La successione mortis causa

AutoreStefano Ambrogio
Pagine377-388

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@1 Il fenomeno successorio

Dal punto di vista strettamente giuridico il termine successione sta ad indicare il subingresso di un soggetto (cd. avente causa o successore) nella posizione giuridica di un altro soggetto (cd. dante causa o autore). La successione è quindi un modo di acquisto a titolo derivativo di un rapporto giuridico.

Si ha perciò successione in un rapporto giuridico ogni qualvolta questo si trasferisce da un soggetto ad un altro, pur rimanendo identico nei suoi aspetti oggettivi. Si può avere successione nel credito, successione nel debito, successione nel contratto, successione nel possesso etc. In tutti questi casi, il rapporto giuridico rimane fermo e inalterato, mentre muta il suo titolare. Nell’ambito del più ampio fenomeno successorio si distingue tra:
successione tra vivi (o inter vivos), che si verifica quando il fenomeno successorio avviene tra due soggetti entrambi viventi, come normalmente accade nella maggioranza dei rapporti successori a titolo particolare;
successione a causa di morte (o mortis causa), che si verifica quando il fenomeno successorio è determinato dalla morte del titolare del rapporto e in cui l’evento della morte costituisce la causa, il presupposto essenziale e caratterizzante della successione stessa. Tale tipo di successione si attua tra il defunto, detto de cuius, ed un successore, il quale, come vedremo, può assumere la veste di erede o di legatario.

Si distingue ancora tra:
successione a titolo particolare, che si verifica quando si succede solo in determinati rapporti giuridici. Si ha, ad esempio, successione a titolo particolare nel caso di vendita di un bene (in questo caso si ha successione nel rapporto giuridico di proprietà);
successione a titolo universale, che si verifica quando si succede in una pluralità di rapporti giuridici attivi e passivi, ossia in una situazione giuridica patrimoniale. Quest’ultima si verifica nell’ambito delle successioni mortis causa.

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Si discute in dottrina se sia configurabile nel nostro ordinamento giuridico una successione universale tra vivi.

La dottrina (Capozzi, oppo, Graziani) e la giurisprudenza prevalenti (Cass. S.u. n. 1104/1969, Cass. n. 9349/1997) ritengono che un tale tipo di successione sia configurabile solo nel caso di fusione tra società regolata dall’art. 2504bis c.c., fenomeno a seguito del quale la società che risulta dalla fusione o quella incorporante assume i diritti e gli obblighi della società estinta.

In tutti gli altri casi (come ad esempio nell’ipotesi di estinzione delle persone giuridiche) non si ha una vera e propria successione a titolo universale, ma solo una successione in una molteplicità di rapporti giuridici attivi.

@2 La successione mortis causa

Come abbiamo visto, si ha successione mortis causa quando si succede in una situazione giuridica patrimoniale appartenente ad una persona defunta.

La successione mortis causa si fonda su esigenze di carattere economico, politico e sociale: essa è, infatti, storicamente prevista per assicurare la continuità dei rapporti giuridici del defunto e garantire in questo modo la certezza del diritto. Per impedire che i beni del de cuius diventino res nullius o ancora per evitare l’estinzione di rapporti giuridici che al de cuius face-vano capo (quali quelli obbligatori) - situazioni che potrebbero portare a gravissime conseguenze per l’economia e l’ordine sociale - è necessario che, alla morte di un soggetto, qualcuno subentri nei rapporti giuridici attivi e passivi dei quali lo stesso era titolare. A questa esigenza rispondono le norme sulle successioni ereditarie, basate, sin dai Romani, proprio sul principio fondamentale secondo il quale, con la morte, i diritti patrimoniali del defunto non si estinguono ma si trasmettono ad altri soggetti.

ogni epoca e ogni società ha avuto forme di succes sione a causa di morte diversamente regolate. In sintesi i modelli che nel tempo si sono affermati sono due:
quello di diritto romano, nel quale si dà prevalenza alla volontà del testatore, che può disporre liberamente dei suoi beni e di altri rapporti per il periodo successi
vo alla sua morte; - quello di diritto germanico, nel quale prevale il vincolo di sangue e familiare, che limita di fatto la libertà del testatore privilegiando, nella scelta dei successori, i familiari.

Il riconoscimento del fenomeno successorio mortis causa si ritrova anche nel dettato costituzionale come risulta dall’art. 42 della Costituzione, in base al quale "la legge stabilisce le norme ed i limiti della successione le
gittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità
". La Costituzione dispone con ciò una riserva di legge (ordinaria) in materia di successioni e, nello stesso

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tempo, garantisce an
che l’esistenza dell’istituto delle successioni. Inoltre, la

Co stituzione ammette che lo Stato possa operare prelievi sulle eredità, con l’imposizio ne fiscale, o si renda destinatario dei beni eredita ri (vedi Cap. 34).

Le disposizioni che regolano il fenomeno successorio sono contenute nel Libro II del codice civile e le linee di fondo di tale disciplina sono le seguenti:
a ciascun individuo è attribuito il potere di decidere - attraverso un apposito atto giuridico definito testamento - la sorte dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere e di individuare quali soggetti dovranno succedergli. È questa la successione testamentaria, che trova la propria fonte, appunto, nel testamento;
non è possibile disporre liberamente di tutti i propri beni. La legge, infatti, da un lato tutela l’autonomia privata (e quindi, come abbiamo visto, permette a ciascuno di decidere a chi dovranno essere attribuiti i propri beni), ma dall’altro tutela le esigenze del gruppo familiare, individuando alcuni parenti del defunto ai quali deve essere devoluta una parte del patrimonio ereditario. Tali soggetti sono definiti legittimari e la quota a essi riservata è definita quota di riserva o indisponibile;
nell’ipotesi in cui un soggetto muoia senza lasciare testamento, la legge interviene a individuare a chi deve essere attribuito il patrimonio del defunto. La successione, in questo caso, è definita legittima, in quanto è regolata solo dalla legge.

Fonti della successione mortis causa sono, ai sensi dell’art. 457 c.c., la legge (vedi Cap. 34) o il testamento (vedi Cap. 35).

@3 L’eredità e i legati

Se normalmente la successione a causa di morte è una successione a titolo universale, non è escluso che essa possa realizzare anche una successione a titolo particolare. In questo senso si distingue tra eredità e legato (art. 588 c.c.).

Si ha eredità quando un soggetto subentra nell’intero patrimonio del defunto oppure in una sua quota. In questo caso, l’oggetto della successione è detto appunto eredità e il soggetto che subentra al defunto è qualificato erede. Secondo la dottrina quasi unanime l’eredità è un tipico esempio di universalità di diritto e, in quanto tale, la vendita di eredità è soggetta ad una disciplina specifica (artt. 1532 e ss. c.c.).

Si ha legato quando un soggetto subentra in uno o più rapporti...

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