Sull'impugnabilitá delle ordinanze in tema di esclusione della parte civile

AutoreDenis Silvestri
Pagine649-653

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  1. - Come noto, «il pubblico ministero, l'imputato e il responsabile civile possono proporre richiesta motivata di esclusione della parte civile» (art. 80, comma 1, c.p.p.); allo stesso modo «il giudice, qualora accerta che non esistono i requisiti per la costituzione di parte civile, ne dispone di ufficio l'esclusione con ordinanza» (art. 81, comma 1, c.p.p.).

    Con qualche significativa differenza rispetto alla disciplina del codice abrogato 1, l'atto di costituzione di parte civile è una dichiarazione di volontà sottoposta a requisiti temporali e di sostanza, i quali, se rispettati, concretizzano un vero e proprio diritto alla costituzione: è sufficiente la volontà di chi si proclama danneggiato dal reato, manifestata in certi modi ed entro certi tempi, per far sorgere la pretesa soggettiva a che il giudice penale proceda ad accertare i fatti anche con l'apporto della parte civile, ed ove egli condanni l'imputato, decida altresì sulla pretesa risarcitoria.

    Peraltro, a fronte di una spiccata liberalità nel consentire l'ingresso nel processo penale del danneggiato dal reato, fa da contrappeso la possibilità delle altre parti processuali di chiedere l'estromissione dello stesso soggetto, mentre, d'altro canto, è consentito al giudice di disporre anche di ufficio in tal senso. Possono dunque aversi ordinanze esclusive e, viceversa, ordinanze ammissive della parte civile. Per ordinanza ammissiva della costituzione di parte civile intendiamo quel provvedimento che rigetta o dichiara inammissibile la richiesta di esclusione del danneggiato: e benché sia lo stesso legislatore (art. 88, comma 1) a parlare di «ammissione» della parte civile, il termine risulta piuttosto inesatto, giacché simile ordinanza è, semmai, confermativa della regolare costituzione del danneggiato, ove si voglia ritenere che la parte civile sia, a tutti gli effetti, parte costituita in forza dell'atto ex art. 78, presentato entro i tempi di cui all'art. 79 2.

    Ad ogni modo, il legislatore, a proposito di questa pronuncia «confermativa», fissa la regola per cui «l'ammissione della parte civile... non pregiudica la successiva decisione [si intende: all'interno del processo penale] sul diritto alle restituzioni e al risarcimento» (art. 88, comma 1, c.p.p.).

    Viceversa, qualora il giudice accolga la richiesta di esclusione presentata dalle parti, o pronunci d'ufficio l'estromissione del danneggiato, «l'esclusione della parte civile... non pregiudica l'esercizio dell'azione per le restituzioni od il risarcimento» (art. 88, comma 2, c.p.p.), ed anzi, per simile fattispecie «non si applica la disposizione dell'articolo 75, comma 3».

    Giovi notare, per inciso, che il legislatore non specifica in forza di quali motivi la parte civile possa essere esclusa (perciò tutte le opinioni, purché sensate, trovano legittimo fondamento: infatti): la Rel def. (p. 173), ammette che «può essere contestata sia la legitimatio ad causam, sia la legitimatio ad processum, sia l'osservanza delle formalità prescritte dalla legge» 3.

    Ci si chiede: ove la parte civile venga estromessa dal processo penale, può impugnare la relativa ordinanza? 4.

    Fino all'entrata in vigore del c.p.p. 1988, si riteneva generalmente, in dottrina 5 ed in giurisprudenza 6, che l'ordinanza confermativa od esclusiva della parte civile, non fosse impugnabile, rispettivamente, dall'imputato e dalla parte civile, né immediatamente, né in via differita 7.

    A giustificazione di simile opinione si invocavano, a grandi linee, tre principali argomentazioni.

    Anzitutto - si riteneva - se nel processo penale vige il c.d. principio della tassatività delle impugnazioni in senso oggettivo (art. 190, comma primo, c.p.p. abr.: il gravame è ammesso nei soli casi previsti dalla legge), bisogna poter individuare una specifica previsione normativa. Come tale non veniva considerato l'art. 200, comma primo, c.p.p. abr., che si limitava - si diceva - a disciplinare il profilo temporale delle impugnazioni di qualsivoglia ordinanza dibattimentale («nei casi stabiliti dalla legge... le ordinanze... si impugnano con la sentenza»), lasciando però impregiudicato il profilo oggettivo del gravame.

    La seconda argomentazione insisteva sulla natura endoprocessuale dei provvedimenti in parola: una volta esclusa dal processo penale, la parte civile aveva, in ogni caso, possibilità di far valere le sue pretese risarcitorie in sede civile. Viceversa, qualora ne fosse confermata la presenza nel processo penale, la posizione dell'imputato e del responsabile civile non subiva alcun pregiudizio, poiché simile ordinanza non poneva alcuna ipoteca alla successiva decisione sul merito della domanda civile (art. 100 c.p.p. abr.), considerando anche che all'imputato era riconosciuto il diritto di impugnare la sentenza per tutto ciò che concerneva le questioni afferenti la c.d. legitimatio ad causam della parte civile 8.

    Quanto al terzo profilo che giustificava il diniego dell'impugnabilità delle ordinanze in discorso, si sottolineava come apprezzabili esigenze di economia processuale impedissero che approfondite analisi sulla legittimazione sostanziale e formale della presenza delle parti eventuali potessero incidere negativamente sullo svolgimento dell'accertamento penalistico in corso. Poiché la decisione interveniva allo stato degli atti, acquisire ulteriori elementi significava dilatare la tempistica processuale, ragion per cui era preferibile un'ordinanza immediata che si accontentasse diPage 650 quanto era sino ad allora, più o meno sommariamente, emerso.

    Con l'entrata in vigore del nuovo c.p.p., la Rel. al prog. prel. si appropriava delle tre argomentazioni ricordate, tanto che diversi commentatori 9, nonché una cospicua giurisprudenza 10, aderivano alle soluzioni poc'anzi prospettate.

    Tuttavia, non mancarono di affiorare dei dubbi attorno a così consolidate opzioni, seppur con riferimento alla sola ordinanza confermativa della parte civile, tanto da riconoscere che l'imputato possa impugnare, ai sensi dell'art. 586, comma 1, c.p.p., l'ordinanza insieme alla sentenza che infine statuisce sulla domanda civilistica. In altri termini, da più parti si è riconosciuto che l'imputato possa impugnare l'ordinanza (intervenuta negli atti preliminari ed in quelli introduttivi al dibattimento) che abbia rigettato o dichiarato inammissibile la richiesta di esclusione della parte civile presentata oltre l'udienza preliminare, in via, per così dire, «conglobata» con la sentenza (e sempre che quest'ultima sia impugnabile) 11.

    Essendosi verificato un certo contrasto giurisprudenziale al riguardo, si è reso necessario l'intervento delle sezioni unite 12, le quali, in relazione all'ordinanza confermativa della presenza della parte civile, hanno optato per la tesi dell'impugnabilità «conglobata».

    Secondo le sezioni unite, in particolare 13, l'esordio dell'art. 586, comma 1 («quando non è diversamente stabilito dalla legge») sarebbe sensibilmente diverso da quello dell'art. 200, comma primo, c.p.p. abr., («nei casi consentiti dalla legge»): e tale inciso, oggi, svolgerebbe la funzione di «individuare direttamente il tipo dei provvedimenti impugnabili unitamente al gravame della sentenza di merito: tutte le ordinanze emesse nel corso degli atti preliminari ovvero nel dibattimento, per le quali non sia altrimenti ammesso un mezzo di gravame immediato» 14.

    D'altra parte, si è sottolineato, quando la Rel. al prog. prelim. (p. 38) mostra di optare per la tesi della non impugnabilità delle ordinanze esclusive e confermative, l'affermazione andrebbe circoscritta all'impugnazione immediata di simili provvedimenti, perché la Rel. non si riferirebbe anche ad un'impugnazione differita delle ordinanze confermative 15.

    Si è poi riscontrato come una siffatta opzione interpretativa, oltre ad essere conforme alla normativa in tema di impugnazioni in generale, verrebbe a soddisfare esigenze di logica processuale, in quanto l'art. 88, comma 1, c.p.p. (e già l'art. 100, comma secondo, c.p.p. abr.) mantiene rigorosamente all'interno del processo l'efficacia di simili provvedimenti, che si caratterizzerebbero, quindi, per una loro spiccata «endoprocessualità».

    Infine, la profilata soluzione consentirebbe di ricondurre al sistema processuale e di ricomporre vecchie tesi contraddittorie, specie quella per cui all'imputato era riconosciuta la possibilità di sollevare le questioni risolte con quelle stesse ordinanze impugnando la sentenza nel solo capo concernente la legitimatio ad causam della parte civile, negando invece che egli potesse contestare i paralleli profili della legitimatio ad processum 16. Infatti, precisa la Corte, non solo saranno prospettabili argomentazioni che attengono al merito delle questioni, ma sarà anche possibile contraddire (e contestare) tutte quelle condizioni che il sistema processuale prescrive a pena d'inammissibilità (cfr. gli artt. 78, comma 1; 122, comma 1) ovvero di decadenza (cfr. art. 79, comma 2) 17.

  2. - Va però anche aggiunto che la tematica in discorso merita una disamina che sia articolata, anzitutto, in funzione della fase in cui...

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