Spunti attuali in tema di usura

AutoreAlberto Macchia
Pagine454-458
454
dott
5/2014 Rivista penale
DOTTRINA
SPUNTI ATTUALI
IN TEMA DI USURA
di Alberto Macchia
Fenomeno antichissimo, ma per molti secoli sostan-
zialmente n egletto sul pia no della tutela penale, l’usura
ha ricevuto le stimmate di delitto grave soltanto in epoca
assai recente. Quasi ignorato nelle codif‌icazioni preuni-
tarie e assente nel codice Zanardelli de l 1889, ispirato al
principio economico libe rista dell’autonomia negoziale
delle p arti e della libertà di contrattazione , il d elitto di
usura si affaccia “a passi felpati” nel codice Rocco del
1930, con una formulazione che prevedeva limiti edittali
decisamente contenuti, essend o stabilita la reclusione
nel massimo f‌ino a due anni. Sotto il fuoco dell’attenzione
del legislatore del codice cadeva, essenzialmente, il di-
svalore morale – come si legge nei lavori preparatori del
codice Rocco – di una attività approf‌ittatrice dei bisogni,
delle inesperienze e dei vizi altrui, facendo dunque scat-
tare l’esigenz a di una tutela di soggetti deboli, di fronte
a quello che appariva essere una “grave forma di paras-
sitismo sociale”.
Questo spiega l’inquadramento e la originaria strut-
tura del reato, f‌iglia, come è ovvio, della particolare – e
ormai datata – conf‌igurazione econo mico-sociale di quel
fenomeno negli anni in cui il codice vide la luce. Nel te-
sto originario, infatti, l’art. 644 del codice penale puniva
la condotta di chi, fuori dei casi preveduti dall’art. 643
in tema di cir convenzione di incapaci, approf‌ittando
dello stato di bisogno di una persona, si facesse dare o
promettere, sotto quals iasi forma, per sé o per altri, in
corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra cosa
mobile, interessi o altri vantaggi usurari. Il nucleo quali-
f‌icante della fattispecie ruotava, dunque, attorno all’«ap-
prof‌ittamento dello stato di bisogno», chiarendo in ciò la
ragione della clausola di sussidiarietà – allora con ragio-
ne, ora assai meno, e con effetti dogmaticamente as surdi
– con cui la norma esordiva, e che tendeva a disting uere
l’usura dalla circon venzione di incapaci, strutturalmente
f‌initima. Dunque, l’elemento comune tra le due f‌igure,
rappresentato dall’approf‌ittamento delle condizioni di
diminuita c apacità di autod eterminazione della persona
offesa, si specif‌icava nelle modalità attuative della inge-
renza approf‌ittatrice, giacché nel delitto di cui all’art. 644
c.p. essa era rappresentata dalla dazione o dalla promes-
sa di interessi “usurari”.
È evidente che il sistema può tollerare, per la descri-
zione della fattispecie, formule elastiche che si fondino
anche su nozioni di comune esperienza; ma nel caso del-
l’usura, il testo originario del codice (sopravvissuto per
molti anni all’avvento della Costituzione) si poneva dav-
vero agli estremi conf‌ini di compatibilità con il principio
di tassatività, dal momento che, limitandosi la norma a
richiedere tautologicamente che gli interessi fossero usu-
rari, f‌iniva per delegare al giudice del merito il compito di
determinare, caso per caso, quando gli interessi assumes-
sero quella connotazione, posto che non poteva certo evo-
carsi la misura degli interessi legali, stabilita, all’epoca in
misura f‌issa, dal codice civile.
Allo stesso modo, era rimesso al giudice il non agevole
compito di “qualif‌icare” ed accertare lo stato di bisogno,
verif‌icando se tale condizione fosse o meno in grado di
incidere sulle libertà di scelta dell’usurato. Incertezze,
quelle segnalate, che f‌inivano per inf‌luire anche sul terre-
no del diritto civile – una volta tanto tributario di aspetti
def‌initori tratti dal diritto penale – posto che il secondo
comma dell’art. 1815 del codice civile, nello stabilire la
nullità della relativa clausola, si limitava a richiamare,
appunto, la nozione di “interessi usurari”.
Le cose cominciano a cambiare nel 1992. Dopo i tragici
eventi di Capaci, infatti, viene introdotto un articolato
“pacchetto” antimaf‌ia col D.L. n. 306 del 1992 e, in sede di
conversione, viene sensibilmente aumentata la pena del
delitto di usura (si stabilisce, infatti, la reclusione da uno
a cinque anni e la multa da sei a trenta milioni) e coniata
una nuova f‌igura di usura impropria, nella quale si intro-
duce la previsione dell’approf‌ittamento delle condizioni di
diff‌icoltà economica o f‌inanziaria di chi svolga attività im-
prenditoriale o professionale. Figura sussidiaria, quindi,
rispetto a quella “base,” e destinata ad operare nei settori
più frequentemente “attratti” nella sfera del fenomeno
usurario.
L’usura comincia ad assumere, dunque, sembianze nuo-
ve. Da fenomeno deprecabile, ma circoscritto entro conf‌ini
di tutela squisitamente individuale, il “mondo” dell’usura
comincia ad assumere dimensioni di interesse “collettivo”,
vuoi sul versante economico-f‌inanziario, quale realtà su-
scettibile di generare turbamenti in ordine agli assetti
dei mercati f‌inanziari – e dunque, anche sul versante
della tutela dell’economia e del risparmio (sempre più
frequentemente si rinviene, accanto alla contestazione
della usura, quella dell’esercizio abusivo del credito) –
vuoi (soprattutto) sul piano della criminalità organizzata,
che ormai aveva preso il controllo di vasti settori di quello
specif‌ico mercato (a Roma, già negli anni ottanta, erano
presenti organizzazioni criminali potentissime, dedite,
appunto, all’usura ad alti livelli); e ciò, non soltanto per i
consistenti utili che se ne potevano trarre, ma anche quale
veicolo privilegiato di riciclaggio.
Con la legge 108 del 1996, l’usura assume la sua con-
f‌igurazione def‌initiva e più “matura”, rendendo ormai del
tutto inattuale (e quindi profondamente “dannosa” sul
piano della coerenza sistematica) quella clausola di “spe-
cialità” rispetto al reato di circonvenzione di incapaci, con
cui l’art. 644 c.p., continua ad esordire.
La ratio della novella è sottolineata dalla Corte costi-
tuzionale nella sentenza n. 29 del 2002, ove, richiamando

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