Stalking condominiale: riconoscimento giuridico e tutela cautelare in ambito amministrativo e penale

AutoreCarmelo Minnella
Pagine749-761
749
dott
Rivista penale 7-8/2013
DOTTRINA
STALKING CONDOMINIALE:
RICONOSCIMENTO GIURIDICO
E TUTELA CAUTELARE
IN AMBITO AMMINISTRATIVO
E PENALE
di Carmelo Minnella
SOMMARIO
1. Premessa: def‌icit di determinatezza del delitto di atti
persecutori. 2. Il riconoscimento della Suprema Corte dello
stalking condominiale. 3. L’ammonimento del Questore quale
misura amministrativa attivabile prima di percorrere il bina-
rio penale. 4. La “fondatezza” dell’istanza di ammonimento e
la sua piattaforma probatoria. 5. Il procedimento di ammoni-
mento dinanzi al Questore: a) comunicazione di avvio del pro-
cedimento all’accusato di stalking. 5.1. Segue: b) possibilità
di sentire personalmente l’accusato di stalking. 5.2. Segue: c)
i poteri di indagine del Questore e obbligo di motivazione del
provvedimento di ammonimento. 6. Le misure cautelari per
allontanare lo stalker dal condominio: a) l’allontanamento
dalla casa familiare. 6.1. Segue: b) il divieto di avvicinamento
ai condomini e suoi problemi applicativi nel caso di stalking
condominiale.
1. Premessa: def‌icit di determinatezza del delitto di atti
persecutori
Il delitto di atti persecutori (612-bis c.p.), introdotto
dall’art. 7 del decreto legge 23 febbraio 2009 n. 11 (con-
vertito inlegge 23 aprile 2009 n. 38) (1), punisce «chiun-
que, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in
modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia
o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per
l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di una
persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero
da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di
vita» (2).
La non tassativa formulazione degli elementi costitu-
tivi della fattispecie incriminatrice aff‌ida al Giudice l’in-
grato compito di tracciare il perimetro applicativo dell’art.
612-bis c.p.. Questi si dovrà muovere all’interno di una di-
screzionalità molto ampia lasciatagli dal legislatore che ha
previsto una ipotesi di reato non suff‌icientemente deter-
minata e in alcuni tratti al limite di una possibile lesione
del principio di legalità di cui all’art. 25 Cost. sul corollario
del nullum crimen, nulla poena sine lege certa.
Nella descrizione del delitto di atti persecutori, sia la
condotta che gli eventi presentano notevole def‌icit di tas-
satività in quanto, lungi dal connotarsi in senso naturalisti-
co, risultano «soggettivizzati» concernendo gli effetti sulla
salute della vittima provocati dalle condotte incriminate,
con conseguente diff‌icoltà per il giudice di determinare il
risultato fenomenologicamente separabile dall’azione e a
questa legata in base ad un nesso di causalità (3).
La diff‌icoltà di accertare gli eventi lesivi degli atti per-
secutori ha notevoli rif‌lessi sul piano dell’elemento sog-
gettivo del reato. Se, infatti, la Suprema Corte, def‌inisce il
dolo generico del delitto de quo come il «rappresentarsi gli
effetti psicologici concretamente realizzati» (4), diviene
diff‌icile all’agente individuare il verif‌icarsi di un evento
non suff‌icientemente determinato dal legislatore.
L’incertezza nella verif‌ica processuale degli eventi
alternativi previsti nella norma incriminatrice comporta
che l’accertamento dell’evento lesivo venga riferito alla
«reiterazione» degli atti di molestia o minaccia e delle mo-
dalità di realizzazione delle condotte persecutorie. Infatti,
in assenza dei criteri oggettivi capaci di determinare gli
eventi conseguenza degli atti di stalking, la dimostrazione
della verif‌icazione dell’evento viene legata alla ripetizione
e alle modalità delle condotte che si succedono nel tempo.
La «reiterazione», ossia la necessità di realizzazione di
una pluralità di comportamenti tipici, diventa l’elemento
centrale per delimitare il fatto e l’evento lesivo.
Invero, il requisito della reiterazione degli atti di mo-
lestia o minaccia dovrebbe essere ricostruito alla luce
degli eventi tipici che la norma richiede in relazione ai
quali gli atti di aggressione devono presentare un grado
di invasività nella vita della vittima da determinare uno
stravolgimento psichico e della organizzazione della quo-
tidianità, «compatibile solo con condotte caratterizzate
da costanza, permanenza, imponenza tali da costituire un
vero e proprio impedimento alle sue normali abitudini di
vita» (5). Invece, per per la Suprema Corte anche due soli
episodi di minaccia o molestia possono integrare il reato
di atti persecutori previsto dall’art. 612-bis c.p., se abbia-
no indotto un perdurante stato di ansia o di paura nella
vittima, che si sia vista costretta a modif‌icare le proprie
abitudini di vita (6). Detta conclusione lascia perplessi in
quanto sembra diff‌icile che con due soli atti di minaccia o
molestia si possa arrivare a tali conseguenze, con il conse-
guente rischio di ampliare eccessivamente l’area del pe-
nalmente rilevante degli atti persecutori, anticipandone
la soglia della punibilità prima dell’effettiva realizzazione
dell’evento.
L’importanza del principio costituzionale di tassatività
e determinatezza della fattispecie penale è stata ribadita
dalla Corte costituzionale nella storica sentenza 24 marzo
1988 n. 364 che ha sancito il ruolo fondamentale del prin-
cipio di colpevolezza nel diritto penale. Nella rilettura dei
principi costituzionali che presiedono alla materia penale,
il giudice delle leggi si è soffermato anche sul principio
di determinatezza, ancorando il principio di colpevolezza
all’effettiva possibilità di conoscere la legge penale, che
costituisce necessario presupposto della rimproverabilità
dell’agente. Di conseguenza, si è statuito l’obbligo per il
legislatore di formulare «norme precise, chiare, contenen-
ti riconoscibili direttive di comportamento» (7) in modo

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