabile in termini di cubatura 16.

Per quanto riguarda, invece, gli interventi «precari» essi non sono contemplati dalla normativa urbanistica se non con riferimento, ora, agli interventi...

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