Sull'uso della cosa comune

AutoreMaurizio de Tilla
Pagine248-249

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Con la decisione in rassegna la Corte di Cassazione ha affermato che l'uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è sottoposto dall'art. 1102 c.c. a due limiti fondamentali, consistenti nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nel divieto di impedire ai partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto (Cass. 25 settembre 1991 n. 10013).

Ora, la valutazione di tale elemento (la legittimità di un uso particolare, in riferimento ai parimenti suindicati) va verificata, dal giudice del merito, in base al confronto tra uso diverso e destinazione possibile della cosa, quale stabilita, anche per implicito, dai condomini (Cass. 21 maggio 1990 n. 4566).

Nel caso di specie la Corte Suprema ha ritenuto che appare del tutto aderente allo stato dei luoghi la statuizione, contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la ripartizione dell'intera aia in due porzioni a causa della stradella realizzata ne alterava in modo sensibile la struttura e la funzionalità.

Sotto un profilo più generale va affermato che il termine «godimento» dei beni comuni designa due differenti realtà, quella dell'utilizzazione obiettiva della res e quella del suo godimento soggettivo in senso proprio. Con la prima s'intende l'utilità prodotta (indipendentemente da qualsiasi attività umana) in favore delle unità immobiliari dall'unione materiale o dalla destinazione funzionale delle cose, degli impianti, dei servizi (suolo, fondazioni, muri maestri, tetti, lastrici solari, cortili), la seconda si concreta, invece, nell'uso delle parti comuni quale effetto dell'attività personale dei titolari dei piani o porzioni di piano (utilizzazione di anditi, stenditoi, ascensori, impianti centralizzati di riscaldamento e condizionamento).

Nondimeno, talune delle parti comuni elencate nell'art. 1117 c.c. (solitamente destinate a fornire utilità oggettiva ai condomini) sono, talora, suscettibili anche di uso soggettivo, uso, per vero, particolare ed anomalo, diverso, cioè, da quello connesso con la funzione peculiare di tali parti ed indipendentemente dalla relativa funzione strumentale (i muri maestri utilizzati, ad esempio, per l'applicazione di vetrine o insegne luminose).

Così decidendo, Cass. 1 marzo 2000 n. 2255 ha affermato, nello specifico, che i cortili, funzionalmente destinati a fornire aria e luce al fabbricato (destinazione «oggettiva»), ben possono esser destinati (anche) ad un uso soggettivo (sistemazione di serbatoi, deposito...

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