Stato di ubriachezza e invalidità del consenso al rapporto sessuale: tutto bene così?

AutorePietro Dubolino
Pagine24-25
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giur giur
Rivista penale 10/2018
LEGITTIMITÀ
tamente perseguita, di un rapporto sessuale, renderebbe,
di per sé, applicabile il disposto di cui al primo comma
dell’art. 609 bis c.p., sotto il prof‌ilo, a seconda degli svilup-
pi, o del tentativo o del reato consumato.
Va infatti anzitutto osservato, a sostegno del dissenso
qui espresso al surriferito orientamento giurisprudenziale,
che l’ubriachezza, secondo nozioni di comune esperien-
za, almeno f‌ino a quando non raggiunga un livello tale da
comportare la totale perdita di coscienza (nel qual caso,
ovviamente, non può più aver luogo alcuna manifestazione
di volontà, valida o invalida che essa possa considerarsi),
produce, come suo effetto tipico, essenzialmente una per-
dita, più o meno accentuata, dei freni inibitori dai quali il
soggetto, in condizioni di sobrietà, si sente normalmente
condizionato. Non a caso, ad esempio, è stata “ab immemo-
rabili” coniata l’espressione “in vino veritas”, basata appun-
to sul presupposto che proprio dall’allentamento dei freni
inibitori a seguito dell’assunzione di bevande alcoliche ta-
luno possa facilmente sentirsi indotto a rivelare, peraltro in
piena consapevolezza, fatti e opinioni che, per le più varie
ragioni, poteva aver avuto interesse, in stato di sobrietà, a
non rivelare. I freni inibitori, però, ivi compresi quelli at-
tinenti alla sfera sessuale, sono quelli propri di ciascun
individuo, per cui, quando essi si allentano a causa della
volontaria assunzione di eccessive quantità di bevande al-
coliche (o anche di sostanze stupefacenti), non può, solo
per questo, dirsi che il soggetto si ponga in condizioni di
inferiorità rispetto ad altri né che tali condizioni debbano
essere da questi ultimi riconosciute. Al che potrebbe certo
obiettarsi che lo stato di ubriachezza comporta, di norma,
anche una perdita della lucidità e della capacità razioci-
nante del soggetto, sì da mettere quest’ultimo, almeno sotto
questo prof‌ilo, in condizione di effettiva inferiorità rispetto
a colui con il quale egli venga a contatto e che abbia invece
conservate integre quelle facoltà. Ciò è sicuramente vero,
ma non sembra che se ne possa trarre valido argomento a
sostegno della tesi qui avversata, ove si consideri che il pre-
starsi ad un rapporto sessuale non è generalmente frutto
di una scelta razionale basata su di una gelida e asettica
comparazione fra elementi a favore ed elementi contro, ma
(salvo che nei casi di rapporti mercenari o comunque f‌i-
nalizzati al perseguimento di interessi diversi e prevalenti
rispetto al soddisfacimento della “libido”), è invece frutto di
pulsioni erotiche l’intensità delle quali e la propensione ad
aderirvi dipendono appunto, in misura determinante, dalla
qualità e dal grado di operatività dei freni inibitori di cui
ciascuno dei “partners” è, per sua natura, dotato.
D’altra parte, l’annoverare (come fa la Cassazione)
“sic et simpliciter” l’ubriachezza tra le condizioni di “in-
feriorità f‌isica o psichica” previste dall’art. 609 bis. comma
2, n. 1, c.p., porta a conseguenze che sarebbe eufemistico
def‌inire paradossali.
Basti pensare, ad esempio, che, postulandosi la tota-
le invalidità, “a priori”, del consenso al rapporto sessuale
espresso da un soggetto in stato di ubriachezza con con-
seguente, automatica conf‌igurabilità del reato di violenza
sessuale a carico del “partner”, e non potendosi, d’altro
canto, prescindere dal disposto di cui all’art. 92, comma
1, c.p., secondo cui “l’ubriachezza non derivante da caso
fortuito o da forza maggiore non esclude né diminuisce
l’imputabilità”, dovrebbe necessariamente giungersi alla
conclusione che nel caso di rapporto sessuale consensuale
tra due soggetti entrambi in stato di ubriachezza ciascu-
no dei due dovrebbe rispondere di violenza sessuale nei
confronti dell’altro. L’imputabilità, infatti, coincide, come
è noto (art. 85, comma 2, c.p.) con la capacità di intende-
re e di volere e questa deve ritenersi quindi comprensiva,
almeno f‌ino a prova contraria, della capacità di ciascun
“partner” non solo di rendersi conto della propria azione
ma anche di rendersi conto delle condizioni, ivi compreso
lo stato di ubriachezza, in cui si trova l’altro. Ed ancora,
dovrebbe ad esempio rispondere di violenza sessuale la
prostituta che si prestasse ad un rapporto sessuale con
un cliente in stato di ubriachezza, non potendosi certo at-
tribuire rilevanza, una volta che il principio in questione
sia stato ritenuto valido, alla circostanza che il soggetto
in stato di ubriachezza sia un uomo o una donna ovvero a
quella che il rapporto sessuale sia stato sollecitato proprio
dal soggetto che si trovava in detto stato. Ed infatti, se non
è valido il consenso, neppure può essere ritenuta valida, ai
f‌ini della liceità del rapporto, la sollecitazione, derivando
anche questa, al pari del consenso, da una volontà che si
assume in partenza come viziata ed in presenza della qua-
le l’accoglimento della sollecitazione medesima dovrebbe
quindi ritenersi vietato.
Riesce diff‌icile pensare che così ovvie considerazioni
siano sfuggite all’attenzione dei giudici della Corte supre-
ma; ragion per cui - avuto anche riguardo al fatto che nella
totalità dei casi nei quali ha avuto modo di manifestarsi il
qui avversato orientamento giurisprudenziale il soggetto in
stato di ubriachezza era una donna, per ciò solo ritenuta
vittima di violenza sessuale ad opera di uno o più imputati
maschi - non sembra del tutto arbitrario avanzare il sospet-
to che l’affermarsi di detto orientamento sia stato in qual-
che modo anche il frutto della magari inavvertita inf‌luenza
esercitata dal diffuso clima culturale che, sull’onda di un
rabbioso e rancoroso femminismo (tanto più imperversan-
te sui “media” quanto meno, presumibilmente, condiviso
dalla maggioranza delle donne), vede nel maschio non il
“partner” ma il nemico naturale di ogni donna, da ritenersi,
quindi, responsabile di “stupro”, ogni qual volta la donna,
pur originariamente consenziente, abbia poi maturato, più
o meno in buona fede, il soggettivo e poi manifestato con-
vincimento di essere stata oggetto di violenza.
2. Resta, peraltro, a questo punto da osservare ancora
che, quand’anche volesse ammettersi l’equiparabilità tra
stato di ubriachezza e condizione di inferiorità, sarebbe
comunque ugualmente diff‌icile sostenere che il consenso
ad un rapporto sessuale (esplicito o anche manifestato
per “facta concludentia”) prestato da un soggetto che si
10/2018 Rivista penale
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45589 del 11 gennaio 2017 - dep. 4 ottobre 2017, P.M. in
proc. B, Rv. 27101701; vedi anche sez. III, n. 39800 del 21
giugno 2016 - dep. 26 settembre 2016, C, Rv. 26775701, e
già sez. III, n. 40565 del 19 aprile 2012 - dep. 16 ottobre
2012, D. N., Rv. 25366701).
Orbene le condizioni per esprimere un valido consenso
(la capacità) al rapporto sessuale prescindono dalla con-
dotta di cagionare l’incapacità o l’incoscienza - nel caso
l’ubriachezza -; anche l’incapacità derivante da una volon-
taria assunzione di alcol, deve valutarsi ai f‌ini della sussi-
stenza del consenso all’atto sessuale.
Sul punto della responsabilità quindi i ricorsi risultano
inammissibili, in quanto le condizioni della vittima, paci-
f‌iche, non consentivano un consenso ai rapporti sessuali,
come adeguatamente motivato, senza contraddizioni e
senza manifeste illogicità, nella decisione impugnata, con
motivazione peraltro esaustiva, rafforzata.
4. Può conseguentemente affermarsi il seguente prin-
cipio di diritto: «Integra il reato di violenza sessuale di
gruppo (art. 609 octies c.p.), con abuso delle condizioni
di inferiorità psichica o f‌isica, la condotta di coloro che
inducano la persona offesa a subire atti sessuali in uno
stato di infermità psichica determinato dall’assunzione di
bevande alcooliche, essendo l’aggressione all’altrui sfera
sessuale connotata da modalità insidiose e subdole, anche
se la parte offesa ha volontariamente assunto alcool e dro-
ghe, rilevando solo la sua condizione di inferiorità psichi-
ca o f‌isica seguente all’assunzione delle dette sostanze».
(Omissis)
7. Relativamente, invece, all’aggravante dell’art. 609
ter, comma 1, n. 2, c.p. si deve rilevare che l’assunzione
volontaria dell’alcol esclude la sussistenza dell’aggravan-
te, poiché la norma prevede l’uso di armi o di sostanze al-
coliche, narcotiche o stupefacenti (o di altri strumenti o
sostanze gravemente lesivi della salute della persona offe-
sa). L’uso delle sostanze alcoliche deve essere, quindi, ne-
cessariamente strumentale alla violenza sessuale, ovvero
deve essere il soggetto attivo del reato che usa l’alcol per
la violenza, somministrandolo alla vittima; invece l’uso vo-
lontario, incide sì, come visto, sulla valutazione del valido
consenso, ma non anche sulla sussistenza dell’aggravante.
È pur vero che l’aggravante è stata neutralizzata dal
giudizio di comparazione, per effetto della prevalenza
delle circostanze attenuanti generiche, ma la considera-
zione della stessa potrebbe aver inciso sulla pena f‌inale,
poiché la riduzione della pena per le circostanze atte-
nuanti generiche non è stata applicata nella massima
estensione. (Omissis)
STATO DI UBRIACHEZZA
E INVALIDITÀ DEL CONSENSO
AL RAPPORTO SESSUALE:
TUTTO BENE COSÌ?
di Pietro Dubolino
1. Chi si ostinasse, di questi tempi, a volere la moglie
ubriaca, nella speranza di trovarla così più disponibile ai
rapporti sessuali, dovrebbe rassegnarsi non solo a non ave-
re anche la botte piena, ma, alla stregua di quello che sem-
bra ormai il consolidato orientamento della Cassazione
(quale ultimamente confermato anche dalle due presenti
decisioni), anche ad essere, con ogni probabilità, incrimi-
nato e condannato per violenza sessuale, sostanzialmente
presunta, in applicazione dell’art. 609 bis, comma 2, n. 1,
c.p., secondo cui risponde di tale reato colui che “induca
taluno a compiere o subire atti sessuali”, quando lo faccia
“abusando delle condizioni di inferiorità f‌isica o psichica
della persona offesa al momento del fatto”.
È infatti ormai da tempo che la Cassazione è costante-
mente orientata a ritenere che lo stato di ubriachezza, pur
quando consegua ad una volontaria assunzione di bevande
alcoliche o droghe da parte del soggetto, rientri nel nove-
ro delle suddette condizioni di inferiorità (in particolare,
sotto il prof‌ilo psichico) e determini, di conseguenza, l’in-
validità del consenso che il medesimo soggetto abbia, per
avventura, manifestato al rapporto sessuale; consenso in
mancanza del quale verrebbe quindi necessariamente a
conf‌igurarsi, a carico del “partner”, il reato “de quo” (1).
Poiché, secondo un detto attribuito a quel maestro
dell’ironia e del paradosso che fu Eugène Jonesco, quando
un’opinione è comune a tutti, essa è quasi sicuramente
sbagliata, appare quindi il caso di esaminare criticamente
il suddetto orientamento, per verif‌icare se e quale possa
essere il suo fondamento chiedendosi, tanto per comin-
ciare, se possa veramente sostenersi che vi sia assoluta
equiparabilità fra stato di ubriachezza e condizione di
inferiorità, soprattutto psichica, del soggetto che versi in
detto stato.
Non sembra che la risposta possa essere positiva; e ciò
indipendentemente dalla circostanza che l’assunzione di
alcool o droga da parte di soggetto poi conseguentemente
ridottosi in stato di ubriachezza (o ad esso assimilabile),
sia stata frutto di una sua autonoma iniziativa ovvero di
adesione ad induzione o sollecitazione altrui, quale che
ne fosse la f‌inalità, sempre che a detta adesione egli non
sia dovuto addivenire a seguito di violenza o minaccia, po-
tendosi solo in tal caso sostenere che essa non sia ricon-
ducibile ad una sua libera autodeterminazione; ipotesi,
quest’ultima, nella quale, peraltro, lo stato di ubriachezza
verrebbe a perdere ogni autonoma rilevanza ai f‌ini della
conf‌igurabilità del reato, posto che l’impiego, a monte, di
violenza o minaccia con la f‌inalità, direttamente o indiret-

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