La durata dei contratti di locazione di immobile urbano ad uso abitativo ex art. 2, comma 3, L. 431/98, successiva al primo rinnovo (tre anni, tre + due o due anni): non è solo un’operazione aritmetica ...

AutoreSaverio Luppino
Pagine194-197

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Riteniamo entrare subito in argomento, certi che il lettore riuscirà a seguire il ragionamento che seguirà come in un problema matematico, dove i dati precedono sempre la soluzione.

La materia delle locazioni di immobili urbani ad uso abitativo è attualmente regolamentata dalla L. 9 dicembre 1998 n. 431, che ha abrogato, almeno in parte, diverse norme della legislazione vincolistica in materia di equo canone (L. 27 luglio 1978 n. 392) e superato l’art. 11 della L. 359/1992, così detti patti in deroga.

L’art. 2, comma 3, L. 431, consente alle parti contraenti di stipulare in alternativa ai contratti a canone libero, regolamentati dal comma 1, altri contratti, denominati a canone concordato, secondo il modello adottato dalle associazioni di categoria della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative.

La durata minima di tali contratti, come stabilita per legge, non può essere inferiore ai tre anni.

Come nel vigore della legislazione vincolistica, nulla vieta che le parti possano derogare la durata del contratto nel massimo, prevedendo un differente periodo di iniziale durata, più lungo rispetto al minimo (per esempio 4 anni o più), ferma l’impossibilità di prevedere una durata minima inferiore al triennio garantito per legge. L’incertezza lessicale adoperata dal legislatore nella redazione dell’art. 2, comma 5, L. 431/98, pone luogo a contrasti dottrinali e giurisprudenziali che involgono la predetta materia locatizia, creando un apparente carenza di certezza, nell’ambito di un diritto, quale quello abitativo, che necessita di opportuna stabilità.

Il meccanismo legislativo prevede che al decorso del periodo minimo stabilito per la durata e quindi alla prima scadenza contrattuale, se le parti non si accordano sul rinnovo del contratto il medesimo è prorogato di diritto per due anni, fatta salva la facoltà di disdetta (motivata) da parte del locatore, ricorrendone i presupposti di cui all’art. 3 L. 431/98.

Per quanto interessa ai fini dell’oggetto di esame e critica della nota a sentenza in argomento, il comma quinto dell’art. 2 L. 431/98, prevede che al termine del periodo di proroga ed in assenza del rinnovo, quindi al termine del primo periodo contrattuale: “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.

Dall’esatta esegesi della ridetta terminologia, come adoperata dal legislatore derivano differenti conseguenze in ordine alla durata del contratto alla scadenza del periodo di proroga (rectius: al termine del biennio successivo alla scadenza dei tre anni), ossia se, cessato tale periodo, debba intendersi che la durata sia triennale o di tre anni più due ovvero di soli due anni; più precisamente dall’interpretazione delle parole: “rinnovo” e “medesime condizioni” discendono differenti conseguenze giuridiche.

A quanto ci consta, le opinioni della dottrina si dividono clamorosamente in ordine al significato del periodo di rinnovo del contratto, anche se appare maggiormente aderente al rispetto del tessuto normativo l’interpretazione data da autorevoli autori1 e secondo la quale: “la periodicità delle locazioni alternative sia sempre triennale”, operando la proroga solo per la prima scadenza ed in via eccezionale.

La questione in ordine alla durata del contratto di locazione a canone concordato al termine del periodo di proroga ed in assenza del rinnovo, alla data in cui scriviamo il presente contributo, ci risulta essere stata affrontata dalla giurisprudenza soltanto due volte - con soluzioni diametralmente opposte per casi assolutamente analoghi - rispettivamente dalla Curia piemontese2 e da quella felsinea3, oggetto della presente nota.

Il Tribunale di Torino ha risolto la questione, ritenendo con interessanti motivazioni giuridiche che si riportano per estratto come:

- al termine del biennio di proroga le parti possono attivare “la procedura per il rinnovo a nuove condizioni” o “la rinuncia al rinnovo del contratto”, vale a dire la disdetta dello stesso;

- in assenza di una delle due predette iniziative, che sono vincolate alla forma scritta [“lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza”], il contratto “è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni, vale a dire uguale” canone e durata pari a quella originariamente pattuita nella misura “non inferiore ai tre anni”

.

Le argomentazioni della Curia piemontese fanno principalmente leva sulla necessità di garantire al conduttore un congruo periodo di durata iniziale del contratto - salvo le ipotesi eccezionali di diniego di rinnovo alla prima scadenza di cui all’articolo 3 L. 431/98. Superato tale iniziale periodo, la cui durata minima è predeterminata per legge in anni 3 per i contratti di cui trattasi, il contratto si rinno-Page 195va in base alla sua durata originaria, atteso che lo stesso comma 5° prevede esplicitamente che la proroga di diritto di due anni si verifica in ipotesi - letteralmente - alla “prima scadenza del contratto”. Ne deriva che il contratto concordato scade con il triennio, la sua durata è tre anni e solo alla prima scadenza si ha proroga di diritto biennale.

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