La sponsorizzazione di eventi sportivi tra clausole di esclusiva e tutela della concorrenza

AutoreRanieri Bianchi
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@1. La tipicità sociale della sponsorizzazione di attività sportive

I contratti di sponsorizzazione costituiscono oggi un fenomeno essenzialmente sportivo, capace di contribuire in misura determinante al finanziamento di questo settore, soprattutto ai livelli più alti, che inevitabilmente esercitano maggiore forza attrattiva sul pubblico1.

La diffusione ed il successo raggiunti da questi accordi nell’arco di circa venti anni sono sicuramente imputabili anche alla particolare versatilità del modello contrattuale, applicabile tanto a singoli atleti quanto a squadre, a federazioni o a specifici eventi2.

Tali fattispecie nel loro complesso possono essere fatte rientrare nel più ampio genus dei contratti di pubblicità, intesi come «qualunque comportamento concretamente idoneo ad ingenerare o accrescere la propensione al consumo»3, pur caratterizzandosi in considerazione del fatto che il messaggio pubblicitario nella sponsorizzazione viene diffuso in modo indiretto4. Tale qualificazione, per quanto generica, conferma il fatto che si tratta di un contratto a prestazioni corrispettive, normalmente oneroso, in cui, a fronte del pagamento di una somma di denaro o della fornitura di beni da parte dello sponsor, lo sponsee si obbliga a divulgare il suo nome o marchio associandolo alla propria attività5.

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Con riferimento alla sponsorizzazione di manifestazioni sportive, soprattutto di grandi dimensioni, la fattispecie presenta tuttavia una articolazione molto più varia, che pone problematiche peculiari. Da un primo punto di vista, si deve rilevare come possano sussistere una pluralità di sponsor, molto spesso dotati di posizioni e diritti differenziati: accanto agli sponsor principali si potranno infatti avere degli sponsor secondari o meramente tecnici. A differenza dei primi, il cui contributo riguarda tutti i profili della manifestazione, al contrario gli altri sono generalmente chiamati a provvedere alla fornitura di specifici beni o servizi6. Sotto un altro profilo bisogna poi considerare come lo sponsee si obblighi pressoché costantemente ad attribuire alla controparte il diritto di associare i propri prodotti o servizi alle immagini, ai segni identificativi o, in termini più generali, al contesto dell’evento al fine di sfruttarne la visibilità ed il prestigio a fini pubblicitari. Ciò quasi sempre si traduce nell’utilizzo degli spazi della manifestazione per diffondere messaggi pubblicitari relativi all’imprenditore o ai suoi prodotti, in accordi di licensing dei segni distintivi della manifestazione, spesso affiancati dalla dizione «sponsor ufficiale» o «fornitore ufficiale», o ancora, in accordi per la fornitura di attrezzature o altri servizi funzionali alla realizzazione dell’evento.

Tali prestazioni sono peraltro quasi sempre accompagnate da clausole di esclusiva, generalmente a carico dello sponsorizzato, che garantiscono allo sponsor di essere l’unico a sfruttare questo tipo di abbinamento7, quantomeno nel medesimo ambito merceologico8. In assenza di indicazioni esplicite, tale obbligo è stato talvolta ricavato anche in via interpretativa come espressione del principio di buona fede “nella deter- minazione del contenuto del contratto o nella sua esecuzione”9. Del resto, in considerazione della natura prettamente fiduciaria del rapporto istituito tra sponsor e sponsee, si è anche recentemente confermata in Cassazione l’importanza della correttezza quale strumento da cui ricavare una serie di “obblighi di protezione” integrativi delle prestazioni principali, i quali in realtà appaiono spesso come la necessaria esplicazione di clausole di riservatezza o di esclusiva10.

Il quadro così tracciato dimostra l’esistenza di un contratto che, pur atipico, risulta fortemente radicato nella prassi sportiva, come testimoniano sia il livello sempre piùPage 269sofisticato delle clausole inserite in questi accordi sia l’entità degli investimenti che attraverso tale strumento sono veicolati.

Con particolare riferimento alla sponsorizzazione di manifestazioni sportive di grandi dimensioni, si vuole pertanto considerare un duplice piano di problemi: da un lato, individuare la natura giuridica della posizione vantata dall’organizzatore in riferimento all’evento sportivo, tale da legittimare la sua pretesa di concederne lo sfruttamento economico a terzi e da un altro lato, verificare entro quali limiti tali accordi risultino compatibili con le norme antitrust.

@2. L’organizzatore come titolare di un diritto di sfruttamento sull’evento sportivo

L’attribuzione di un diritto esclusivo sulla manifestazione sportiva in capo agli organizzatori continua ad essere oggetto di un dibattito aperto. La questione rappresenta infatti un tema imprescindibile per qualunque tentativo di utilizzazione economica degli spettacoli sportivi ma nonostante l’intervento di importanti pronunce giurisprudenziali, la riflessione di autorevole dottrina ed alcuni interventi legislativi anche recenti, i diversi tentativi di affermare una tutela di carattere reale continuano ad essere privi di presupposti normativi univoci.

Se l’analisi delle molte soluzioni proposte negli anni dà il senso di un margine di incertezza che continua ad avvolgere il tema, bisogna tuttavia chiarire che sia la dottrina sia, in modo ancora più significativo, la giurisprudenza, pur nella varietà di accenti, sono sostanzialmente univoche nel riconoscere la necessità di garantire agli organizzatori l’appropriazione dei risultati delle manifestazioni.

Tale posizione appare propugnata, almeno in Italia, già dalla fine degli anni 50 e conosce un diffuso consenso da parte delle Corti, le quali tuttavia tendono a lasciare in secondo piano il problema della qualificazione del diritto che intendono attribuire agli organizzatori11. In particolare i primi interventi sul tema sorgono con riguardo allo sfruttamento, soprattutto televisivo, delle immagini delle manifestazioni ed alla correlata esigenza di regolare adeguatamente l’esercizio del diritto di cronaca12. Il problema veniva risolto, pur con qualche oscillazione, sempre riconoscendo all’organizzatore dell’evento sportivo una tutela piuttosto rigorosa ma senza dedicare particolare atten-Page 270zione alla giustificazione teorica dell’esclusiva postulata, in considerazione di un dato normativo non in grado di disciplinare esaustivamente il fenomeno. Ancora oggi è quindi attuale la posizione della dottrina più attenta, la quale ha da sempre sostenuto che la riconduzione della situazione giuridica dell’organizzatore all’ambito delle privative sia tutt’altro che scontata13.

Il diffuso favor verso una tutela forte trovava fondamento in primo luogo sul controllo dell’ingresso ai campi di gara da parte dell’organizzatore ma in modo sempre più preponderante, con la spettacolarizzazione delle manifestazioni sportive, sull’esigenza di assicurare la remunerazione degli ingenti investimenti effettuati per la realizzazione degli spettacoli. Quella che quindi era una mera tutela di carattere contrattuale, dipendente dal rapporto istituito tra l’organizzatore e lo spettatore è invece divenuta una tutela assoluta, cioè esercitabile erga omnes, condizione necessaria per garantire che l’immagine dello spettacolo non venga altrimenti sfruttata. Tale orientamento è stato in particolare fatto proprio dalla Commissione europea e dalle Autorità garanti della concorrenza di diversi Paesi, le quali hanno fortemente puntato su un approccio di carattere funzionale, che permettesse di sfruttare in modo economicamente efficiente il mercato degli eventi sportivi14. A fronte di questa tendenza è stata poi soprattutto la dottrina ad approfondire la riflessione proponendo possibili inquadramenti giuridici della fattispecie.

Si può ricordare, in primo luogo, la proposta di configurare lo spettacolo sportivo come opera dell’ingegno tutelabile secondo le norme del diritto d’autore15, tesi che è stata contestata da molti autori e che non ha trovato riscontro in giurisprudenza. In primo luogo si è infatti obiettata la mancanza nello spettacolo sportivo della caratteristica di rappresentazione creativa a carattere intellettuale richiesta per le opere dell’ingegno16; in secondo luogo si è sottolineata la tassatività della previsione dell’art. 1, l. n. 633/41, la quale non lascerebbe spazio a forme espressive diverse da letteratura, musica, arti figurative, architettura, teatro e cinematografia17.

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Non meno incerta è stata la configurabilità alla stregua di un diritto su un bene immateriale18. Sebbene questa fattispecie non richieda requisiti peculiari in termini di creatività, essa consiste tuttavia, secondo l’opinione comune, in un numerus clausus di ipotesi e necessita pertanto di una adeguata previsione legislativa19, ma tale non sembra potersi configurare l’art. 2, legge n. 78/1999 intitolata “Disciplina per evitare posizioni dominanti nel mercato televisivo”, norma che si limita ad affermare come le società di calcio di serie A e di serie B siano titolari dei diritti di trasmissione televisiva in forma codificata, con riferimento alle partite giocate in casa.

Da un diverso punto di vista, questa stessa regola è stata considerata da taluni presupposto per ricavare in via analogica un generale diritto di esclusiva sugli eventi sportivi, in modo da configurare un diritto connesso con il diritto d’autore20. In realtà altra parte della dottrina non ha mancato di sottolineare i limiti e le incertezze di una norma che, da un lato, presenta un ambito di applicazione molto puntuale e, da un altro lato, non parla mai di diritti esclusivi21.

Infine, altri studi hanno valorizzato l’idea di un diritto di utilizzazione nascente in capo all’imprenditore in virtù dell’apporto determinante dato alla realizzazione dell’opera22. Tale proposta si coordina poi con il rinvio alle disposizioni in tema di concorrenza sleale che colpiscono i comportamenti contrari alla correttezza professionale ed in particolare l’appropriazione di pregi riferibili...

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