Tasse sul canone contrattuale e inquilini morosi: una importante pronuncia della corte costituzionale

AutoreMarilisa D'Amico
Pagine872-874

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@1. Il principio enunciato nella decisione

Con la decisione n. 362 del 2000, la Corte costituzionale sancisce un principio molto importante, rimediando ad un vistoso errore del legislatore che da tempo era oggetto di critiche da parte della dottrina 1. Afferma infatti la Corte costituzionale che, in via generale, i canoni non effettivamente percepiti dal locatore, a causa della morosità del conduttore, non possono concorrere a determinare la base imponibile, ai fini della tassazione Irpef del reddito fondiario di un immobile locato. Secondo la Corte costituzionale, il riferimento al reddito locativo, nelle norme impugnate, deve essere interpretato in modo eccezionale, all'interno di un sistema che adotta come regola generale quella per cui i redditi fondiari concorrono a formare il reddito complessivo indipendentemente dalla percezione 2.

Attraverso questa impostazione, il giudice costituzionale rigetta le questioni sottoposte al suo giudizio, interpretandole in modo conforme alla Costituzione.

@2. Le questioni sottoposte all'esame della Corte

Oggetto del giudizio costituzionale erano questioni analoghe, sollevate da giudici diversi, sul combinato disposto degli artt. 23, comma 1, 33, comma 1, 34, comma 1, e 134, comma 2, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi), in relazione agli artt. 53, 24 Page 873 e 3 Cost., nella parte in cui «assume, quale base imponibile, ai fini della tassazione Irpef del reddito fondiario di un immobile locato, l'importo del canone locativo convenuto in contratto, anziché il reddito medio ordinario desunto dalla rendita catastale, anche quando, a causa della morosità del conduttore, tale canone non sia stato effettivamente percepito».

Nei giudizi a quibus, consapevolmente i ricorrenti avevano escluso dalla dichiarazione fiscale i redditi non percepiti a causa della morosità dei conduttori, dal momento che tali redditi non erano mai stati riscossi e sul presupposto che, in una ipotesi siffatta, al criterio che prevede la tassazione sull'importo del canone locativo, si sarebbe dovuto sostituire il criterio generale della tassazione sul reddito medio ordinario dell'unità catastale, determinato in via automatica mediante le tariffe d'estimo.

Il giudice a quo, ritenendo che le norme impugnate imponessero il riferimento al canone pattuito nel contratto di locazione anche per l'eventualità che il conduttore fosse moroso, e quindi a prescindere dalla sua reale percezione, riteneva tale norma in contrasto con vari principi costituzionale: con l'art. 53 Cost., in quanto la capacità contributiva, quale presupposto indefettibile dell'imposizione fiscale, deve sempre collegarsi alla situazione economica effettiva del contribuente, ossia ad una concreta attitudine del presupposto di imposta alla produzione di ricchezza 3; con l'art. 24 Cost., nel caso in cui si interpretasse la norma, ammettendo il contribuente alla prova della mancata effettiva percezione del canone convenuto, prova che sarebbe così difficoltosa ed onerosa per il locatore da lederne il diritto di difesa (sul «diritto del contribuente alla prova della effettività del reddito soggetto all'imposizione», si veda la chiarissima impostazione della Corte costituzionale nella sent. n. 200 del 1976) 4; con l'art. 3 Cost., per violazione del principo di eguaglianza che si manifesterebbe soprattutto tra il contribuente che non può più percepire il canone di locazione, in quanto il contratto si è risolto (ma, nonostante questo viene comunque sottoposto ad un prelievo commisurato a tale canone) ed altro contribuente, anch'egli possessore di immobile, che, non avendolo concesso in locazione, è tassato per il reddito determinato sulla base della rendita catastale.

@3. Il contenuto della decisione

La Corte costituzionale, prima di entrare nel merito della decisione, esclude che essa possa avere ad...

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