Sovranità statale e libertà dei mari

AutoreFabio Caffio
Pagine41-94
Capitolo II
SOVRANITÀ STATALE E LIBERTÀ DEI MARI
Fabio Caffio
SOMMARIO: 1. La libertà dei mari nel XXI secolo – 2. Sovranità e diritti funzionali degli
Stati costieri nelle zone di giurisdizione: acque interne e territoriali, zona contigua,
zona archeologica, ZEE e zone sui generis, piattaforma continentale. Area interna-
zionale dei fondi marini. – 3. Le zone di ricerca e soccorso (SAR) come aree di
responsabilità. – 4. L’alto mare. – 5. Il ruolo delle navi da guerra nel mantenimento
della libertà di navigazione in alto mare. La polizia dell’alto mare: la funzione delle
navi da guerra in tempo di pace. – 6. Segue: la nozione di nave da guerra. – 7. Segue:
diritto di visita. – 8. Segue: diritto di inseguimento. – 9. La pirateria come «crimine»
previsto dal diritto internazionale: regime generale. – 10. Segue: il regime della pira-
teria del Corno d’Africa.
1. LA LIBERTÀ DEI MARI NEL XXI SECOLO
A chi appartiene il mare? «Mare quod natura omnibus patet» (il mare per
sua natura è aperto a tutti) diceva nel III secolo D.C. il giurista romano Ulpiano
volendo significare che il mare è un bene di uso comune, non suscettibile di ap-
propriazione. Il problema, giuridico ma anche politico nello stesso tempo perché
legato alle pretese espansionistiche delle Potenze marittime di limitarne l’uso,1
si è posto agli albori dell’era moderna, dopo la scoperta dell’America. Le tesi
dei Paesi come Spagna e Portogallo2, che reclamavano l’uso esclusivo di vaste
1 Per una trattazione brillante ed approfondita del tema si rinvia a SCOVAZZI, Libertà o dominio
nell’evoluzione del diritto del mare, in Dominio del Mare Adriatico della Serenissima Repubblica
di Venezia di Fra’ Paolo Sarpi, Torino, 2001, 9.
2 Le rivendicazioni dei due Paesi si basavano sulla Bolla Inter caetera di Papa Alessandro
VI del 4 maggio 1493 che aveva attribuito alla Spagna le isole ed i territori posti aldilà della linea
congiungente i poli situata a 100 leghe ad ovest delle Azzorre e di Capo Verde. E sul successivo
Trattato di Tordesillas del 7 giugno 1494 con il quale, mediante una linea congiungente i poli, pas-
sante 370 leghe ad ovest di Capo Verde, era stata sancita la suddivisione delle sfere di influenza sui
42 Elementi di Diritto e Geopolitica degli spazi marittimi
porzioni degli Oceani, furono confutate da Ugo Grozio nel suo Mare liberum del
16093. Il giurista olandese, ritenuto il fondatore del moderno diritto marittimo,
affermò infatti con chiarezza il fondamentale principio secondo cui «ciascuno
è libero, per il diritto delle genti, di viaggiare sul mare in quei luoghi e presso
quelle Nazioni che a lui piaccia» ammettendo tuttavia che l’occupazione del mare
potesse essere limitata ad una ristretta fascia costiera. Di fatto, con l’affermazione
di principio della libertà dei mari, si posero le premesse per la diffusione delle
idee di progresso, per lo sviluppo delle relazioni commerciali e per lo sfruttamen-
to delle risorse ittiche degli oceani.
Il principio che il mare fosse un bene non suscettibile di appropriazione
esclusiva e perciò aperto alla libera navigazione, si affermò universalmente nel
momento in cui la Gran Bretagna lo fece proprio come emblema della sua politica
di potenza marittima4, abbandonando la precedente teoria del mare clausum5.
Unica deroga ammessa al mare liberum divenne la regola dell’estensione delle
acque territoriali dei singoli Stati sino alla distanza di 3 m.n., corrispondenti al
tempo alla massima gittata delle artiglierie costiere6.
Agli inizi del Novecento la libertà dei mari ebbe la sua definitiva consacra-
zione nel secondo dei «Quattordici Punti» con cui il Presidente statunitense Wil-
son difese gli interessi marittimi degli Stati Uniti sostenendo «la libertà assoluta
di navigazione su tutti i mari, fuori delle acque territoriali, in pace e in guerra,
salvo che i mari siano totalmente o in parte chiusi da un’azione internazionale
per l’applicazione di accordi internazionali». Da parte italiana fu presentata una
proposta, alla fine della prima guerra mondiale, per inserire nel Patto della Socie-
tà delle Nazioni una clausola di principio: essa fu inserita all’art. 23 laddove si
impegnavano gli Stati a prendere «le misure necessarie per assicurare la garanzia
e il mantenimento della libertà, delle comunicazioni e del transito»7.
Per dare valore normativo al principio della libertà dei mari formatosi in tal
modo in via consuetudinaria si dovette tuttavia attendere la II Convenzione di
mari tra la Spagna (che si era riservata diritti esclusivi di navigazione nel Mediterraneo, nel Pacifico
e nel Golfo del Messico) ed il Portogallo (che reclamava analoghi diritti in prossimità delle coste
atlantiche del Marocco e nell’Oceano Indiano). Peraltro la stessa Spagna, pur sostenendo propri
diritti esclusivi sugli Oceani sulla base degli atti suindicati, si era opposta sul finire del Cinquecento
alla pretesa della Repubblica di Venezia di possesso esclusivo del Mare Adriatico (che al tempo era
denominato Golfo di Venezia) teorizzata da Paolo Sarpi nel suo celebre Dominio del Mar Adriatico
del 1685 (v. supra, nota 1).
3 V., in versione italiana, GROZIO, Dissertazione sulla libertà del mare o del diritto che hanno
gli olandesi al commercio con le Indie, traduzione e note a cura di CARFÌ, Firenze, 1933.
4 V. al riguardo il brillante articolo di VECCHIONE, Come nasce la Royal Navy, in RM, 2012, 78.
5 In precedenza, all’epoca di Giacomo I, la Gran Bretagna aveva assunto, a difesa dei propri
interessi commerciali di pesca nel Mare del Nord, una posizione contraria alla libertà di navigazio-
ne. Le tesi britanniche dell’epoca sono riflesse nell’opera del giurista inglese John Selden in Mare
Clausum seu Dominium Maris, 1635.
6 V. in materia le ancor valide analisi di CONFORTI, Il regime giuridico dei mari, Napoli, 1958,
123 ss. Nonché SCOVAZZI, Libertà o dominio del mare, cit., 37.
7 Cfr. LEANZA, Il diritto degli spazi internazionali, I, Torino, 1999, 229.
II. Sovranità statale e libertà dei mari 43
Ginevra del 1958 che all’art. 2 così stabiliva8: «L’alto mare è libero a tutte le Na-
zioni e nessuno Stato può legittimamente pretendere di sottomettere una porzione
qualsiasi alla propria sovranità […]. Ogni Stato che fruisce di queste libertà e di
altre, riconosciute dalle norme del diritto internazionale, deve tener conto dell’in-
teresse che gli altri Stati hanno per l’alto mare».
Con tale formulazione si riaffermava, nello spirito dei secoli passati, il più
completo regime liberistico degli usi del mare negli spazi extraterritoriali, sia pur
mitigato dal richiamo al limite invalicabile del rispetto dei diritti e degli interes-
si dei Paesi terzi. Libertà dunque di svolgere qualsiasi attività lecita per l’ordi-
namento internazionale, ma a condizione di rispettare il principio della perfetta
eguaglianza e completa indipendenza di tutti gli Stati secondo la bandiera di ap-
partenenza della nave9.
Non vi era ancora un richiamo esplicito alle esigenze di tutela dell’ambiente
marino che si affermeranno successivamente, dopo la Conferenza di Stoccolma
del 1972 sull’ambiente, nell’ambito della Parte XII della CNUDM. Tuttavia nelle
Convenzioni di Ginevra si andavano già delineando in modo embrionale alcune
forme di erosione della libertà dell’alto mare come la creazione della zona con-
tigua e la possibilità di istituire zone preferenziali di pesca al di là delle acque
territoriali motivate da esigenze di conservazione delle specie ittiche10.
Nel frattempo nuove istanze spingevano i Paesi oceanici ad ampliare la pro-
pria giurisdizione sulla gestione esclusiva delle risorse naturali in spazi al largo
delle proprie coste. Venivano infatti adottate iniziative di ampliamento di giu-
risdizione poi sfociate nell’istituto della ZEE entrato a far parte del diritto con-
suetudinario e recepito nella CNUDM. In parallelo la prassi internazionale evi-
denziava anche il formarsi di una maggiore sensibilità internazionale sulla tutela
dell’ambiente marino e della biodiversità negli spazi extraterritoriali per effetto
di catastrofi ecologiche determinate da collisioni o naufragi di navi trasportanti
sostanze inquinanti a cominciare dall’incidente della Torrey Canyon verificatosi
nel 1967 nella Manica11.
Il nuovo millennio, dopo l’entrata in vigore della CNUDM, si è così aperto
con un riequilibrio, in una certa misura a favore degli Stati costieri, del tradizio-
nale antagonismo tra le Potenze marittime che asserivano l’uso incondizionato
dell’alto mare. La CNUDM ha difatti confermato, all’art. 87, tutte le tradizionali
libertà dell’alto mare; mentre vi ha aggiunto quelle di costruire isole artificiali e
di svolgere ricerca scientifica, ha tuttavia regolamentato il loro svolgimento con
apposite norme. Particolarmente stringente è nella stessa Convenzione la rego-
lamentazione della pesca in alto mare improntata a principi di cooperazione e
8 Sul ruolo svolto dall’Italia in sede di codificazione delle Convenzioni di Ginevra v. BOSCO
(G.), La conferenza del mare e gli interessi dell’Italia, in RDN, 1958, 125.
9 V. BROWNLIE, Principles of Public International Law, VII ed., Oxford, 2008, 289.
10 Circa l’art. 6 della III Convenzione di Ginevra del 1958 v. RONZITTI, Le Zone di pesca nel
Mediterraneo e la tutela degli interessi italiani, suppl. RM, 1999, 14.
11 Cfr. LEANZA, Il diritto degli spazi internazionali, cit., 253.

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