Lo stato di necessità

AutoreMaria Grazia Maglio/Fernando Giannelli
Pagine775-779

Page 775

Nei codici preunitari non veniva fatta menzione autonoma della scriminante dello stato di necessità, che fece la propria apparizione solo con il codice Zanardelli (Grosso).

L'art. 49, lº comma, n. 3, di quel codice recitava: «Non è punibile colui che ha commesso il fatto) per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo grave e imminente alla persona, al quale non aveva dato volontariamente causa e che non si poteva altrimenti evitare».

L'art. 34 del codice penale svizzero così dispone: «1º comma - Il fatto commesso per preservare da un pericolo imminente e non altrimenti evitabile un bene proprio, in modo particolare la vita, l'integrità personale, la libertà, l'onore, il patrimonio, non è punibile se il pericolo non è imputabile all'agente stesso e se, nelle circostanze del caso, non si può ragionevolmente pretendere che egli rinunci al bene minacciato».

2º comma - Se il pericolo è imputabile all'agente stesso o se, nelle circostanze del caso, si può ragionevolmente pretendere da lui la rinuncia al bene minacciato, il giudice attenua la pena secondo il suo libero apprezzamento

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3º comma - Il fatto commesso per preservare da un pericolo imminente e non altrimenti evitabile un bene altrui, in modo particolare la vita, l'integrità personale, la libertà, l'onore, il patrimonio, non è punibile. Se l'agente avesse (ma si deve dire: avrebbe) potuto ritenere ragionevole la rinuncia al bene minacciato da parte della persona esposta al pericolo, il giudice attenua la pena secondo il suo libero apprezzamento

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Il codice penale svizzero, quindi, conosce delle situazioni "gradate" di stato di necessità, in funzione attenuante, e non scriminante. L'art. 14 del codice penale russo del 1961 recitava («Estrema necessità»): «Non è reato quell'azione che, sebbene rivesta i caratteri d'un fatto previsto dalla parte speciale del presente Codice, risulti compiuta in istato di estrema necessità. E cioè risulti compiuta per eliminare il pericolo d'un danno agli interessi dello Stato sovietico, della collettività sociale, della persona, ovvero il pericolo d'una lesione dei diritti propri o di altri cittadini, sempre che non era (ma si dice: fosse) possibile, date le circostanze, eliminare tale pericolo con altri mezzi, e se il danno arrecato sia meno grave di quello evitato».

Il n. 4 del canone 1323 del codice di diritto canonico dispone che (non è passibile di alcuna pena chi, quando violò la legge o il precetto) «agì costretto da timore grave, anche se solo relativamente tale, o per necessità o per grave incomodo, a meno che tuttavia l'atto non fosse intrinsecamente cattivo o tornasse a danno delle anime».

L'art. 54 c.p. così recita: («Stato di necessità») «Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.

La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è determinato dall'altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi l'ha costretta a commetterlo».

Lo stato di necessità è preveduto, jure civili, dall'art. 2045 c.c.; compare fra le cause di esclusione della responsabilità contemplate dall'art. 4 L. 24 novembre 1981, n. 689, per quanto riguarda le violazioni, e le sanzioni amministrative.

Molte discussioni si agitano intorno alla natura (oggettiva o soggettiva?) dello stato di necessità.

Coloro che difendono a spada tratta la tesi della natura soggettiva lo fanno in nome di un preteso ingresso dommatico, nel nostro diritto penale, della categoria dell'inesigibilità.

Ora, la dottrina dominante (per tutti: ANTOLISEI) vede nell'inesigibilità un carattere comune a tutte le cause di giustificazione, ma secondo le caselle delle dottrine morali, e, comunque, di scienze diverse dal diritto penale.

Quando, poi, seguendo il filone dell'inesigibilità (FORNASARI), si crede di fondare la prova del nove in una sorta di endiade affasciante la causa di giustificazione di cui trattiamo e quella di cui all'art. 384 1º comma c.p. (che, secondo noi, è di carattere personale), trattata come un'ipotesi speciale dello stato di necessità (è il discorso, anche, di molta giurisprudenza), si cade in errore, poiché il pericolo deriverebbe, ex art. 384 c.p., dallo Stato; manca, nella pretesa ipotesi speciale, il requisito della causazione involontaria del pericolo, né è richiesta proporzione alcuna.

Nel senso del carattere soggettivo dello stato di necessità sono anche altri valenti autori (MUSOTTO, DOLCE, SANTAMARIA, DELITALA, PAGLIARO).

Preferiamo aderire alla tesi tradizionale, tuttora dominante, del carattere oggettivo dello stato di necessità (ANTOLISEI, AZZALI, BETTIOL, CONTIERI, GROSSO, MANZINI, MOLARI, PANNAIN).

Le ragioni sono di stretto diritto positivo.

Una prima ragione è d'ordine sistematico: lo stato di necessità sarebbe l'unica causa di giustificazione soggettiva situata fra le oggettive, a un passo dall'art. 55 c.p., che si interessa dell'eccesso colposo, che, di più, riferito, com'è ovvio, alle sole cause oggettive, richiama espressamente la necessità, e, se qualcuno nutrisse ancora dubbi - la necessità potrebbe riguardare il solo art. 52 c.p. - richiama espressamente l'art. 54 c.p. Del resto, già l'art. 50 del codice Zanardelli, nel disciplinare l'eccesso colposo, richiamava le circostanze trattate nell'articolo precedente senza distinzioni di sorta, e nell'articolo precedente era disciplinato, anche, lo stato di necessità.

Altra ragione di diritto positivo è egregiamente indicata dal GROSSO nel disposto dell'art. 59, 1º comma c.p. (rilevanza oggettiva delle cause di giustificazione), applicabile senza dubbio anche allo stato di necessità (si pensi a colui che rubi del cioccolato, e ne mangi, ignorando di esser stato colto da una preoccupante crisi ipoglicemica). E bene notano, la COLOMBO ed il PARISI, che la riforma attuata con legge 7 febbraio 1990, n. 19, all'art. 1, ha soppresso la riserva «salvo che la legge disponga altrimenti».

Osiamo credere che le suesposte argomentazioni permettano di ritenere inaccoglibili, nel nostro sistema positivo, la tesi del MEZGER, recepita, in Italia, dal FIORE e...

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