Le spese condominiali

AutoreCarlo Besostri Grimaldi
Pagine621-629

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Relazione svolta al XVI Convegno del Coordinamento legali della Confedilizia tenutosi a Piacenza il 9 settembre 2006.

@1.Natura dell'obbligo di pagamento delle spese

A norma dell'art. 1123 del codice civile: ´Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne.

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilitàª.

Preliminarmente deve, pertanto, evidenziarsi come il codice civile ponga in evidenza tre criteri di ripartizione:

a) spese sostenute in proporzione al valore della proprietà:

1) per la conservazione delle parti comuni;

2) per il godimento delle parti comuni;

3) per la prestazione dei servizi comuni;

4) per le innovazioni; b) spese sostenute in proporzione dall'uso, in caso di cose destinate a servire in misura diversa; c) spese sostenute in proporzione all'utilità, in caso di opere che servono solo una parte dell'edificio.

Per giurisprudenza conforme l'obbligo di ciascun condomino di contribuire alle spese necessarie per la conservazione delle parti comuni e per l'esercizio dei servizi condominiali deriva dalla titolarità del diritto reale sull'immobile e integra un'obbligazione propter rem.

Tale obbligazione sarebbe, quindi, preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea dello stato di ripartizione il quale, perciò, non ha valore costitutivo ma soltanto dichiarativo del relativo credito del condominio in rapporto alla quota di contribuzione dovuta dal singolo partecipante alla comunione (cfr. Cass. 14 marzo 1987 n. 2658; Cass. 7 luglio 1988, n. 4467; Cass. 28 aprile 1991, n. 6652; Cass. 1890/95 e Cass. 26 gennaio 2000, n. 857).

Quest'ultima pronuncia ha statuito che: ´L'obbligo del condomino di pagare i contributi per le spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio deriva non dalla preventiva approvazione della spesa e dalla ripartizione della stessa, ma dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione e sorge quindi per effetto dell'attività gestionale concretamente compiuta e non per effetto dell'autorizzazione accordata all'amministrazione per il compimento di una determinata attività di gestioneª.

In applicazione del summenzionato principio, secondo cui l'obbligo del condomino di contribuire alle spese necessarie alla conservazione ed al godimento delle parti comuni dell'edificio, alla prestazione dei servizi nell'interesse comune e alle innovazioni deliberate dalla maggioranza trova la sua fonte nella comproprietà delle parti comuni dell'edificio (art. 1123 comma 1 c.c.), la Suprema Corte (traendo nel caso specifico la conseguenza che la semplice circostanza che l'impianto centralizzato di riscaldamento non eroghi sufficiente calore non può giustificare un esonero dal contributo, neanche per le sole spese di esercizio dell'impianto), ha specificato che il condomino non è titolare, nei confronti del condominio, di un diritto di natura contrattuale sinallagmatica e, quindi, non può sottrarsi dal contribuente alle spese allegando la mancata o insufficiente erogazione del servizio (Cass. civ., S.U., 26 novembre 1996, n. 10492).

Tale concorde principio giurisprudenziale sulla natura reale dell'obbligo di contribuzione è confermato dalla prevalente dottrina.

Invero, come meglio si vedrà in seguito, le uniche pronunce contrastanti si trovano in relazione alle sole spese di godimento, in tema di distacco dal riscaldamento centralizzato.

Dalla mera realtà dell'obbligazione del rimborso, deriva il corollario che essa è accollata a chiunque subentri nel diritto di proprietà di uno dei partecipanti obbligati.

Invero, l'art. 1104 c.c., in tema di comunione, dispone che: ´Ciascun partecipante deve contribuire nelle spese necessarie per la conservazione e per il godimento della cosa comune e nelle spese deliberate dalla maggioranza a norma delle disposizioni seguenti, salva la facoltà di liberarsene con la rinunzia al suo diritto.

La rinunzia non giova al partecipante che abbia anche tacitamente approvato la spesa.

Il cessionario del partecipante è tenuto in solido con il cedente a pagare i contributi da questo dovuti e non versatiª. Page 622

La norma, peraltro, non è ripresa pedissequamente in tema di condominio.

L'art. 63 delle disposizioni di attuazione c.c. prevede, infatti, che: ´Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall'assemblea, l'amministratore può ottenere decreto d'ingiunzione immediatamente esecutiva, nonostante opposizione.

Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso a quello precedente.

In caso di mora nel pagamento dei contributi, che si sia protratta per un semestre, l'amministratore, se il regolamento di condominio ne contiene l'autorizzazione, può sospendere al condominio moroso l'utilizzazione dei servizi comuni che sono suscettibili di godimento separatoª.

La Cassazione (9 luglio 10964, n. 1814) ha affermato che la norma di cui all'art. 63 citato si ricollega in sostanza al principio posto dall'art. 1104 c.c., traendone la conseguenza della natura propter rem dell'obbligazione in oggetto.

L'obbligazione nascerebbe pertanto come conseguenza della comproprietà sulla res e il detto fondamento reale del vincolo influirebbe sull'origine dell'obbligazione (per cui i condomini sono tenuti per il fatto stesso di essere condomini ed indipendentemente dalla misura dell'uso) e si rifletterebbe anche sul quantum della prestazione di ciascuno.

Viene, peraltro, da chiedersi il motivo per cui, se il legislatore ha considerato l'obbligazione come propter rem, in tema di condominio non abbia ritenuto l'acquirente illimitatamente responsabile, così come in tema di comunione.

Vi sono pertanto degli indici contrari alla presunta realtà dell'obbligazione contributiva.

Il primo, come visto, è la solidarietà limitata dell'acquirente.

In secondo luogo, risalente dottrina (VISCO-TERZAGO 1972) ebbe ad osservare come il citato art. 63 att. c.c. individui come titolo dell'obbligazione lo stato di ripartizione approvato dall'assemblea.

In tal senso, ancora di recente, la Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia 11981 del 1992, ha osservato che l'obbligazione sorgerebbe solo in seguito all'approvazione della relativa delibera, così contraddicendo il cennato orientamento giurisprudenziale secondo cui tale obbligazione sarebbe, invece, preesistente all'approvazione, da parte dell'assemblea, dello stato di ripartizione il quale, perciò, non avrebbe valore costitutivo ma soltanto dichiarativo del relativo credito del condominio.

Peraltro, come visto, la giurisprudenza maggioritaria (tra le altre già richiamate Cass. 17 maggio 1997, n. 4393) ha contraddetto la pronuncia 11981 del 1992, sancendo che: ´Il condomino che trasferisca la porzione di immobile di sua proprietà esclusiva non è tenuto a contribuire alle spese di manutenzione delle parti comuni dell'edificio erogate successivamente alla vendita, derivando l'obbligo di pagamento dei suddetti contributi dalla concreta attuazione dell'attività di manutenzione, e non già dalla preventiva approvazione della spesa e dalla relativa ripartizioneª.

Il principio è ribadito da quelle pronunce che ritengono possibile all'amministratore, in difetto di riparto approvato, la proposizione dell'azione ordinaria (Cass. 16 giugno 1979, n. 1836 e Cass. 8 aprile 1977, n. 1357).

Ciò posto e rinviando al successivo punto specifico l'esame del momento in cui sorge l'obbligazione contributiva, deve precludersi da ultimo che i dubbi sulla realtà dell'obbligazione vengono incrementati dalla contrastante giurisprudenza in tema di efficacia reale della deroga convenzionale dell'obbligo.

In un primo momento la Cassazione si era, infatti, espressa nel senso che si deve presumere l'efficacia reale anche della clausola del regolamento di condominio, di natura contrattuale, con cui la singola unità immobiliare venga esonerata, in tutto o in parte, dal contributo nelle spese stesse - salvo che dalla clausola non risulti la inequivoca volontà di concedere l'esenzione solo a colui che, in un determinato momento, sia proprietario del bene - e deve quindi ritenersi che detta clausola sia operante anche a favore dei successivi, a titolo universale o particolare, del condomino in favore del quale l'esenzione era stata previstaª (Cass.16 dicembre 1988, n. 6844).

In seguito la Suprema Corte ha, invece, mutato indirizzo, puntualizzando che l'efficacia di una convenzione con la quale, ai sensi dell'art. 1123, primo comma, c.c., si deroga al regime legale di ripartizione delle spese non si estende, in base all'art. 1372 c.c., agli aventi causa a titolo particolare degli originari stipulanti, a meno che detti aventi causa non abbiano manifestato il loro consenso nei confronti degli altri condomini, anche per fatti concludenti, attraverso un'univoca manifestazione tacita di volontà, dalla quale possa desumersi un determinato intento con preciso valore sostanzialeª (Cass. 7353/96).

Secondo tale impostazione, l'esistenza di un'obbligazione propter rem sarebbe esclusa, nel caso specifico, per l'impossibilità della trascrizione, da qui l'inefficacia della convenzione per gli aventi causa.

Nel caso specifico la Suprema Corte ha altresì escluso che rilevasse l'impegno a rispettare il regolamento preesistente, assunto dagli acquirenti, in quanto ha ritenuto che non potesse considerarsi stipulato, nella fattispecie, un contratto a favore di terzi.

La tesi...

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