I Nuovi spazi della legittima difesa nel panorama di un diritto penale "mediatico"

AutoreAntonio Vallini
Occupazione dell'autoreProfessore di diritto penale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze
Pagine11-17

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Dovremo abituarci – in che modo, fino a che punto – a un diritto penale “mediatico”? Un diritto penale, vale a dire, troppo preoccupato di farsi comprendere e condividere da quel soggetto così indistinto e ipotetico – eppure più d’ogni altro, ormai, capace di tiranneggiare la vita civile dei paesi occidentali – che è la cd. opinione pubblica.

Un diritto penale, insomma, del “villaggio globale”; quel luogo ove sono ai più accessibili molteplici notizie e infiniti dati, e i più possono a loro volta diffondere, su scala mondiale, dati e notizie di cui sono in possesso, in un vortice pressoché incontrollabile d’informazioni che, si sa, porta con sé vantaggi e rischi. Il vantaggio è quello di un controllo democratico potenziale impensabile fino a poco tempo fa. Tra i rischi, quello classicamente correlato a ogni ricorso poco meditato, se così si può dire, alla democrazia: la demagogia. Perché non basta la quantità, serve la qualità dell’informazione, che si ottiene quando il contesto culturale più generale offre al cittadino strumenti e parametri per una comprensione e verifica critica dei dati e delle valutazioni che gli vengono di volta in volta propinati. Il formarsi di opinioni diffuse in mancanza di una reale consapevolezza in merito al decidendum rende le prime casuali e facilmente strumentalizzabili, mentre diviene aleatorio il funzionamento di quei meccanismi di controllo e rinnovamento del potere che costituiscono il fiore all’occhiello del sistema democratico.

Una perfetta sinergia tra potere e consapevolezza pubblica è, probabilmente, utopia. Quel che preoccupa è, tuttavia, come a tale modello ideale i “tempi che corrono” non sembrino rapportarsi neppure tendenzialmente.

Dicevamo del diritto penale. Anche questa disciplina – quella che, tra le varie giuridiche, più suscita un interesse diffuso – si è trovata attratta dal vortice informativo di cui sopra. Non che le mancasse, in precedenza, il confronto con la pubblica opinione; anzi, è da sempre caratteristico del diritto penale cercare la propria legittimazione, tra l’altro, in una commisurazione dialettica coi sentimenti diffusi in un determinato contesto sociale. Sennonché, almeno per quanto riguarda l’Italia, ragioni in parte politico-istituzionali, in parte storico-sociologiche, in parte tecnologiche, rendono oggi quel confronto particolarmente intenso e, per certi profili, inedito. La “gente” appare particolarmente “affamata” di dati riguardanti cronaca giudiziaria e risposte legislative a fenomeni allarmanti (o ritenuti tali); il sistema politico e il “circo” mediatico provvedono a soddisfare questo bisogno come sanno, come possono, come vogliono, sfornando in dosi massicce notizie più o meno appetibili, non di rado alimentando essi stessi, con abili – a volte spudorati – espedienti comunicativi, quel diffuso bisogno di sentir parlare, per poi poter parlare, di crimini, diPage 12 processo, di pena. Una “cultura giuridica” di massa decisamente connotata più in termini quantitativi che qualitativi: non è certo un vezzo da studioso elitario ritenere foriera di gravi fraintendimenti una pubblica discussione in tema di giustizia penale attuata al di fuori di qualsiasi adeguata consapevolezza dei principi, delle garanzie e di certi elementari criteri di politica criminale ormai da secoli acquisiti alla riflessione penologica. Quei principi, valori e parametri potrebbero anch’essi essere “divulgati”, volendo; ma così, all’evidenza, non è.

Concreto il rischio, in questo quadro, che il diritto penale si esponga a una duplice alternativa: divenire demagogico, oppure (paradossalmente) incomprensibile.

Demagogico. Già lo si accennava poc’anzi: i contenuti e le dinamiche della legislazione e della giustizia penale sono fortemente influenzati, per ragioni in buona parte strutturali e fisiologiche, dalla pubblica percezione dei delitti e delle pene. Questa pubblica percezione si fa sempre più diffusa e intensa, sempre più pressante, sempre più influenzante; il che significa che sempre più decisivi possono farsi quei fraintendimenti, di cui si diceva poc’anzi. Il diritto penale ne risente, non può che farci i conti, spesso cede, anche perché ogni scelta divergente dal diffuso sentire – non importa quanto pregevole sul piano tecnico e del suo orientamento ai principi – è a sua volta subito sottoposta alla valutazione sommaria della pubblica opinione, alimentata (talora sobillata) dai media, tanto da poter determinare persino le fortune di un governo (si pensi, una per tutte, alla questione indulto).

In quali forme si esprime il diritto penale mediatico-demagogico? In primo luogo, attraverso una legislazione simbolica. Questa degenerazione, è vero, è tematizzata da parecchi decenni; eppure oggi si assiste a una vera e propria inflazione di normative simboliche, ovvero provvedimenti per lo più estemporanei, tanto attenti a rassicurare inquietudini, allarmismi e tensioni etiche “diffuse”, quanto deprecabili, prima di tutto, sul piano tecnico, al punto di poter condurre a risultati divergenti o addirittura opposti rispetto a quelli pubblicamente “sbandierati”. Si pensi agli interventi del legislatore su materie “eticamente sensibili”, come la fecondazione assistita, o in tema di “sicurezza”...

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