Libertà di stampa e sequestro

AutoreMaura Pirillo
Pagine697-711

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@1. La libertà di stampa

@@1.1. Il riconoscimento della libertà di stampa negli ordinamenti statali occidentali e nel diritto internazionale

Il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, benché costituisca un valore dalle antiche radici, ha ottenuto solo in tempi relativamente recenti la sua consacrazione giuridica 1, poiché è con le due grandi rivoluzioni occorse in America e in Francia alla fine del settecento che iniziano a delinearsi rispettivamente i due modelli di tutela della libertà di stampa: il modello americano, di impronta giusnaturalistica, da un lato 2 e il modello francese, rigorosamente positivista, dall’altro lato 3.

A quest’ultimo si ispirano le Costituzioni liberali europee dell’ottocento, tra cui lo Statuto Albertino, pur apportando ognuna di esse al diritto di espressione limiti differenti a seconda della cultura e delle tradizioni giuridiche proprie di ciascun Paese.

Invero, il costituzionalismo liberale esalta il carattere individualistico della libertà di manifestazione del pensiero, qualificandola come libertà «negativa», che garantisce la sfera di autonomia del singolo, preoccupandosi in primis di evitare inter- ferenze da parte dei pubblici poteri 4. Con l’evoluzione della forma di stato in senso democratico, tale concezione permane e si rafforza nelle carte costituzionali del novecento, ma si assiste altresì ad un processo di espansione e di rielaborazione del diritto di espressione per coniugarlo con i nuovi fini che l’ordinamento si prefigge. Accanto alla visione individualsitica emerge la dimensione partecipativa e democratica di siffatta libertà e, quindi, si inizia ad avvertire la necessità di un processo continuo di informazione e formazione dell’opinione pubblica. Ne consegue che lo Stato democratico-sociale as- solve ad un nuovo compito, essendo chiamato a garantire, intervenendo anche positivamente, l’interesse pubblico alla diffusione più ampia delle notizie ed opinioni 5.

Successivamente, nel XX secolo, la libertà in esame viene consacrata a livello internazionale, rientrando nella rosa dei diritti universalmente riconosciuti, almeno a livello di droit international coutumier.

L’art. 19 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1948, recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione (...)».

A tale dichiarazione viene riconosciuta efficacia vincolante, tanto che gli Stati che adottano condotte in contrasto con i principi ivi sanciti, invocano sempre la scriminante delle condizioni di urgenza o di necessità, accettando implicitamente la validità del trattato.

E ancora, l’art. 19 del Patto sui diritti civili e politici del 1966, contempla espressamente la libertà di stampa, pur prevedendo la possibilità che il suo esercizio sia «sottoposto a talune restrizioni che, però, devono essere espressamente stabilite dalla legge ed essere necessarie: a) al rispetto dei diritti o della reputazione altrui; b) alla salvaguardia della sicurezza nazionale, dell’ordine pubblico, della sanità o della morale pubbliche».

A livello regionale la libertà di espressione viene affermata solennemente nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, elaborata dal Consiglio d’Europa e firmata a Roma nel 1950, il cui art. 10 ammette in ogni caso che la stessa possa essere sottoposta dalla legge a «formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni» per la tutela di altri valori fondamentali della società democratica. E, infine, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, approvata a Nizza nel 2000, all’art. 11 proclama il rispetto della libertà dei media ed il loro pluralismo.

Si comprende, dunque, come il riconoscimento o la negazione di tale diritto in un dato ordinamento e, altresì, la natura e la quantità dei limiti eventual- mente imposti al suo esercizio, rappresentino chiariPage 698indici rivelatori del carattere più o meno liberale, o più o meno democratico di uno Stato, nonché dello stadio del progresso da questo raggiunto.

@@1.2. La libertà di stampa in Italia: nascita ed evoluzione storica

In Italia, l’art. 28 dello Statuto Albertino del 1948, che non contempla espressamente la libertà di manifestazione del pensiero, bensì solo quella di stampa, s’ispira al modello di tutela francese, rigorosamente positivista, che si fonda su tre pilastri: la libertà di parola, il divieto di censura e la previsione della duplice riserva, di legge e di giurisdizione, per l’individuazione dei limiti all’esercizio della libertà di stampa. Infatti, il citato articolo accoglie formalmente i principi della riserva di legge e del divieto di interventi pubblici di carattere preventivo (slavo per gli scritti religiosi), consentendo unicamente la possibilità di reprimere ex post i casi di abuso, legislativamente previsti, attraverso l’istituto del sequestro 6.

Sennonché, pur rappresentando la costituzionalizzazione di questo modello di tutela della libertà di stampa una svolta di straordinaria importanza, la disposizione contenuta nell’art. 28, nonché l’intero impianto statutario, manifestano ben presto la propria intrinseca debolezza, dovuta sia alla limitatezza della previsione normativa (appunto relativa alla sola libertà di stampa), sia al carattere flessibile dello Statuto, connesso all’assenza di qualunque sistema di controllo della legittimità costituzionale delle leggi.

In questo contesto s’inquadra il primo fondamentale intervento normativo in materia, il regio editto sulla stampa (R.D. n. 695 del 26 marzo 1848) che, nel rispetto dei principi fissati dallo Statuto Albertino, affronta tutti i profili principali della disciplina della libertà di stampa 7.

In particolare, quanto all’istituto del sequestro di stampati, l’art. 52 del decreto attribuisce esclusivamente all’autorità giudiziaria, sebbene dotata di ampia discrezionalità, il potere di disporre il sequestro di tutti «gli esemplari degli oggetti contrari alle disposizioni in esso contenute» per i quali sia attivato un procedimento penale. Vengono così imposti dei limiti, seppur esigui, al potere della pubblica auto- rità di incidere negativamente sull’esercizio di tale fondamentale libertà, prevedendo una riserva di giurisdizione in materia, nonché richiedendo come condizione indefettibile della legittimità dell’intervento ablatorio la pendenza di un procedimento penale.

Tuttavia, l’iniziale atteggiamento di favore nei riguardi del diritto di espressione viene ben presto meno poiché, nel clima delle forti tensioni politiche e sociali che caratterizzano la fine dell’ottocento, da un lato si afferma una prassi applicativa dell’editto tendente ad utilizzare lo strumento del sequestro indipendentemente dall’accertamento di eventuali responsabilità penali; dall’altro lato, vengono emanate le c.d. leggi di polizia, statuenti forme di sequestro preventivo degli stampati affidati alle autorità di pubblica sicurezza, legittimate ad intervenire direttamente con il solo obbligo di trasmettere il relativo fascicolo all’autorità giudiziaria per l’avvio del procedimento penale a carico degli autori della pubblicazione.

Tale svolta in senso illiberale, attenuatasi solo durante la breve parentesi democratica del periodo Giolittiano 8, diviene ancora più radicale durante il regime fascista 9, allorquando lo stretto collegamento funzionale tra le attività di comunicazione sociale e l’assetto degli equilibri politici, viene letto non in chiave di libertà e partecipazione popolare, bensì di difesa e di rafforzamento del potere costituito 10, culminando nell’emanazione del decreto legge 10 luglio 1924 n. 1081, convertito nella legge 31 dicembre 1925 n. 309, e del regio decreto 18 giugno 1931 n. 773, che disattendono apertamente la garanzia statutaria della riserva di giurisdizione.

Solo dopo la caduta del regime fascista muta in senso favorevole l’atteggiamento nei confronti della stampa, restituendo ad essa la dimensione di diritto di libertà. Dinnanzi ad un confuso quadro normativo presentatosi all’indomani del referendum istituzionale, il dibattito in assemblea costituente appare chiaramente ispirato all’intento di ripristinare una disciplina di stampo liberale, peraltro in un mutato quadro complessivo arricchito di nuove garanzie, quali la rigidità della Costituzione e la previsione di un controllo di legittimità delle leggi. In effetti, dai relativi lavori preparatori emergono, da un lato, la esigenza di tutelare i destinatari dell’informazione degli effetti pregiudizievoli derivanti da un uso improprio dei mezzi di diffusione, dall’altro, la preoccupazione di non consentire più pericolose forme di controllo come quelle introdotte dal regime fascista, unita alla generale preferenza per un ruolo astensionista dello Stato nel settore dell’informazione 11.

Le differenti esperienze ideologiche e culturali presenti in seno all’assemblea giungono ad un compromesso che da vita, nella Parte I della Costituzione, dedicata ai diritti e doveri dei cittadini, nel Titolo I relativo ai rapporti civili, all’art. 21, in cui si riconosce a chiunque la libertà di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo, pur prevedendo la possibilità, a determinate condizioni, di sottoporne l’esercizio a limitazioni necessarie per la tutela di confliggenti situazioni giuridiche di pari rilevanza costituzionale.

@@1.3. La libertà di stampa nel quadro dei principi sanciti dalla Corte costituzionale

La libertà sancita dall’art. 21 Cost. rientra, come tutte le altre libertà fondamentali previste dagli artt. 13 ss., tra i diritti soggettivi inviolabili riconosciuti e garantiti dalla Repubblica italiana (art. 2), come tali non suscettibili di essere modificati nel loro contenuto essenziale, neanche attraverso il procedimento di revisione costituzionale.

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Invero, la libertà di espressione viene proclamata e disciplinata nella Carta costituzionale sotto due diversi aspetti: come libertà «della...

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